Ebbene ci riprovo.
Quando la vita ti assale, l'atto di descriverla ne risente. Ma in fondo al cervello rimane il tarlo dell'abbandono di un progetto, indipendentemente da quanto fosse riuscito, da quanto fosse utile o noto. E quel tarlo ti corrode.
Diventa tutta questione di equilibri: la vita mi lascerà il tempo di descriverla? Ma se me ne lascia il tempo, è perché non crea niente che poi io possa usare?
Temo che le cose accadano a tutti e a nessuno, e l'abilità di cavarne sempre qualcosa da lasciare, inciso sulla pietra o su qualcosa di labile come la rete, costituisce tutto il resto.
Che poi sì, se fai naufragio su un'isola infestata dai discendenti di coloro che gli ammutinati del Bounty costrinsero a scendere in una scialuppa, in procinto di vendicare i propri avi, la vita in qualche modo aiuta le lettere, ma forse non ti viene tanto incontro in tema di sopravvivenza serena.
Dunque ora il vaso è colmo. Non di idee, non di speranze, solo di voglia. Urgenza. Necessità.
Dunque eccomi.
Vuelvo
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