lunedì 12 ottobre 2009
Fine della solitudine
Ho finito la solitudine dei numeri primi. E’ un libro che mi ha suscitato diversi tipi di sensazioni, nei diversi momenti della lettura.
Da una parte mi chiedo con a consueta invidia come riesca, un autore così giovane, ad avere l’urgenza di raccontare, di ordinare riga per riga, l’inadeguatezza, per permettere a ognuno di trovare la propria fetta di incapacità di vivere dentro a questa inidoneità abissale, universale; e come faccia, da dilettante della scrittura al romanzo d’esordio, a possederne completamente il lessico, senza mai tentennare davanti ai diversi modi di dire una cosa, scegliendo quello più preciso, freddo e tagliente - questo è l’effetto finale, ne sono consapevole, e immagino che come tutti l’autore sia arrivato alla fine di ogni giorno di lavoro con il cestino pieno di fogli appallottolati, ma questa inesorabile sicurezza è ciò che mi trasmette.
Contemporaneamente sento che il successo di pubblico che ha avuto non ha alcun senso, se non quello del marketing, della moda, perché è un libro che non ha niente di facile, di sopportabile, contiene solo durezza, rassegnazione, l’irrisolto che mi dà da sempre un’angoscia profonda.
E infine, ho frequentato troppo a lungo il tipo di persona che il libro descrive, Mattia; frequentato perché non si può dire di averlo conosciuto, non si può dire che abbia lasciato al suo passaggio qualcosa di tangibile. Ho usato troppo del mio tempo per cercare di codificarlo, e forse eravamo solo le persone sbagliate; non ero Alice.
Ecco, se Giordano l’avesse scritto prima, io avrei capito prima. Imperdonabile.
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