lunedì 22 marzo 2010

Out of Pedemontana


“I had a farm in Africa, at the foot of the Ngong Hills. The equator runs across these highlands, a hundred miles to the north, and the farm lay at an altitude of over six thousand feet. In the day-time you felt that you had got high up, near to the sun, but the early mornings and evenings were limpid and restful, and the nights were cold”*.

La voce di Meryl Streep, camaleonticamente d’accento danese a imitare Karen Blixen, ha reso questo magnifico incipit del libro La mia Africa ancora più struggente nella mia memoria, nel mio desiderio di Africa, di scrivere, di assomigliare a chi sa in poche righe prendere lo scettro del potere sulla tua curiosità e avvinghiarti nella sua storia.
Da qui, oggi, prendo ispirazione per raccontare il nostro fine settimana lontano dalle padane polveri.

Avevo una casetta di sassi, a C.., ai piedi delle Prealpi. Cave di carbonato di sodio feriscono le rocce carsiche, e la casa si appoggia su un prato ondoso a 425 metri sul livello del mare. Di giorno le nuvole impediscono di vedere anche la cima di quel tentativo di monte, lasciando immaginare altezze inenarrabili e paradisi danteschi proprio dove finisce in un altipiano. La mattina e la sera tutto è bagnato, tra rugiada e pioggerella, e le foglie secche dell’autunno ti si attaccano alle scarpe. Le mucche bestemmiano. Le notti, fuoco nel camino, come fosse ancora Natale.
Abbiamo portato Babi e Pantacollant nella nostra casetta, già descritta alcuni mesi fa e lasciata a se stessa a lungo, dopo averci tradito riempiendo di zecche incontrollate il prato e la coscia di un figlio neonato.
Ora abbiamo deciso di prendere in mano la situazione, perché l’inquinamento cittadino lo respiri senza poterlo evitare, per le zecche si può sperare di combinare qualcosa.

E’ un posto bellissimo, che richiama la storia della famiglia, quasi illudendoci di possederne di secolari e lineari come nella Casa degli Spiriti. In realtà è breve, inizia con l’acquisto di una stalla negli anni sessanta da parte di Nonna D. e Nonno G. ancora fidanzati, trasformata in abitazione portando malta a dorso di mulo, continua con la lotta con una banda di ghiri che ne avevano preso possesso in un periodo di abbandono trasformando il water in un condominio di lusso, culmina nel momento in cui ho capito, innamorandomene, che era anche casa mia, che potevo compiere scelte, dipingere mobili di giallo e azzurro e scegliere piante anacronistiche e votate a morte certa per il prato natùre, prosegue con fughe d’amore mie e di Marito non ancora maritati, giunge ora ad un’altra lotta epocale per sgominare gli orridi animaletti amanti del salasso e del morbo di Lyme.

Siamo rimasti lì poco meno di 24 ore, scoprendo che Babi e Pantacollant, in questo lungo inverno che ha reso inospitale qualsiasi accostamento alla natura, anche quella edulcorata dei parchi cittadini, si sono trasformati in una sorta di Woody Allen, che lontano dalla città vive come accerchiato dal nemico, leggendo nel frinire delle cicale e nel frusciare degli steli d’erba messaggi di guerra e assedio.
Babi non ha amato l’erba bagnata, definita subito pelo, come il pezzettino di cipolla nel cibo che provoca l’immediato rifiuto del pranzo intero. Non ha apprezzato di insudiciarsi gli stivaletti di gomma con pezzi di foglie secche, né le mani raccogliendo la palla inumidita. Non ha amato i lontani minacciosi latrati di cani, né il fatto che le nuvole avessero trasformato il cielo in una sorta di soffitto adatto al massimo ad essere soppalcato.
Pantacollant correva felice come un missile, la coda ingrossata a raccontarsi storie di agguati e di campagne militari, ma, quando si trattava di fare pipì, si trovava spaesata senza la sua lettiera. Il fatto di trovarsi in un enorme wc, senza limiti e pareti, invece di spingerla a lasciare segni di sé ad ogni tronco, la spaesava, tanto da impedirle di liberarsi fino all’arrivo in città.

Marito ed io, che declamavamo sonoramente, nel peggior tentativo possibile di coinvolgere i due figuri, cose tipo: Oh, come si sta bene, respirate a pieni polmoni! Che bello! Che natura meravigliosa! Che rigoglio! Uuu! Aaa!, abbiamo ben presto dovuto adeguarci alle parole di Babi, portavoce per entrambi: - Babi vuole casa. No qui, altra casa, nonno.

*Avevo una fattoria in Africa, ai piedi delle colline Ngong. L’equatore taglia quegli altipiani un centinaio di miglia più a nord e la fattoria si distende oltre i seimila piedi di altezza. Di giorno sentivi di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini e le sere erano limpidi e calmi, e le notti fredde.

Ho dovuto tornare in città.

4 commenti:

La Cavia ha detto...

Che bella la montagna.. Mi piacerebbe tanto un nido d'amore non in pianura..
Vedrete che lo gnometto prima o poi si innamorerà come voi, e quanto al gatto..beh si, i water più grandi di un tot terrorizzano chiunque..

NEF ha detto...

Spero per Babi, visto che io stessa ci ho messo un bel po' di anni, prima di riconoscere in quel posto le qualità oltre i disagi..per Pantacollant, vorrà dire che infileremo in valigia la lettiera.
Ho inserito nel blog i lettori fissi, se vuoi essere la prima come io nel tuo!

La Cavia ha detto...

Ma ovviamente.. Visto che bella fotina (cioè foto piccola)?
Hai fatto caso a quanto sono cretine le parole per la verifica sotto il post?

Anonimo ha detto...

Abbi pazienza, NEF, che crescendo il Babi apprezzerà sicuramente la bellezza e la tranquillità del posto che descrivi e supererà le apparenti scomodità che un bimbo ora vede come insopportabili.

Io penso che alla fine, fra qualche anno, arriverà il momento in cui lui ti chiederà le chiavi per fare qualche bella fuga d'amore, chiedendo a voi genitori di rimanere in città...

Pap