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martedì 18 aprile 2023

A volte tornano

E' strano, prendere tutto un malloppo di passato, di quando la prole ti saltellava intorno in una condizione di totale dipendenza, tenerlo lì sotto e tentare di proporre qualcosa di molto diverso, che sì, viene da quella roba lì, da quelle esperienze, ma per certi versi è di nuovo una vita più simile a quella da giovani e per altri son giornate da vecchi perennemente stanchi e acciaccati. Fatto sta che in questi anni di silenzio, nei quali non mi nutrivo di scrittura, io continuavo a pensarci, a questo diario che restava solo nella rete, sconosciuto ai più e giustamente dimenticato dai pochi, tra altri milioni di diari e che conteneva cose che per me erano importanti: mi avrebbe per esempio impedito di dimenticare molti giorni. Quindi è sempre stata rassicurante, l'idea che da qualche parte ci fosse; che, come pare accada per le foto imbarazzanti, la rete prima o poi restituisca ogni cosa (tranne le tesi di laurea cancellate per errore, che invece finiscono in un universo parallelo dal quale non si torna). Questi racconti, qui sotto, mi tengono per certi versi ancorata a quella vita, con un bambino piccolo, all'asilo e all'inizio della primaria, quando i pomeriggi erano spesso fatti di mutuo soccorso tra madri, dopo scuola a lasciar sfogare i pargoli; era incredibile, quante cose delle reciproche vite si finiva per conoscere, fuori dalla scuola col sole e col freddo boia, a consolarsi e consultarsi a vicenda. Ora, madri di adolescenti, non ci si conosce più, tra famiglie della classe del liceo, e si finisce per avere più tempo, ma socialità meno assidua, salvo recuperare quella della gioventù, sempre che si sia stati abbastanza saggi da mantenerne degli scampoli. Tutto questo per dire: l'impulso impera! Ricomincio a scrivere: qui le mie letture, o le giornate che può valere la pena di ricordare e condividere con gli amici. E altrove (sarò più precisa a breve) i miei viaggi, dato che mi è stato detto che era un peccato, che tutta la mia programmazione ossessivo-compulsiva-certosina restasse confinata in un quaderno A5 invece che a disposizione dell'umanità (i venticinque lettori di manzoniana memoria). Quindi coraggio, ricominciamo. 

martedì 29 gennaio 2013

Genitori quasi perfetti


Piscina. Spogliatoio
Bambino: - Mamma, io e Clara siamo i più bassi della classe, così abbiamo fatto amicizia. Siamo i più piccolini, in attesa di crescere.
Madre: - Beh, tu sei un maschio, dovresti essere più alto.
Figlio: - ma non è colpa mia, io vorrei crescere. Ma c’è chi lo fa prima e chi lo fa dopo, vero, mamma?
Madre: - sbrigati a spogliarti.
Figlio (spogliandosi): - Io credo che prima o poi crescerò, anche più di Clara, forse…
Madre: - guarda che l’anno prossimo avrai otto anni, e io non potrò più entrare qui a aiutarti, devi muoverti e fare da solo!!
Ecco. Brevi attimi in cui ci si sente una madre perfetta.

