Forse sono sparita così a lungo perché mi sono scoperta una madre indegna di lievito madre, dunque una nonna indegna. Ho ucciso Giorgio, lo ammetto subito, fuori il dente fuori il dolore. Non ce la facevo: non tanto con il rinnovarlo settimanalmente, quanto con la paura di usarlo, di gestire proporzioni e tempi. L'avevo talmente ingrassato da poter mantenere per qualche settimana un panificio di paese, senza il coraggio di utilizzarlo per me.
No: eravamo già troppi, in casa. Giorgio è morto. Ma solo dopo averne assicurato l'eternità consegnando una sua costola a un collega che ne sta estraendo pizze su pizze con grande soddisfazione.
Almeno non l'ho abbandonato sull'autostrada.
Trovo più facile scrivere quando non vivo. Ora vivo intensamente, ma scriverne diventa intimo e complesso, dunque mi blocco. La mia trama personale si sta creando dentro di me, ma farla venire fuori richiede uno sforzo talmente grande, quello dell'onestà e dell'ammissione, che il corpo fa in modo di entrare in modalità indolenza. Letterariamente, il girone degli ignavi.
Contemporaneamente, l'urgenza di scrivere è talmente potente che mi aggrappo a piccoli accadimenti futili e divertenti, come se rendessero semplice la complicazione. E mi chiedo se gli scrittori che riescono apparentemente a non parlare mai di sé (il caro Wodehouse ne sembrerebbe l'esempio eccellente) in realtà nascondano sotto lattiere a forma di mucca la loro lettura della vita. Inarrivabili geni.
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