Correva l'anno 1989, e, adolescente, sguazzavo tra le onde di lidi laziali, mentre mia madre, con sguardo perennemente appassionato, non alzava gli occhi dal romanzo, godendosi ogni riga e tutta la mia invidia. È sempre stato un ricordo importante nella sua serenità, e per anni mi ha lasciato in bocca la voglia di leggerlo, nonostante un certo timore reverenziale.
Mio padre, interrogato su cosa ne pensasse, ha detto: ho saltato tutti i dialoghi, l'ho letto molto rapidamente!
Resta da capire che cosa abbia letto, dunque, visto che, tolti i dialoghi, restano sì e no un paio di righe.
Ora l'ho fatto, ci ho provato, con le migliori intenzioni, protesa a coglierne ogni significato, ogni sfumatura.
Non posso più ignorare i sintomi, il mio temporeggiare davanti alla televisione per non andare a letto, l'evitare di pensare ai libri che mi aspettano per un fastidioso senso di colpa...ora abdico.
Zauberberg, hai vinto, o hai perso, a seconda dei punti di vista: a pagina 78 del secondo volume mi sono fermata, per correre alle ultime pagine, solo per scoprire, notizia pur poco rilevante nell'economia del romanzo, quanto Giovanni Castorp rimarrà lassù nel sanatorio (e non lo dico, troppa la fatica fatta per saperlo), e poi ho rinunciato alla montagna incantata, come sempre con un senso di sconfitta misto a sollievo. Spero di ricondurre presto il romanzo alla memoria dei lidi laziali, e della gioia di mia madre.
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