sabato 10 dicembre 2011

Non facciamoci mancare niente


Credo che questo blog, anche con il suo nuovo titolo che provvederò in breve a dare in pasto al pubblico, resterà noto ai motori di ricerca in virtù di svariate malattie. Mentre iniziavo a preoccuparmi per l’assenza di tonsillite, che da oltre un mese evitava di farmi visita, ci ha pensato un altro pezzo di corpo, a dar voce alla voglia di sofferenza: alle cinque e mezza di mattina mi ha svegliata una potente colica renale.
Un micidiale minuscolo sassetto, a forma di castagna, con punta ossuta e culo strabordante, mi ha inferto quasi dieci ore di laceranti dolori, conditi da una gita al pronto soccorso dopo aver dato ordini, piegata in due sul divano, circa il libro da mettere in borsa per lenire il terrore della noia pur desiata, e poi da morfina a piene mani, da rari momenti di lucidità in cui, dimenticata su una barella in un angolo del corridoio sotto la scritta: vietato sostare in corridoio, assistevo a dialoghi tra addetti che riferivano di aver perso impegnative e perfino pazienti, ostentando sicumera coi parenti, e medici confusi (“mi danno un ricettario e io scrivo: fortuna che non mi hanno dato un kalashnikov).
Ne sono uscita, e come sempre mi ha stupita la perfetta pace dell’anima che subentra ai dolori più tremendi del corpo. Nelle pause di oblio indotto dalle più svariate sostanze psicogene, mi chiedevo, fatalmente consapevole di entrambe le sensazioni, se fosse peggio il parto o la colica.
Dopo lunghe riflessioni, credo sia peggio il parto: perché dalla colica i medici cercano di proteggerti come possono, dal parto manco per sogno, anzi, ti guardano come a dire: hai voluto la bicicletta… quasi fosse un capriccio, quest’affare di portare avanti l’umanità. E poi partorire un sassetto o un fagotto di 4 chili, pardon, non è proprio la stessa cosa. 

martedì 23 marzo 2010

Scuolaaa?



- Ciao, Babi, papà va al lavoro, e tu vai a scuola con la mamma.
- Nooo babi no scuola, Babi casa con la mamma. Pappa, gioco, nanna.
- Ma Babi, dobbiamo andare tutti al lavoro, e tu, come fai, resti a casa con Pantacollant?
- Ma noo, papà! Babi casa con la mamma e gatto! No solo!

Ci sono momenti nella vita di una donna, o di un uomo, in cui sarebbe estremamente opportuno mandare a fanculo il tempo, il progresso, la performance, per buttarsi nel vaso di biscotti con un Babi e oziare guardando Scat Cat e la sua banda del jazz. I bambini hanno precisa consapevolezza del momento in cui questo diventa necessario. E poi, come noi, imparano a negare l’evidenza.

mercoledì 2 dicembre 2009

Oasi


Ho sempre messo in dubbio l’opportunità del bagno casalingo nella vasca:
- per il problema ecologico; io sbadiglio svagata nei litri d’acqua che disseterebbero una tribù di Turkana per circa due mesi, capre comprese;
- per la sensazione vorrei ma non posso: sogno una vasca dove sguazzare a larghe bracciate tra mille bolle artificiali e in realtà mi stendo in qualcosa di più simile a una bara, in cui restano fuori numerose parti del corpo, che poi fanno ricorso;
- per la lentezza del riempimento, la lentezza dello svuotamento, la temperatura sempre da ricalibrare a fronte di una fugace serenità;
- perché ci sono troppo pochi libri impermeabili in commercio, e di solito contengono storie con intrecci troppo brevi e molto inverosimili, tipo: balena (giro pagina) pesciolini (giro pagina) fanno il bagno insieme (finito il libro).

Ma ieri sera mi sono trovata di fronte alla vasca, dopo il bagnetto di babi. L’ho liberata da:
- n.5 paperette difettose che nuotano di fianco
- n. 1 spazzola morbida per capelli
- n. 1 rastrello di plastica
- n. 1 libro impermeabile con l’avventurosa storia della balena
- n. 3 confezioni di shampoo vuote
- n. 1 calzino gettato in fase di vestizione bebè
- n. 1 flacone di fluoro in gocce
- n. 3 carte da scala quaranta.
E poi ho guardato la vasca. E ho deciso di farlo, dopo tanto tempo. Cavolo. Abbandonata ogni remora morale, vapori di bicarbonato e tea tree per liberare il naso, un libro pur non impermeabile, acqua bollente, quella da tre fasi: - ODDIO MUOIO – Però…- beh beh beh, mi sono ricordata di esistere fisicamente, realtà che dopo il parto perde concretezza, fino a non crederci più.

