martedì 2 agosto 2016

tecnoprotesi

Ha il suo fascino, osservare il proprio rapporto con gli ammenicoli tecnologici.
Il mio telefono è ormai parte di me, contiene dati personali, dati sensibili e dati oscuri, ogni mia misura, ogni mia conversazione. Io poi ho sempre odiato parlare al telefono, da quando era grigio e con la rotella davanti, quindi non mi è parso vero, quando ho potuto cominciare a trattare la telefonata come un gadget residuale, da usare con i recalcitranti e per emergenze. Dunque nella scrittura io metto quasi tutto di me stessa.
Spesso rabbrividivo, pensando che potesse succedergli qualcosa. Come una cassaforte di me, che si rompesse o si perdesse, restando sola nel buio. La protesi della memoria, della socialità, di pezzi del cervello.
Ecco: il 26 giugno, mentre cantavo My funny Valentine davanti a un discreto numero di persone, e lui, il mio telefono, mi suggeriva il testo appoggiato sul leggìo, come di consueto, in caso di memoria fallace, egli è crollato.
E ne ha riportato seri danni. Più di due terzi del display se ne sono andati in un qualche mondo parallelo, dove una me più felice può vedere una striscia più ampia.
I musicisti continuavano a suonare. E io ho continuato a cantare. Con la voce rotta, gli occhi umidi, il panico nelle mani, attorno al microfono. Forse la mia più riuscita imitazione di Billie Holiday dopo svariati gin e qualche dose di eroina, e dopo aver pulito con la mano il segno del rossetto di un altra dal collo del suo uomo.
Ho avuto un grande applauso, un'interpretazione autenticamente appassionata.
E io piangevo un telefono.
Dopo il primo momento di sconforto assoluto e cieco, ho ragionato. Ho una finestra sulla mia protesi di cervello di ben 8,5x1,5cm, c'è al mondo chi non ha nemmeno questa. Posso accedere a quasi tutto, benché menomato, e le dita, se non insisto a condurle con la ragione, sanno a istinto dove posizionarsi per digitare ciò che voglio.
E mi sono semplicemente messa a 
Scrivere
Così, 
In
Questo
Modo, 
Imponendolo
Chiunque 
Volesse 
Parlarmi.

In pratica scrivevo in semibraille, indovinando a memoria la posizione delle lettere, spesso con buffi risultati (come potevo sapere che gastroprotettore sarebbe diventato a mia insaputa gasteropode tutore? Un'università per lumache?)
Poi è andata che lo schermo è diventato tutto nero. In attesa del sostituto imparo a farmene una ragione. 
E, come ogni volta, mi accorgo che è più facile di quanto potessi immaginare.


1 commento:

Anonimo ha detto...

questo post mi fa pensare che se mai volessi tentare l'impresa di scrivere un libro avrei trovato lo spunto per iniziare; il mio rapporto con questa "tecnoprotesi" potrebbe esserne il filo conduttore; ma penso che invece di scrivere un libro tenterò di raccontare qui, a puntate molto sporadiche, questa ipotetico parallelo tra una persona e un telefono. grazie per lo spunto