martedì 13 giugno 2023

Prendo atto

Ma il mio cane si accorge del fatto che quando lo accarezzo poi mi lavo le mani? O del fatto che passo l'aspirapolvere prima di sedermi sul divano su cui lui si è accomodato (in opposizione al rigidissimo regolamento della casa) lasciando una cascata di pelame? O del fatto che quando accarezzo la gatta le mani non me le lavo (salvo in cucina), perché la gatta, in quanto felino autopulente, sa al massimo di maglione di cashmere? 

Non lo so, se se ne accorge. Ma mi sono resa conto che io tendo a farlo di nascosto, per non ferire i suoi nobili sentimenti canini. 

venerdì 9 giugno 2023

Una storia americana

Mi piacciono tanto, mi incuriosiscono e mi interessano, le cose, le persone, le creature differenti. Differenti dalla cosiddetta norma, ossia da quello a cui siamo abituati, per dimensione, colore, reazioni agli eventi, modo di pensare.
Per esempio, mi affascinava l'enorme sedia costruita dagli artigiani per qualificare il distretto della sedia e del mobile in regione, che appariva improvvisamente al viaggiatore al lato della strada, così fuori misura che pareva giungesse a breve anche Polifemo, col suo pugno di marinai per cena. 

Ora, non voglio paragonare un intero popolo a un enorme manufatto e odio le generalizzazioni, ben conscia che le differenze individuali, o collettive, abbiano vitale importanza, ma ogni volta che leggo qualcosa sul modo di pensare degli statunitensi non posso fare a meno di restare basita, per l'immenso solco di pensiero, principi e ideali che ci separa; impaurita dal fatto che nel mondo attuale abbiano una posizione così preminente pur con caratteristiche collettive che non esito a definire frequentemente infantili; affascinata dall'immensa loro differenza dalla "norma" che contraddistingue il mio essere, in senso geografico, politico, storico. 

Francesco Costa, che ormai è parte integrante delle mie giornate con il suo podcast Morning, rassegna stampa acuta e intelligente che tiene sveglio il pensiero critico, in questo libro parla delle storie di Joe Biden e Kamala Harris, poco dopo l'elezione di entrambi alla guida degli USA. Ne descrive le carriere, le cadute, le difficoltà, insomma, il percorso che ha portato entrambi, per lo meno, a liberare il mondo dal folle Trumpismo. 

L'abolizione della schiavitù in America, ai tempi di Via col vento (che con quell'abile narrazione hollywoodiana, se ti distrai, ti fa ritrovare sudista), non ha avuto altro significato che queste parole: "abolizione della schiavitù". Insomma, lo stesso rilievo puramente formale della carta costituzionale americana, che proclama l'uguaglianza di tutti gli uomini, calpestandola poi costantemente. I bianchi, che fino a quel momento facevano dei neri un proprio feticistico possesso, all'improvviso ebbero il solo scopo di allontanarli dalle proprie vite, dalle proprie case, dai propri lavori, dalle proprie opportunità. E ci riuscirono per decenni, attraverso, in particolare, lo sviluppo urbano, che favoriva sistematicamente la segregazione, suddividendo il territorio del Paese in zone in cui il governo consigliava di investire (invitando le banche a fare credito a privati e imprese) e altre in cui ogni investimento era disincentivato, sempre quelle abitate dagli afroamericani - un'operazione definita redlining
Le conseguenze principali furono che agli afroamericani venne impedito di accumulare ricchezza e di frequentare le scuole per i bianchi (quindi le università, quindi i lavori migliori). Anche le tangenziali, le autostrade, che conducevano i bianchi al lavoro dalle loro villette suburbane, vennero costruite secondo percorsi che contribuissero a isolare le comunità nere - a costo di avere forme illogiche sul piano urbanistico, che comportano tuttora frequentissimi ingorghi anche in superstrade da 14 corsie; il sistema degli autobus veniva a sua volta organizzato in modo da escludere: per tenere i neri lontani da una data zona era sufficiente non prevedere fermate dei mezzi pubblici (utilizzati quasi solo da loro, in quanto poveri) o costruire un ponte così basso che il bus non potesse passarci sotto. 
Negli anni si tentò qualche norma correttiva, tra cui il cosiddetto busing, che cercava di mitigare la segregazione urbanistica istituendo uno scambio scolastico tra neri e bianchi tramite scuolabus che percorrevano quotidianamente decine di chilometri. I mezzi che trasportavano i bambini neri nelle scuole bianche venivano spessissimo danneggiati, presi a sassate, e i ragazzi accolti tra sputi e insulti. Le amministrazioni locali spesso accettavano di accogliere i bambini a norma di legge solo se costrette dai tribunali. I genitori, a loro volta, non potevano opporsi, e dunque scegliere dove mandare a scuola i propri figli. 
Biden, da giovane politico, si opponeva al busing, pensando che l'integrazione urbanistica fosse di gran lunga la strada migliore per eliminare la segregazione razziale e credendo in buona fede che questo tipo di coercizione non avrebbe risolto molto. Per questo attirò critiche feroci, nel tempo, dato che questa sua posizione lo schierava accanto a politici razzisti e reazionari che con le sue convinzioni non avevano nulla a che fare. 