venerdì 16 ottobre 2009

esperienze estreme


Il nostro nume tutelare indù, la babysitter, è ormai di casa il sabato mattina, quando noi giochiamo agli snob e usciamo con l’aria annoiata verso un campo da tennis che dopo la nostra prestazione professionale sembra Custoza il 27 luglio 1848.
Ieri, però, con il losco fine di sperimentare se ce la faremo ad andare allo spettacolo di Corrado Guzzanti tra qualche settimana, l’abbiamo chiamata di sera, affinché provasse ad addormentare la creatura in nostra assenza.
Babi giocava con me sul divano, ridevamo come matti della ipotetica puzza dei suoi piedi (su questo lo imbroglio, per abituarlo a curarsi prima dell’adolescenza), e il Nume è entrato, portando con sé la sicumera che sempre ostentano coi bambini le babysitter, e un alito di una certa pregnanza all’aroma d’aglio, che sicuramente avrebbe avuto un ruolo importante nel far cadere addormentato il piccolo.
Babi ci ha guardati: ecco, il tranello. Avrei dovuto sospettarlo. Ridi, ridi, fidati dei genitori..
Questo esprimevano i suoi occhi, prima ancora delle sue abilità vocali, per ora limitate a una trentina di parole.
E così è rimasto, forse anche intontito dall’aglio, fino alla nostra uscita. Non un pianto, non una parola o un sorriso.

Ho passato due ore e mezza piene di aghi di pino in bocca, anche se doveva trattarsi di pizza, serata fatta di cena e chiacchere a casa di nonna D con una sua amica neo-nonna N, mentre Marito girava vorticosamente tra i termosifoni cercando di abbassare la pressione della caldaia, che stava per ridurre la casa come il nostro campo da tennis.
Su per le scale origliavamo immaginando pianti furiosi.
Aperta la porta all’improvviso, tipo: aha, beccata mentre torturi il mio piccolo, c’era il Nume che leggeva distrattamente un libro di favole deprimenti tipo la piccola fiammiferaia, serafica e assonnata. Babi dormiva dentro il suo sacco a pelo che si ostinano nei negozi a chiamare sacco-nanna, come la crema-corpo e il mestolo-brodo.
Non una lacrima, non un problema.
Ero commossa e contenta, mentre Marito accompagnava il Nume, fino a che ho pensato: ecco, domani mattina si sveglia.. e chiama lei.
La maternità è una mostruosa fonte di ossessioni.

giovedì 17 settembre 2009

livelli di casino


Una casa munita di bebè è qualcosa di indescrivibile.
Il nanerottolo non è l’unico responsabile del tutto, perché i genitori vivono una specie di rassegnazione permanente, o meglio: all’inizio mettono via i giochi, chiudono lo sgabello contenitore da cui la bestiola ha estratto phon, diffusore, spazzolino, anitra wc e 5 stracci, rimettono via scatolette di tonno, vasi di maionese e crackers tirati fuori dalla dispensa, spengono la luce accesa a mezzogiorno, e puliscono perfino le gocce di bava da dentini in crescita che costellano il pavimento di ogni stanza, su cui di solito lo streghetto poi scivola rovinosamente cadendo supino e rimanendo immobile per poi ridere del tuo infarto.
Dopo un po’ ci si limita a spostare il pesce musicale col piede, cacciandolo sotto il divano con un numero imprecisato di mollette e il sellino del fuoristrada del piccolo, a sospirare davanti ai gatti di polvere che contendono i croccantini a Pantacollant, e a obbligare il nanetto alle ciabatte per evitare di incappare nei vetri sparsi del barattolo di maionese che questa volta non ce l’ha fatta.
E la domenica si passa a pulire, cacciati fuori con la scopa Marito e Castoro, per il moto di ribellione che di solito è più frequente nel lato femminile della casa, poiché negli anni ho constatato che la soglia di tolleranza del casino è nel maschio spostata in avanti come il termostato di una sauna, e se lui comincia a notare che forse si sta esagerando, è perché la compagna è scappata di casa da almeno sessanta giorni.
Da tutto questo la decisione: da ben due settimane ci stiamo godendo il lusso sfrenato di una persona che ci fa le pulizie a casa, il nostro nuovo nume tutelare indù, con tanto di bindi in mezzo alla fronte. Solo che ci possiamo permettere solo una visita a settimana, e ieri ho dovuto ammettere a me stessa che è un lusso totalmente inutile. Infatti, la felicità, per un giorno soltanto, di tornare a casa con gli occhi lucidi per il brillio del parquet e per la commozione di vedere un mobile ormai dimenticato sotto le carte, di trovare lenzuola fragranti come pagnotte e vetri che assolvono alla loro funzione non vale la spesa, perché la sera stessa è tutto come prima, né vale l’umiliazione: signora, ho dovuto fare sei ore. Era tanto, tanto sporco.

