Mi chiedo da che pianeta vengano James, Forster, Hugo e i
loro simili. Temo che avessero tutti a disposizione dei ghost writer nella loro
domestica, o moglie, o sorella. E credo che in realtà i fratelli Grimm fossero
una coppia gay convivente ante litteram. Spiegherebbe molte cose.
Resto infatti sempre affascinata dalla totale incapacità
di raccontare della maggior parte degli uomini.
Quando un’amica mi racconta qualcosa, sia pure uno sgarbo
della suocera, o un dialogo romantico, io mi metto comoda, e attendo di
ricevere le seguenti informazioni:
-
contestualizzazione (luoghi, tempi, rapporti personali
tra tutti i partecipanti)
-
premesse (precedenti tra i personaggi coinvolti,
speranze, illusioni)
-
il racconto dell’accaduto, senza particolari fronzoli
-
richiesta di opinioni in merito, o di esperienze
analoghe da confrontare
-
armonioso e vicendevole tirare le somme della vicenda.
Unico neo, talora, l’abitudine di alcune narratrici di
privilegiare ciò che si è detto rispetto a ciò che si è ascoltato, per il
prevalere dell’umana necessità di vedere riconosciuta la correttezza del
proprio comportamento rispetto al mio bisogno di una trama scorrevole. Problema
facilmente risolvibile con qualche domanda incalzante, che normalmente riceve
esaustiva risposta.
Le mie esigenze in merito sono per la maggior parte
perfettamente corrisposte, e al termine del dialogo la sensazione che prevale è
di aver ascoltato e detto qualcosa di interessante, nonché di frequentare
persone interessanti, che mi arricchiscono.
E ora gli uomini.
Diverte che per secoli abbiano ritenuto che le donne
servissero solo per una manciata di cose, visto che il loro modo di raccontare
fa precipitare la pur volonterosa ascoltatrice in un turbine di analoghi
pregiudizi: meno male che con gli uomini ci sono altri modi di divertirsi.
“Oggi, al lavoro, mi hanno fatto proprio incazzare. Vado
da lui (chi, di grazia?) che mi dice che su, giù, sempre le stesse cose. E
allora gli dico (e qui parte una serie di frasi sconnesse, a cui non raramente
manca un elemento sintatticamente fondamentale, per non parlare della totale
assenza di suspance) se vogliamo essere seri bene, perché così non si va
avanti. E non entra anche Buttazzoni (?), che dà ragione a lui (se il tuo modo di
spiegarti è questo, gliela do anch’io), anche se mi aveva promesso
martedì che mi avrebbe sostenuto, quella volta del convegno? Sai, quelli che
dicono sempre che va bene, e solo dopo che le cose si son fatte tirano fuori
che si sarebbe dovuto fare diversamente?
E qui, nel momento in cui, dopo quei venti minuti di assolo, senti un punto di
domanda, tenti di riprendere un colorito vitale e ti viene in mente un episodio
analogo utile a creare un confronto. Lui tace per i dodici secondi che ti
concede, guardandoti vacuamente o un po’ infastidito a seconda dello stato di
coscienza, e poi riprende senza dare alcuna sensazione di aver recepito il
senso dell’interruzione al suo sproloquio, come se l’avesse interrotto la
segretaria, costringendolo ad ascoltare un appunto insignificante. Magnifico
poi quando in mezzo a questo guazzabuglio trovi il capo di qualcosa che
potrebbe essere avvincente, o almeno utile a capire, chiedi lumi e non ha la
minima idea di cosa rispondere. Come non ha la minima memoria di cosa gli
interlocutori gli abbiano detto o risposto, ma solo ed esclusivamente, per
sommi capi, di cosa abbia detto o risposto lui.
Tutto questo dura molto ma molto di più del dialogo tra
amiche di cui sopra; o forse è la qualità del tempo, che determina la
percezione della durata.
Non resta che assentire, scuotere la testa di fronte alla
sua costernazione e mugolare qualche breve incoraggiamento. Prima o poi finirà,
e faremo quello per cui siamo insieme.
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