Kamala Harris, intanto, era figlia del busing, a Oakland, dove ogni mattina percorreva chilometri per raggiungere una scuola "bianca" altrimenti negata ai residenti del suo quartiere. 

Nei quarantotto anni che separano la sua prima elezione in Senato da quella a presidente degli Stati Uniti, Biden è stato tra i parlamentari più influenti, ma contemporaneamente meno abbienti, non volendo mai svolgere altre professioni o monetizzare altrimenti la sua fama; ha seguito progetti considerati da chiunque impossibili; ha compiuto errori banali e subito dolori terribili; ha lavorato da persona equilibrata, senza essere mai estremista o demagogo; ha sempre cercato di sedare i conflitti, cercando nel compromesso la via del progresso; ha dovuto naturalmente giustificare decenni di scelte ad ogni occasione elettorale. 
Dall'autobus che ogni giorno la portava fuori dal suo mondo, la Harris, convinta di voler tentare di cambiare il sistema dall'interno, pur accettandone lentezze e contraddizioni, divenne la prima donna e persona nera a essere eletta procuratrice generale in California. 

Le carriere dei due protagonisti del libro si incrociano per i decenni successivi, attraverso grandi vittorie e grandi cadute, fino all'incontro nelle elezioni presidenziali più recenti.
"Il potere non cambia le persone: le rivela per quello che sono. Quindi bisogna guardare al passato, per capire il futuro".

domenica 4 giugno 2023

C'eravamo quasi

Il mercoledì è giorno di raccolta di ingombranti, nel ridente paese in cui vivo. Proprio per la loro meritata fama di ingombranti, la gente è invitata a prenotarne il ritiro e a depositarli davanti alla propria abitazione solo a sera inoltrata, in modo che la ditta possa appropriarsene alle prime luci dell'alba, senza che si creino disagi alla circolazione il giorno successivo. 

Ma quel giorno è accaduto qualcosa di strano, proprio il giorno in cui anche il mio enorme divano, dilaniato da unghie di gatto, giaceva sulla strada. L'amica D, che, pur abitando in altro comune, indulge talora in passeggiate lungo il suddetto paesello fino alla campagna, suonò il mio campanello. "Ma cosa succede? il tuo paese ha deciso di ricostituire gli antichi rapporti di vicinanza, quando gli anziani si sedevano a cercare chiacchiere e frescura fuori dall'uscio, creando un condominio di allegri scambi e comuni lavori di cucito? E anche tu fai parte di questo rivoluzionario movimento?" 

La ditta, per motivi mai chiariti, non era passata, quella mattina, e il paese aveva cambiato fisionomia, come se le case si fossero rivoltate all'esterno, sputando scorci di intimità, pezzi di salotto, centrini, materassi, in un'incontenibile voglia di socialità. 

