Questo weekend abbiamo ripreso la bicicletta; sapete, quella cosa con due ruote, tu pedali e lei si muove moolto di più della forza che ci metti: questo ultimo dato è garantito solo se non sei in mezzo alla tappa dello Zoncolan.
E’ una macchina magnifica, quella che tenterei di illustrare a Leonardo se mi trovassi nel quattrocento con Troisi e Benigni (prima o poi mi succede, non voglio che mi si colga impreparata) anche se a fatica riesco a immaginare il risultato della mia scienza sotto il culo del genio.
Insomma, abbiamo ripreso il nobile strumento che utilizzavamo come unico locomotore negli anni dell’Università, e che ha molto a che fare con il periodo del reciproco corteggiamento con Marito, ma che avevamo infilato in garage dalla nascita di Babi, presi da sfinimento e scuse di sfinimento, da paure di traffico e scuse sull’entità del traffico.
Ora abbiamo un seggiolino, un casco per Babi, e abbiamo ricominciato a metterci alla prova. Babi, il più comodo della combriccola, se la godeva paurosamente guardandosi pigramente in giro, chiedendo borracce d’acqua nemmeno fosse lui a faticare, e cantando la canzone del Piave in quel curioso linguaggio che si è inventato, un po’ come cantavo io in inglese da bambina.
Il dato positivo di questa esperienza è che tutti i dolori muscolari che mi soggiogavano ormai da quasi due anni di immobilismo se ne sono andati con una leggerezza impensabile. Il mio corpo è tornato da quello di una settantenne a quello di una mmmhenne. Ho dormito senza bisogno di due infermiere della casa di riposo “anni sereni” che mi girassero sul fianco per evitare le piaghe da decubito, e mi sono alzata al mattino senza santiare ad ogni passo per i reumatismi. Tutto per qualche giro in bici.
Il dato negativo è che l’unica parte del corpo che non era stata colpita da anzianità improvvisa si è svegliata in un cumulo di disperazione: il sedere del ciclista ha fatto la sua comparsa dopo un’ora, e non mi ha ancora abbandonata. L’importante è non rinunciare, rimettersi subito in sella, e capire che stringere i glutei non aiuta: è necessario aprire le chiappe al dolore, accettarlo totalmente, viverlo come un’impresa spirituale. Il cammino di Compostela del fondoschiena è esperienza da vivere a fondo, per non soccombere.
Tra qualche giorno potrò anche lavorare seduta.
E’ una macchina magnifica, quella che tenterei di illustrare a Leonardo se mi trovassi nel quattrocento con Troisi e Benigni (prima o poi mi succede, non voglio che mi si colga impreparata) anche se a fatica riesco a immaginare il risultato della mia scienza sotto il culo del genio.
Insomma, abbiamo ripreso il nobile strumento che utilizzavamo come unico locomotore negli anni dell’Università, e che ha molto a che fare con il periodo del reciproco corteggiamento con Marito, ma che avevamo infilato in garage dalla nascita di Babi, presi da sfinimento e scuse di sfinimento, da paure di traffico e scuse sull’entità del traffico.
Ora abbiamo un seggiolino, un casco per Babi, e abbiamo ricominciato a metterci alla prova. Babi, il più comodo della combriccola, se la godeva paurosamente guardandosi pigramente in giro, chiedendo borracce d’acqua nemmeno fosse lui a faticare, e cantando la canzone del Piave in quel curioso linguaggio che si è inventato, un po’ come cantavo io in inglese da bambina.
Il dato positivo di questa esperienza è che tutti i dolori muscolari che mi soggiogavano ormai da quasi due anni di immobilismo se ne sono andati con una leggerezza impensabile. Il mio corpo è tornato da quello di una settantenne a quello di una mmmhenne. Ho dormito senza bisogno di due infermiere della casa di riposo “anni sereni” che mi girassero sul fianco per evitare le piaghe da decubito, e mi sono alzata al mattino senza santiare ad ogni passo per i reumatismi. Tutto per qualche giro in bici.
Il dato negativo è che l’unica parte del corpo che non era stata colpita da anzianità improvvisa si è svegliata in un cumulo di disperazione: il sedere del ciclista ha fatto la sua comparsa dopo un’ora, e non mi ha ancora abbandonata. L’importante è non rinunciare, rimettersi subito in sella, e capire che stringere i glutei non aiuta: è necessario aprire le chiappe al dolore, accettarlo totalmente, viverlo come un’impresa spirituale. Il cammino di Compostela del fondoschiena è esperienza da vivere a fondo, per non soccombere.
Tra qualche giorno potrò anche lavorare seduta.
1 commento:
ti ho mai detto che io e mia moglie abbiamo percorso tutto il percorribile (alcuni tratti anche più di cento o mille volte) del Friuli pianeggiante e collinare? Ormai, "stufi" degli stessi paesaggi, cercimo di "espatriare". La bici è uno dei nostri spassi.
Gino
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