Dunque, ero arrivata al libro sui fiori di Bach (Richard Bach, I dodici guaritori), che avevo inserito sul comodino virtuale. Essi si inseriscono come una dolce nota dissonante nel mio ateo e bieco razionalismo. Mi ricordo che il cugino S me li aveva somministrati dopo il devastante parto del piccolo diavolo, e mi ero sentita obiettivamente meglio, senza chiedermi troppe cose.
E in questo dicembre in cui mi sentivo calpestata dall’emisfero nord del globo terrestre (metafora che prense in considerazione il peso sul capo), ho pensato a quei fiori, come si pensa a qualsiasi cosa ti possa salvare evitando un medico.
S mi ha dato invece un libro, e poi ne ho letto un altro e un altro, e mi ci sono immersa riconoscendo nei caratteri descritti per ognuno dei 38 fiori me stessa, amici e parenti. Un gioco molto affascinante, come quando una cartomante è così abile da farti sentire capito.
Ho scelto i miei fiori, ne ho parlato con S, e ora tutta la famiglia sperimenta queste gocce con piacere, smussando gli angoli della convivenza con facilità e allegria.
Effetto placebo? Benissimo, benvenuto, allora!
E poi ho letto Tullio Avoledo, Breve storia di lunghi tradimenti. All’inizio sono stata travolta più che coinvolta, da questa storia dell’amore ai tempi dell’azienda globale, in cui ritrovavo la mia desolazione odierna nei confronti della dis-organizzazione del lavoro, l’ansia con cui vivo questo continuo nascondere in una falsa normalità la totale impotenza che ognuno ha verso altri capi, e altri capi, sempre più potenti, e in fondo nemmeno questi sicuri di ciò che stanno facendo, in un disperato tentativo di trarre il meglio per se stessi finché dura. Fino al tracollo.
E l’uomo scrive davvero molto bene.
Poi tre cose mi hanno disturbata:
- Questa mania del thriller oscuro, tipica anche di molti film di questi anni, in cui per seguire la trama bisognerebbe disegnarsi su un foglio A3 il reticolo di nomi e di capitoli, cercando di risalire a chi sia questo e quell’altro, e perché abbia agito così e cosa abbia inteso quella volta: probabile metafora dell’ambiguità del mondo? Pardon, ma un lavoro certosino di questo tipo preferisco farmelo per censire i protagonisti di Cent’anni di solitudine.
- Quanto spesso, nelle storie, si ritrovi la figura di un uomo completamente perso per una donna totalmente immersa nella propria emotività, del tutto irrazionale, che di sé non mostra altro che l’esibizionismo del corpo e la varietà inspiegabile di umori che oscillano tra prepotenza quasi maschile e completa innocenza. Spero che nella realtà le donne così non siano molte, io non ne conosco, e gli uomini così nemmeno.
- Il terminare il romanzo in una sorta di fantascienza, in un mondo futuro e privo di luce, che, lo ammetto, è forse un degno finale, anche realistico, della globalizzazione finanziaria, ma che subito io vivo con distacco. Non mi appartiene, è un limite mio.
Camilleri e Lucarelli, Acqua in bocca. Nato per gioco, per far incontrare i loro investigatori Grazia Negro e Salvo Montalbano, scritto per corrispondenza, in una sfida a risolvere il colpo di scena inventato dal collega, non è che un gioco, appunto. Letto in formato elettronico.
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