martedì 20 ottobre 2009
Bucolici
Questo fine settimana siamo andati per la seconda volta, dalla nascita di babi, nella casetta che possediamo oltre numerosi tornanti carsici che imitano ripidi pendii verso le Alpi, per poi lasciar scoprire al viandante nauseato, con tanto di cartello, di trovarsi a soli 420 metri s.l.m.
Alle origini, e fino agli anni ’60, la casa era una stalla, l’attuale deposito degli attrezzi era la casa in cui il contadino ramingo e sicuramente puzzone filava formaggi impregnando le pareti di grasso resistente a qualsiasi intonaco nello spazio complessivo di 4 metri quadri, forse 5, dove trovava posto anche un camino, una cappa e, immagino, un fetido pagliericcio.
Nella stalla lì vicino, alcune mucche pasciute ruttavano fieno muggendo del più e del meno e ricordando antenati più famosi che scaldavano ad alito ben altro giaciglio.
Cruda: così era la vera vita campagnola, altro che le leziosità dell’Albero degli zoccoli, in cui da un tronco secolare riuscivano a tirare fuori a malapena una ciabatta, a forza di tirare accettate con gli occhi pieni di lacrime di commozione.
Tornando alla modernità, i miei genitori, davanti a una situazione di questo tipo, hanno ben pensato di rinunciare alle mucche (il contadino era spirato, probabilmente dopo aver preso atto della qualità della sua vita rispetto a quella delle bestiole), e di organizzare una casa in cui la zona feste occupasse la stalla, la zona notte il fienile. Si sono poi imposti di cedere al lusso di un bagno, e perfino di una stanza del fogolar, camino friulano caratterizzato da una enorme cappa centrale circondata da panche atte al canto con chitarra e all’arrostir castagne.
La cappa doveva, secondo tradizione, avere la forma della cima di un campanile ortodosso, ma coloro che se ne occuparono immaginarono piuttosto un cartoccio rovesciato di patatine fritte. L’effetto è senza dubbio originale, e la creatura fa parte della famiglia, con tutti i ghiri, gli scorpioni, i ragni che la abitano con amore.
Stiamo prendendo possesso della casa solo col freddo, perché le zecche sono aumentate a dismisura nella zona, utilizzando gli animali selvatici come trasporto pubblico e mio figlio come capolinea. Infatti, il 2 giugno 2008, una sola giornata in montagna ci costò una settimana di antibiotici a un babi di due mesi.
Ora procediamo a piccoli passi, scuotendo il babi, infilandogli i calzoni nei calzetti, e inventandoci una serie di altre precauzioni.
Perché stare lassù è fantastico.
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