Fossimo stati in un libro di Rodari, questo sarebbe stato sufficiente agli abitanti per lanciarsi in pastasciutte sociali, partite a briscola su tavolini zoppi e visioni collettive di programmi da televisori fulminati, alla Lascia o raddoppia. E non avremmo più potuto smettere, impedendo alla ditta di portar via e cambiando completamente la fisionomia del paese, per scoprirci a vicenda. 

Invece no. Le macchine hanno pazientemente zigzagato tra i vicoli, i proprietari degli oggetti hanno sospirato sperando in un rapido sgombro per i loro cancelli ostacolati, imbarazzati dalla pubblica visone di quei mobili vecchi e malmessi e un'eco di allegra perplessità è rimasta solo a chi, come la mia amica, ci si era trovato per caso. 

Un'altra occasione persa, perbacco. 

giovedì 1 giugno 2023

Il conte Attilio

Inizio con un'ammissione: ho molto amato i Promessi sposi. Certo, come tutti, non negli anni in cui ti costringono a studiarlo come fossero formule chimiche "sottolinea tutti in casi in cui don Abbondio si serve di complementi predicativi dell'oggetto, pur inconsciamente"; "in quale capitolo l'autore utilizza l'analessi?"; "confronta l'addio ai monti di Lucia con l'addio di Renzo al Ducato, fai un collegamento con l'addio di 'Ntoni del Verga e poi ipotizza un tuo personale addio a Cavalicco". Un addio a tutti i Santi, ti si formula nel cavo orale, e non trovi il tempo, e la forza, di amare niente.

L'ho iniziato ad apprezzare quando ho capito che la mia felicità letteraria trova completa realizzazione nel romanzo dell'Ottocento, con picchi inarrivabili di passione per quello inglese e rapporti aspri e altalenanti con quello russo (se qualcuno mai volesse approfondire, troverà qui un'estensione del mio pensiero). Il romanzo inglese dell'Ottocento è per me come una consolante tazza di cioccolata, quando fuori piove e dentro anche, ma senza le calorie. Dicevo, dunque, che quando ho focalizzato il centro del mio amore nella creatura ottocentesca, di carta eppur viva, mio padre, tra l'altro insegnante di lettere che, ci scommetterei, non ha mai costretto don Abbondio a contare i predicativi, mi ha consigliato di rileggere i Promessi sposi e acciderba, è un lavoro coi fiocchi.

Tutto questo per spiegare qualcosa che ora non saprò spiegare: perché diavolo mi sono messa a leggere un prequel attuale dei Promessi sposi? Non è che per ribadire il mio assoluto amore per Cent'anni di solitudine ( e daje coi link autoreferenziali) ora sentirò il bisogno di leggere "Verso Macondo. L'epopea degli Aureliani prima dei Jose Arcadi"? Però avevo bisogno di consolazione, in un periodo piuttosto nervoso e impegnato. E quindi ho pensato che cappa, spada, nobile irrazionale orgoglio e città fetide fossero l'ideale. 

Il conte Attilio, nei Promessi sposi, è una figura assolutamente marginale, pur con una sua rilevanza, dato che, da cugino di don Rodrigo, avvia l'azione del romanzo scommettendo con lui sulla conquista di Lucia. Il Manzoni non lo tratta approfonditamente, lasciando così a Paglieri tutta la libertà di immaginare le caratteristiche del personaggio e la sua storia precedente. E' un nobile cadetto, soldato coraggioso e ricco di iniziativa, che nel 1627 torna dalla guerra, sia per salvare la sorella dal convento in cui il fratello primogenito l'aveva relegata, sia per tentare, da patriota, di riportare Milano a essere una capitale libera dal dominio opprimente degli spagnoli. 
L'autore, intervistato, ha spiegato che il grande vantaggio della scelta del romanzo storico è la possibilità, per chi lo scrive, di studiare per un paio d'anni il mondo dell'epoca, in modo da poter essere accurato, e la possibilità, per chi lo legge, di gettarsi in un'avventura con tutti i tòpoi del genere, imbattibili nell'insegnare roba divertendo nel contempo. Interessante il fatto che Mazoni si sia ispirato, per don Rodrigo, a un componente della famiglia Arrigoni, realmente esistita, che nel Seicento era immersa in una faida perpetua con la famiglia Manzoni, il cui illustre discendente, dunque, non si contiene nel disegnarne i membri come malvagi. 
Paglieri riconosce invece a questi personaggi umanità e generosità, approfittando forse anche della complessità psicologica che ci hanno regalato i secoli trascorsi tra la scrittura di allora e quella di oggi, e prova a guardare dalla parte opposta. 

