Credo che
questo blog, anche con il suo nuovo titolo che provvederò in breve a dare in
pasto al pubblico, resterà noto ai motori di ricerca in virtù di svariate malattie.
Mentre iniziavo a preoccuparmi per l’assenza di tonsillite, che da oltre un
mese evitava di farmi visita, ci ha pensato un altro pezzo di corpo, a dar voce
alla voglia di sofferenza: alle cinque e mezza di mattina mi ha svegliata una potente colica renale.
Un micidiale minuscolo
sassetto, a forma di castagna, con punta ossuta e culo strabordante, mi ha
inferto quasi dieci ore di laceranti dolori, conditi da una gita al pronto
soccorso dopo aver dato ordini, piegata in due sul divano, circa il libro da
mettere in borsa per lenire il terrore della noia pur desiata, e poi da morfina
a piene mani, da rari momenti di lucidità in cui, dimenticata su una barella in
un angolo del corridoio sotto la scritta: vietato sostare in corridoio,
assistevo a dialoghi tra addetti che riferivano di aver perso impegnative e
perfino pazienti, ostentando sicumera coi parenti, e medici confusi (“mi danno
un ricettario e io scrivo: fortuna che non mi hanno dato un kalashnikov).
Ne sono
uscita, e come sempre mi ha stupita la perfetta pace dell’anima che subentra ai
dolori più tremendi del corpo. Nelle pause di oblio indotto dalle più svariate
sostanze psicogene, mi chiedevo, fatalmente consapevole di entrambe le
sensazioni, se fosse peggio il parto o la colica.
Dopo lunghe
riflessioni, credo sia peggio il parto: perché dalla colica i medici cercano di
proteggerti come possono, dal parto manco per sogno, anzi, ti guardano come a
dire: hai voluto la bicicletta… quasi fosse un capriccio, quest’affare di
portare avanti l’umanità. E poi partorire un sassetto o un fagotto di 4 chili,
pardon, non è proprio la stessa cosa.
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