Lunedì
sera siamo andati a provare in uno studio di registrazione casalingo, dal
nostro batterista, che coltiva in una mostruosa taverna questa sua passione. Ha
fatto una cosa pazzesca: stanza della regia, con una parete di schermi di pc,
tra cui uno collegato via webcam con la sala di registrazione, a sua volta
collegata via webcam alla regia. Una batteria più fornita di piatti di sei
puntate di Masterchef, un microfono per voce che assorbe qualsiasi tipo di
emissione, anche microscopica, per cui è meglio scordarsi velleità come quella di
inspirare, o debolezze analoghe.
Abbiamo
registrato due canzoni per chitarra e voce, un solo tape per ognuna. E poi
abbiamo assistito all’elaborazione delle stesse, come fossero pongo. Il padrone
di casa si è complimentato del mio controllo della voce, che così ho scoperto
di avere, grazie al quale il numero di correzioni adottate si è ridotto al
minimo, ma ho scoperto che saper cantare, con l’avvento di queste centinaia di
plug in, è sì un orpello grazioso e comodo al fine di pubblicare un disco, ma
assolutamente niente di necessario. Ascoltarsi registrati con una vividità così
incredibile è un’esperienza utilissima, una volta fallito il tentativo di
suicidio. Il fatto che la terza passione del nostro fonico batterista sia la
degustazione enologica l’ha resa più fluida e godibile.
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