In questi giorni, in cui Babi cresce come i fiori nei documentari, fotografati per mesi e riprodotti in pochi secondi, scuserete il mio lasciarmi andare a frequenti post di stupore infantile.
Babi ha scordato BrrrTato, e l’ha sostituito con un feticcio più leggero e trasportabile, utile in diverse occasioni nonché neutro quanto alla possibilità che si scatenino dubbi sulla sua mascolinità incipiente: un cucchiaino a quadretti verde lime che lui chiama testardo: kello giallo.
Con Kello giallo si addormenta, gira per la casa, compie faticosi trasporti di diecimila oggetti tenendolo tra i denti come un machete, mangia, convinto a fatica a dargli una sciacquata, gioca a nascondino, cerca di bere l’acqua come un disperato nel deserto con il fondo della borraccia; kello giallo è un’ottima arma di difesa, con la sua componente metallica piuttosto pesante, e di offesa, come ben sa nonna D., che anni addietro, leggendo in lingua originale un libro sulla storia dei regnanti spagnoli, si scandalizzava dei numerosi spargimenti di sangue provocati da cucchiaiate violente, prima di scoprire che cuchillo è coltello, non cucchiaio.
Quando l’urlo dal vago sapore francofono: ‘u è kello giallo? si spande per casa con un’eco minacciosa, qualsiasi abitante degli appartamenti del palazzo, e lo stesso Pantacollant, si sperticano in ricerche terrorizzate, sperando di trovarlo prima dell’ira che, invariabilmente, arriva.
Finora eravamo riusciti a mantenere kello giallo a casa, terrorizzati di doverlo poi cercare per strade e tombini in un momento di crisi, ma oggi, da madre di un bambino che odia l’asilo nido quanto un’interrogazione al liceo, e ha pianto dal risveglio all’entrata a scuola, ho dovuto cedere. Mi sono dovuta affidare, con sguardo implorante, all’acume delle maestre.
Quindi: care maestre, abbiatene cura; questo non è un cucchiaino, questo è il suo feticcio, la protesi della sua mano, la prolunga del suo ego. Questo è Kello Giallo.
Babi ha scordato BrrrTato, e l’ha sostituito con un feticcio più leggero e trasportabile, utile in diverse occasioni nonché neutro quanto alla possibilità che si scatenino dubbi sulla sua mascolinità incipiente: un cucchiaino a quadretti verde lime che lui chiama testardo: kello giallo.
Con Kello giallo si addormenta, gira per la casa, compie faticosi trasporti di diecimila oggetti tenendolo tra i denti come un machete, mangia, convinto a fatica a dargli una sciacquata, gioca a nascondino, cerca di bere l’acqua come un disperato nel deserto con il fondo della borraccia; kello giallo è un’ottima arma di difesa, con la sua componente metallica piuttosto pesante, e di offesa, come ben sa nonna D., che anni addietro, leggendo in lingua originale un libro sulla storia dei regnanti spagnoli, si scandalizzava dei numerosi spargimenti di sangue provocati da cucchiaiate violente, prima di scoprire che cuchillo è coltello, non cucchiaio.
Quando l’urlo dal vago sapore francofono: ‘u è kello giallo? si spande per casa con un’eco minacciosa, qualsiasi abitante degli appartamenti del palazzo, e lo stesso Pantacollant, si sperticano in ricerche terrorizzate, sperando di trovarlo prima dell’ira che, invariabilmente, arriva.
Finora eravamo riusciti a mantenere kello giallo a casa, terrorizzati di doverlo poi cercare per strade e tombini in un momento di crisi, ma oggi, da madre di un bambino che odia l’asilo nido quanto un’interrogazione al liceo, e ha pianto dal risveglio all’entrata a scuola, ho dovuto cedere. Mi sono dovuta affidare, con sguardo implorante, all’acume delle maestre.
Quindi: care maestre, abbiatene cura; questo non è un cucchiaino, questo è il suo feticcio, la protesi della sua mano, la prolunga del suo ego. Questo è Kello Giallo.
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