La mia
esperienza insegna che la passione per la vela sia uno di quei piaceri che
trascina invariabilmente l’uomo* in una solitudine profonda, il più delle volte
senza desiderarlo, e quasi senza rendersene conto.
Tutto inizia
con l’acquisto di una barca a vela, della più varia metratura, inizialmente
accolto dall’ignara famiglia con pari soddisfazione di tutti i membri, pregustando
il divertimento, o l’avventura, o il prestigio sociale.
Poi, la prima
spedizione. E le prime crepe. Il velista imbarca la famiglia, e partono
immediatamente i sacramenti: anche l’uomo più mite e gentile nel quotidiano, su
una barca a vela diventa un cerbero dannato, e parla una lingua incomprensibile
ai più, fatta di orza! Il carrello di scotta della randa! bolina larga! La
deriva!
Più numerosi sono
i giovani imbarcati e sottoposti a sevizie, più la moglie si illude ancora di
potersi godere la giornata. Fino a che il boma non le colpisce la nuca, e la randa
non le oscura il sole più o meno ogni dieci minuti, lasciandola in balia della
brezza polare mentre una muta di pazzi le cammina addosso per afferrare scotte,
cime, ancore all’urlo di “impediti! Siete degli impediti!”. Se figli non ce ne
sono, o non sono abbastanza, anche la signora verrà trascinata nel turbine agli
ordini di un ormai irriconoscibile maschio alfa.
Se alla vela
si unisce la passione per la pesca, il matrimonio è in serio pericolo già con
la prima gita: al termine della giornata, mentre il velista siederà al circolo,
con un gin tra le mani, a raccontare di pesci lunghi come semirette, la signora
si ritroverà con duecento cefali da pulire, o millecinquecento seppie grandi
come fragole da liberare dell’osso, perché non vi sia confusione di ruoli tra
mozzi e capitani.
Quando, dopo
un numero generalmente breve di uscite, la moglie si rifiuterà di rivivere
quell’inferno, dichiarandosi dispiaciuta di aver già accettato l’allettante offerta
di un weekend in coda sulla Salerno – Reggio Calabria, i figli ci proveranno
ancora un po’, in parte affascinati dalla doppia personalità paterna, in parte
desiderosi di guadagnarne l’approvazione, e infine, se maschi, ancora
incredibilmente convinti di accrescere il proprio sex appeal con una barca sotto
i piedi.
Ma viene il
giorno in cui la famiglia cede al completo, e al velista non resta che cercare
appassionati come lui per condividere richiami gutturali ed esperienze di mare.
Peccato che ognuno di questi appassionati abbia la propria barca, vuota, enorme
e silenziosa, e ognuno rifiuti categoricamente di riconoscere all’altro
un’autorità immeritata accettando un ruolo da secondo sullo scafo altrui.
Così, il mare
è pieno di uomini soli su barche fuori misura, la cui assenza, se cala il vento
all’improvviso immobilizzandoli in mezzo alla baia, viene notata dalla famiglia
solo verso sera, quando la tranquillità si protrae troppo per non sembrare
innaturale.
* tutto questo
può accadere anche a generi invertiti, ma nella mia esperienza, a farsi
stregare da questo baratro, sono sempre gli uomini, e, arbitrariamente,
riconosco alle donne sempre un po’ di più sale in zucca quanto alla scelta dei
loro passatempi
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