PS: mi perdonino i miei cinque lettori (Manzoni scherzava, io dico sul serio) per la totale mancanza di discussioni letterarie in questi giorni. Lo studio delle faccette come da post del 15 settembre, l’intrattenermi il resto del tempo con la digital classification, e anche, devo ammettere, lo scarso appeal che il libro sul comodino sta esercitando su di me (dovrei applicare il terzo diritto del lettore, ma il senso di colpa è difficile da tenere a bada) fanno sì che questo sia uno dei periodi meno librivori della mia vita, esattamente in concomitanza con la decisione di scriverne.

lunedì 14 settembre 2009

Terrore sui campi da tennis


Ho sempre preso in giro le mamme che diffidano di chiunque nel lasciare i loro nanetti per qualche meritato svago; anzi, quasi temevo che la stanchezza, e il bisogno, dopo mesi, di avere un momento per me, mi avrebbero fatto perdere ogni senso critico, facendomi abbandonare il Castoro anche alle cure di una banda armata, purchè mi promettessero di sospendere momentaneamente le azioni più spericolate.
Io e Marito (così chiamava il marito una nostra vicina, e ci ha sempre divertito) abbiamo deciso di chiamare una babysitter per andare insieme a giocare a tennis, fingendo di essere morosi spensierati. Abbiamo scelto spavaldamente, senza nemmeno un colloquio da Mrs. Doubtfire, la cognata di una di cui sapevamo che era stata affidabile con l’amica dell’amica - l’affidabilità è notoriamente una qualità transitiva tra affini fino al terzo grado – e le abbiamo dato appuntamento così, senza preliminari, senza reciproci complimenti.
Ebbene: entrambi abbiamo passato silenziosamente una settimana d’inferno, confessandocelo solo dopo, pur di ostentare sicumera l’uno con l’altra.
Immaginavo furgoncini appostati due vie più in là, pronti a accogliere mio figlio appena noi avessimo svoltato l’angolo, per introdurlo in un traffico di bambini, organi, capelli per parrucche. Ipotizzavo due ore di sottoposizione a tali traumi che a undici anni il Castoro si sarebbe già strafatto di polvere d’angelo, o sarebbe stato assoldato da qualche gruppo pop-melodico a Milano Marittima.
Insomma, tutto, immaginavo, meno che ritrovarlo seduto sul pavimento, la bocca piena di biscotti e l’aria ridanciana, a agitare nell’aria il suo camion – nellavecchiafattoria.
Ci sono momenti, nella vita, di sollievo impagabile, pur con i muscoli annodati dall’attività fisica dopo lunghi mesi di immobilità, salvo il solleva-bebè.
Ciò non toglie che ora io stia iniziando la settimana riflettendo sulla furbizia della babysitter, che ha rimandato al secondo appuntamento le sue losche trame per entrare con comodo nel cuore di questa ingenua famiglia.

