Lo ammetto: a bagno nella mia stizza da romanziera
fallita in fieri, volevo cogliere in castagna Simonetta Agnello Hornby, sicura
che il livello di scrittura dimostrata con le sue storie siciliane non
potessero riflettersi in storie contemporanee e Londinesi, come niente fosse,
come se uno scrittore mantenesse il proprio equilibrio con in mezzo
milleottocento chilometri. E poco importava che comunque scrivesse di ciò che
vive e conosce bene, con la fortuna di vivere e conoscere bene due mondi.
Niente da fare: la scrittura (pare sia stato scritto
in inglese e poi in italiano, ma non a mo’ di mera traduzione, dalla stessa
scrittrice) rimane eccellente, la storia coinvolge e sconvolge, fa temere per
quegli accadimenti imprevedibili che possono gettare nello sconforto, e per come
i ricchi a volte possano difendersi meglio dei poveri anche da questi lampi di
sfortuna che la vita manda a caso a interrompere le vite qualsiasi.
Solo un appunto, sempre per pura invidia: abusare in
italiano è intransitivo, ed è stato tradotto come transitivo in giro per tutto
il libro. Ma…do’h, mi corregge l’Accademia della Crusca, citando nientemeno che
il Tasso: «Infuriossi allor Tancredi e disse / - Così abusi, fellon, la mia
pietà?».
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