lunedì 8 marzo 2010
Festa delle donne che se la meritano
Ogni 8 marzo, invece di sentirmi parte di una festa, striscio lungo i muri con la mia mimosa e con la solita triste sensazione: non, come sarebbe facile pensare, che questa festa delle donne venga letta come la festa del papà, della mamma, di san Valentino o come la new entry di halloween, e trattata come simpatica cazzata, accettando o meno di stare al gioco delle mimose a seconda dello stato d’animo o del portafoglio.
La sensazione è che questo giorno venga, anche da buona parte delle donne, trattato con imbarazzo o disprezzo, tanto che risulti più facile sottostare piacevolmente all’acquisto annuale di cuori di peluches, profumi orrendi per il papà o piccole zucche da appendere in cucina che allo scambio di queste mimose, che hanno un serio significato, pur inquinato dalla voracità del consumismo. Il fastidio che incute tutto quanto, in questo paese, puzzi, di sociale, di diritto, di uguaglianza, di giustizia, di collettività, di pensiero.
La vergogna di pretendere quello che ancora appare più opportuno chiedere.
Sarò quindi didascalica nel ricordare le 129 donne che l’8 marzo del 1908, a New York, morirono chiuse dal proprietario in una fabbrica tessile a causa di un incendio, dopo un lungo sciopero per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare; tutte le donne che hanno protestato e sono morte per ottenere migliori condizioni di vita e lavoro; e tutte quelle che ancora ci provano nel mondo.
Lo farò citando la grande Luciana Littizzetto: “la parità tra i sessi ci sarà solo quando troveremo donne incapaci al potere”.
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