mercoledì 24 maggio 2023

La canzone di Achille

In questi mesi sento come un bisogno di Achei. Qualche tempo fa ho letto l'Odissea,  proprio durante un viaggio a Ischia, imbattendomi nello scoglio che si dice rappresenti la nave dei Feaci, pietrificata da Poseidone, offeso perché avevano aiutato Ulisse a tornare a casa. Avere il libro in mano e la roccia davanti, per quanto, ne sono consapevole, sia solo uno scoglio, ha il suo impatto emotivo. 

E ora ho letto La canzone di Achille, che ripercorre l'Iliade (utilizzando come fonti anche l'Odissea e poi Virgilio, Ovidio Sofocle, Euripide, Eschilo, tra gli altri) per raccontare, dalla parte di Patroclo, la propria vita e quella del Pelide fino alla morte sotto le mura di Troia. Queste operazioni non sono universalmente condivise: i puristi odiano le commistioni tra capolavori storici e interventi attuali, considerandoli forzature al pari dell'antropomorfizzazione delle bestie nei documentari ammiccanti; una recensione del New York Times al tempo dell'uscita concludeva che questo libro avesse la testa di un romanzo per giovani adulti, il corpo dell'Iliade e i quarti posteriori di un Harmony. Io invece, se ben fatti, questi interventi li apprezzo, anche perché aiutano a sentire come tremendamente umane, e terribilmente personali, vicende che, studiate a scuola in malo modo, risultano addirittura prive di spessore, mentre ne sono colme. E soprattutto invogliano a riprendere l'originale con ben altra consapevolezza.

L’ha scritto Madeline Miller, scrittrice e docente statunitense, impiegandoci molti anni, dopo essere stata folgorata dalla descrizione di Omero del dolore e della rabbia di Achille per la perdita del compagno, che per il resto, nell'ambito dell'opera, rimane un personaggio secondario. Cercando di elaborare una sorta di tessuto connettivo tra le ossa imbastite da Omero, narra l'infanzia, l'adolescenza e la giovinezza dei due protagonisti fino al tragico epilogo. 

Fossero o meno amanti, Omero non lo dice chiaramente. Lo accennano altre fonti (Eschilo, Platone), ma a un certo punto, sticazzi. L'importante è la connessione intima tra i due uomini, la comprensione profonda, i diversi ruoli a cui sono destinati, il protagonismo, il bisogno di immortalità che vanifica l'anelito alla purezza; l'orgoglio cieco e la generosità; il mondo che trascina verso un destino che forse avrebbe potuto essere messo in discussione a favore della felicità, ma appare come ineluttabile. Il dolore, immenso, della perdita, pur attesa come inevitabile. Insomma, la modernità di quegli uomini o la nostra vecchiezza; il fatto che restiamo sempre quelli, immobili nelle nostre meschinità e nei nostri slanci. Lontani tra noi, nel tempo o nello spazio, resta tutto uguale, anche quello che ci fa ridere e piangere. 


 

giovedì 18 maggio 2023

Homo deus. Breve storia del futuro

 


Un romanzetto da niente, praticamente. Una cosuccia da 560 pagine, trasformate nel mio kindle in numeri random dal significato sconosciuto ("posizione 7643". Boh).

Mi ero innamorata del suo precedente Sapiens. Da animali a dei, qualche tempo fa. Si occupava della storia dell'umanità, e non facevo che citarlo ovunque, per il terrore di chi mi incontrava. Questo secondo volume, che si occupa del futuro, dà invece le vertigini.

