Sono
tornata nella città in cui ho vissuto prima di trasferirmi a famiglia avvenuta
nei lidi natii. Ci sono tornata da sola, in treno, come quando la mia
quotidianità era costellata di quei viaggi tra casa e università.
Ne
sentivo un bisogno impellente, in questo periodo in cui, forse perché vicina a
cambiare decennio, non faccio che interrogarmi sul tempo che fugge, su quanti
attimi ho saputo cogliere veramente, non
faccio che contare quanti anni avevo quando è accaduta ogni cosa, quanti ne
avrò quando Babi ne avrà venti. Un bisogno che identificavo semplicemente con
il voler rivedere tanti amici lontani, con i quali i rapporti sono mantenuti
periodicamente grazie all’invenzione chiave della (mia) umanità: l’e-mail, ma
mancavano da tempo di sguardi, abbracci e del suono delle risate.
Ho
corso tra un affetto e l’altro, tutto il giorno, escluse le tre leggerissime
ore di treno mattutine passate a leggere un libro scorrevole con cui ho tradito
la fatica che sto facendo con Thomas Mann, e le tre nutrienti ore del ritorno,
con il buio fuori dai finestrini, in cui, per la prima volta da quando mi
ricordo di vivere, non ho sentito la necessità assoluta di avere un libro tra
le mani; mi serviva pensare, ricordare, riflettere e immaginare, come se avessi
fatto improvvisamente pace con me stessa, e avessi finalmente voglia di starmi
a sentire.
E
allora ho capito: ho capito che questo mio bisogno impellente di andare laggiù
nascondeva qualcosa di più di un semplice saluto, qualcosa di collegato a
questo mio continuo pensare al tempo e a ciò che ho fatto o mancato. Volevo,
anche inconsciamente, toccare un pezzo importante delle mie radici, di quello
che sono, e collegarlo con quello che ero. Avevo bisogno di sapere che avevo
fatto qualcosa di importante per la mia vita, in quegli anni che sembrano
scivolati in uno stato onirico, insieme alla capacità di districarmi nel
traffico, di ricordarmi le vie, tutte quelle cose insomma che sono prova che in
una città si è vissuto.
Sono
stata accolta con talmente tanto affetto che ho fatto il bagno nella
gratitudine e nella nostalgia, ma ho capito che è stato anche mio il merito di
aver costruito, o seminato amore: scoperta
sempre felice, ma particolarmente in momenti della vita in cui ci si interroga incessantemente
sul valore del tempo che non torna più.
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