martedì 16 febbraio 2010
Hannibal the carnival
Al lavoro c’è un signore azzimato e serioso, integerrimo e gran lavoratore, come da stereotipo della provincia. Misurato, calmo, mai lo vedresti perdere il controllo, mai rispondere oltre la misura.
C’è solo un giorno, in tutto l’anno, in cui questo signore si concede di lasciare ogni freno inibitore, abbandonandosi a sfrenati baccanali tra i corridoi degli uffici. E quest’anno ne sono stata testimone. E’ entrato un prete, con una pentola di alluminio piena di grappa slovena e uno scopetto da wc di cui si serviva per spruzzare monitor e carte impartendo rumorose benedizioni e mormorando una litania di cui ho perso gran parte delle parole, purtroppo, poiché è terminata con un gran sventagliare di tonaca fino a scoprire delle mutande a righe rosse e blu, e forse ne avrei capito il motivo. Poi, come è comparso, è sparito, accompagnato da scoppi di risa in ogni ufficio del corridoio.
Ora: adoro che le persone si scoprano diverse all’improvviso. Amo che si crepi la patina e mostrino un nascosto senso dell’umorismo, una vena di follia, una non compresa capacità di ridere e vivere. Adoro il fatto che un evento qualsiasi stravolga anni di autocontrollo, scoprendo un affresco sotto l’intonaco di serietà costruito a fatica contro la propria natura. Lo trovo una rinascita, e trovo abbia un effetto seriamente comico, come per l’alunno di un amico britannico, unico caso conosciuto in cui fosse il maestro ad annoiarsi fino a dormire, che, colto dal terremoto nel mezzo di una lezione, si è alzato di scatto, si è buttato per le scale scaraventando di lato vecchi e bambini per pter passare, urlando: attaccatevi al muro maestro!
Insomma, tutto questo mi piace: ma che per farlo scelgano l’ultimo di Carnevale, giorno che per me ha smesso di rivestire un qualsiasi significato dal decimo compleanno, lo trovo tanto scontato da essere strano.
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