Si apre con questa considerazione: per la prima volta, nella storia dell'umanità, si è riusciti a tenere sotto controllo carestie, pestilenze e guerre (sempre in termini ampi, diciamo, per cui è più facile oggi morire di troppi hamburger che trafitti da lance) e l'uomo, ora, mira ad elevarsi al rango di divinità, attraverso la ricerca della felicità eterna e dell'immortalità. In questo modo, però, attraverso robotica, intelligenza artificiale e ingegneria genetica, l'essere umano rischia di rendere superfluo se stesso. 

Capirete che, non riuscirò mai a descrivere e motivare una tesi così corposa; sarò costretta a sorvolare su tantissime considerazioni che ho trovato davvero interessanti e lucide, e probabilmente non riuscirò a creare un flusso di informazioni perfettamente incastrate l'una nell'altra e consequenziali; ma se si dovessi illustrare 560 pagine in un post di 200, credo che a tutti converrebbe rivolgersi direttamente al libro. Cosa che comunque consiglio caldamente. 

La rivoluzione agricola ha messo a tacere gli animali e le piante, subordinandoli completamente all'uomo e al suo personale dialogo con gli dei. La rivoluzione scientifica ha tolto di mezzo anche gli dei, creando una sorta di one-man show sulla terra, un monologo senza patti con nessun altra creatura e senza alcun obbligo. Per mantenere se stesso al centro, l'uomo ha sempre creato quella che viene definita una rete di significato, che si ottiene quando molti individui intrecciano insieme una ragnatela di storie (ad esempio il valore della carta che compone il denaro, il digiuno religioso, l'andare a votare, i segnali stradali). Una rete che ha valore unicamente perché la mia famiglia, i miei vicini e magari anche quelli lontani, pensano come me che abbia un senso. Nella storia, questa rete di significato si disfa di continuo e un'altra ne viene tessuta. Ciò che è più importante in un momento storico può essere totalmente irrilevante per i discendenti di quegli uomini. 

Attualmente gli abitanti della Terra vivono in modo vorticoso una realtà che sono diventati incapaci di interpretare. Non si riesce a tirare il freno di questo viaggio verso l'ignoto, perché da una parte nessuno, al momento, può essere esperto di tutti i campi del sapere attuale, nessuno può recepire tutte le scoperte scientifiche, o prevedere l'assetto dell'economia globale tra qualche anno. Per questo la politica, nel XXI secolo, risulta priva di grandi visioni, si limita ad amministrare, non a guidare, non potendo elaborare in modo sufficientemente rapido ed efficiente questa montagna di dati che ci circonda. Capire il significato di un mondo in cui millenari pregiudizi sono stati spazzati via e le nuove strutture diventano antiquate prima ancora che possano cristallizzarsi è oltre le nostre umane possibilità. Abitiamo un mondo caotico in cui però la tensione costante, individuale e collettiva, è quella di evitare che nessuno si ritiri dalla competizione. Il postulato è quello che la crescita sia l'unica fonte di successo, e la stagnazione l'inferno. Nessuna istituzione combatte più per moderare i desideri e l'avidità individuali e mantenerli in una specie di equilibrio, come si viveva un tempo, in cui si considerava di stare dentro a una torta di dimensioni fisse. E anche se potessimo tirare il freno, di questo viaggio vorticoso, il nostro sistema economico collasserebbe, perché necessita di crescita costante per sopravvivere. Un'economia che si regge sulla crescita infinita ha bisogno di progetti infiniti. 