martedì 8 settembre 2009

Contemplando la rugiada del mattino



Devo dire che io mi ritenevo una dal risveglio veloce. Se a qualcuno veniva in mente di telefonarmi nel mezzo della notte, alla cornetta risultavo la segretaria perfetta, al lavoro da ore e con la mano sul telefono. Lucida, competente, puntuale. Ciò non escludeva che, chiusa la comunicazione, vomitassi i resti della cena per lo spavento, ma nella solitudine del mio bagno. Nessuno doveva sapere.
Ora, questi 17 mesi di super allenamento nell’arte dei risvegli improvvisi e dell’immediata soddisfazione di bisogni primari altrui, invece di accrescere la mia professionalità, mi stanno rendendo uno di quegli esseri letargici che rotolano dal letto proferendo parole irripetibili, balbettano appena per qualche ora, sollevano completamente le palpebre solo a metà pomeriggio, e non riescono a rispondere nemmeno a quiz di semplici serie numeriche.
Si balza dal letto alle 6.10, qualche volta con il gentile aiuto della sveglia, che si sintonizza da sola su balli lisci stile balera perché li ritiene il massimo dello spasso; più spesso grazie ad urla sovraumane del Castoro di là, il cui umore varia tra aahaharghghueeeue e il più simpatico: mamma? Papà? Nonno? Pappa? Latte? Nonna? Pitta? Cacca? Calla? – insomma, una sorta di ripasso linguistico in vista della dura giornata di lavoro.
Se il risveglio è aiutato dalla sveglia, marito e moglie, muniti di 2 provvidenziali bagni in affitto, godono del lusso di scaraventarsi nelle rispettive docce, sempre a turno, perché il Castoro potrebbe stare in silenzio per organizzare l’esilarante scherzetto di chiamare a gran voce due genitori bagnati e carenti di latte caldo. Se invece il ragazzo anticipa la sveglia, niente da fare. Sarà per domani anche lavarsi seriamente.

mercoledì 2 settembre 2009

Dopo aver dormito


Da quando ho iniziato questo blog, manco a farlo apposta, non tocco più un libro, perchè il furetto le scorse notti non ha mai dormito come ogni madre vorrebbe, ossia acriticamente e totalmente immobile per almeno dieci ore di fila.
Di conseguenza non ho nulla da dire che arricchisca il panorama letterario contemporaneo, e i libri sul mio comodino, e ai piedi di questa pagina, si impolverano vergognosamente guardandomi con severità.
Ma spendo due parole, per piantare a gioiose badilate una pietra miliare su questi mesi di fatiche, riguardo a questa notte, in cui ho dormito dalle nove e mezza alle sei e dieci, grazie a un caritatevole marito lavapiatti e cambiapannolini e a una piccola bestia sprofondata come si deve tra la gallina e gli orsetti che accompagnano le sue notti.
Magnifico, quasi mi pare di esser più intelligente.
Al lavoro, sorrido bonaria alla collega T, che parla quasi esclusivamente a luoghi comuni, e che di solito vorrei strozzare: penso che anche a far questo ci vuole una certa abilità, e buonanotte al secchio. Festa finita. Avanti, Savoia.

martedì 1 settembre 2009

Spazi bianchi


Dopo l'angoscia da madre inadeguata, da impiegata frustrata, da lettrice rallentata, da donna di casa pressapochista, proprio non mi immaginavo di introdurre nella mia vita anche l'angoscia da post vuoto. Dunque rifiuto l'addebito, e vado a riempire.

Forse il fatto di creare un blog per lasciare traccia di ciò che leggo proprio quando un piccolo vortice di 17 mesi mi risucchia ogni energia, e riduce le pagine lette dell'80% rispetto ai bei tempi, non è proprio un'idea di quelle che emanano luce propria. Però mi fa pensare a qualcosa di positivo, e fa in modo che così io possa lasciare qualcosa da qualche parte dei giorni che vanno e vanno, lasciando solo tanto sonno. Poi, magari, un giorno, tornerò a prendere possesso del mio Libro, senza che mi venga strappato di mano in impeti di gelosia, sempre dal piccolo vortice. E potrò ricordare ciò che mi è passato tra le mani per più di qualche mese.
Forse in questo periodo la vita, un diario forse banale dei tanti via blog, avrà il sopravvento sulla letteratura, ma almeno la cosa rispecchia i miei giorni. E almeno, così, me ne ricorderò.

La prima sera di questo blog c'è stata una magnifica festa di amici cari, con un fisarmonicista le cui note sono emerse a sorpresa dai fitti cespugli del giardino, mentre tutti mangiavano guardandosi intorno per capire.
Ho scoperto che il vociare di venti persone che tentano di sovrapporsi ai tanghi di Piazzolla rappresentano per mio figlio la ninna nanna perfetta. Certo che organizzare il tutto a casa ogni sera impegnerebbe un budget di una certa rilevanza.
Ho infine ascoltato una pubblicità secondo la quale se ti fai fare il fotoalbum delle vacanze te ne regalano un altro: ma di chi? Ma perché?