Nel mondo scientifico, in particolare nelle sue due discipline madri, l'informatica e la biologia, si è sviluppato il datismo. Sostiene che l'universo consiste di flussi di dati e che il valore di ciascun fenomeno o entità è determinato dal suo contributo all'elaborazione dei dati. I dati, che finora erano il primo passo nella catena dell'attività intellettuale (da questi si distillavano le informazioni, da queste la conoscenza e da quest'ultima la saggezza), ora sono l'inizio, e l'elaborazione di questi è il fine ultimo. La storia della specie umana può essere interpretata come un unico sistema di elaborazione di dati verso il miglioramento dell'efficienza, attraverso l'aumento dei processori (da minime comunità al web) e delle loro connessioni (rete commerciale), attraverso l'aumento della libertà di movimento, sviluppati in diverse epoche. La biologia, ad esempio, ha scoperchiato il mondo del libero arbitrio, come un'altra mera credenza. Se gli uomini fossero liberi, come potrebbero essere forgiati dalla selezione naturale? E se siamo fatti di algoritmi, noi, come il resto delle entità sulla Terra, non possiamo scegliere quelli che ci sembrano i nostri desideri più profondi (gli scanner cerebrali moderni possono prevedere i nostri desideri prima che ne siamo consapevoli). Quello che sembra una nostra scelta è una reazione biochimica a catena che solo ex post si visualizza nella mente come un desiderio. Noi sentiamo i nostri desideri, non li scegliamo. L'essere umano, come sempre nella sua storia, si difende attraverso due grandi capacità: quella della auto narrazione e quella della dissonanza cognitiva. Ci concediamo di credere a una cosa quando siamo in un laboratorio e tutt'altra quando siamo in tribunale o in parlamento. Infatti, quando uscì L'origine della specie, non si è smesso di andare a messa, lasciando tranquillamente convivere dottrine contrastanti. Ma in quest'epoca c'è qualcosa di profondamente diverso: questo nostro dualismo, fondamentale per sostenere la nostra auto narrazione, è minacciato dalle tecnologie, non più dalla filosofia di pochi. Tutti i congegni di cui ci stiamo circondando non ammettono il libero arbitrio e per noi sarà un cambiamento mai visto prima. Perché se nei film di fantascienza si dà sempre per scontato che i computer debbano munirsi di coscienza per superare l'intelligenza umana, nella realtà possono assolutamente prescinderne e creare un percorso diverso e più veloce verso una super intelligenza che possa fare a meno di noi, o per lo meno di quelli di noi che, per scarso accesso alle conoscenze e per censo, non riescano a diventare "uomini potenziati" in grado di gestire un mondo completamente nuovo. 

In breve, l'autore ci spinge e rivolgere la nostra attenzione verso questi processi che si stanno interconnettendo: 
- la scienza converge verso un dogma omnicomprensivo che sostiene che gli organismi sono algoritmi e la vita è un processo di elaborazione di dati.
- L'intelligenza si sta affrancando dalla consapevolezza.
- Algoritmi non coscienti, ma estremamente intelligenti, potranno a breve conoscerci meglio di come conosciamo noi stessi.
Questi processi possono essere contestati, ma avranno sicuramente un rilievo serio nel destino dell'umanità, e dovranno essere presi in considerazione nell'immaginare il nostro futuro. 

Harari è uno storico. In questo libro non trova una soluzione. Cerca di collaborare a una più approfondita comprensione della realtà attuale. 
E, da storico, cerca di dirci che imparare la storia non serve a prevedere il futuro, ma a liberarsi del passato e immaginare destini alternativi. Non saremo mai del tutto liberi dai condizionamenti della nostra storia, ma meglio una libertà parziale che nessuna libertà. 



giovedì 11 maggio 2023

Punti fermi


Un uomo e una donna al tavolo di un bar.

Il cameriere non sa chi abbia ordinato cosa, e porta un caffè liscio e uno macchiato: se non chiede, e spesso non chiede, porgerà quello liscio all'uomo.
Un macchiato e un decaffeinato: il macchiato all'uomo.
Un decaffeinato e un orzo: il decaffeinato all'uomo. 
Un alcolico e un caffè: l'alcol all'uomo.
Un alcolico e una bibita: l'alcol all'uomo.
Uno spritz aperol e uno spritz campari: lo spritz campari all'uomo. 
Un americano e uno spritz: l'americano all'uomo. 
Una birra e del vino bianco: la birra all'uomo.
Del vino rosso e del vino bianco: il rosso all'uomo. 
Non è nemmeno statistica. E' certezza. 
Non me ne sono accorta organizzando particolari esperimenti sociologici: semplicemente devo, ogni volta, scambiare con l'altra persona quello che mi viene messo davanti.