Anni fa, Marito ed io ci frequentavamo soprattutto nei cinema, luoghi di comode poltrone per lo spirito in cui la comune passione cinefila piano piano si fondeva con un’altra passione, quella reciproca.
Eravamo sempre muniti di abbonamento da dividere amorosamente, e non c’era film che ci sfuggisse, tanto che le arene estive all’aperto, che normalmente ripercorrono le strade cinematografiche della stagione appena conclusa, ci risultavano inutili, avendo già visto tutto ciò che ci interessava.
L’ultima volta che mi sono seduta davanti a uno schermo era nel marzo del 2008, con un pancione dirigibile che conteneva un Babi che rispondeva vivace ai rumori del film. Quel giorno non sapevo che sarebbero passati tre anni, prima di tornarci, altrimenti avrei organizzato un commiato più ufficiale, magari un breve discorso.
Ebbene: sabato, complice nonna D., Marito ed io ci siamo potuti di nuovo abbandonare in quelle magnifiche poltrone, e giuro, non è uno di quei modi di dire, ho sentito tre anni in meno, come se non le avessi mai lasciate.
Francamente avrei tollerato qualsiasi film, pur di riprovare quella amata sensazione, ma abbiamo anche avuto la fortuna di vedere Habemus Papam, che ci è molto piaciuto, dunque spenderò due parole per conservarlo nella memoria.
Ebbene: sabato, complice nonna D., Marito ed io ci siamo potuti di nuovo abbandonare in quelle magnifiche poltrone, e giuro, non è uno di quei modi di dire, ho sentito tre anni in meno, come se non le avessi mai lasciate.
Francamente avrei tollerato qualsiasi film, pur di riprovare quella amata sensazione, ma abbiamo anche avuto la fortuna di vedere Habemus Papam, che ci è molto piaciuto, dunque spenderò due parole per conservarlo nella memoria.
Un ateo che affronta quell’argomento, particolarmente in un Paese come questo, deve avere un coraggio da leone, e Moretti l’ha affrontato con una tale delicatezza da peccare forse in ostentazione di ingenuità, non certo in mancanza di rispetto.
A mio parere, il nodo dell’elezione del Papa è uno di quei momenti in cui un cattolico deve più fortemente abbandonarsi al mistero della fede, perché ho sempre trovato particolarmente stridente l’identificazione del concetto del rappresentante in terra della divinità con quell’elezione con tanto di quorum, favoriti, ripetizioni del voto e gruppi di potere in cui si sostanzia ogni Conclave.
Moretti non si serve di questa contraddizione, anzi, decide di soffermarsi sulla paura del prescelto di non essere all’altezza di un compito così alto, e di circondarlo di cardinali di quelli che ci piace immaginare, così fuori dalle barbare regole del mondo da risultare pecorelle curiose e ingenue, attaccate alla propria fede e alla propria missione in maniera assoluta e acritica, come a un salvagente nel naufragio (in realtà, temo che la maggior parte dei cardinali sia a perfetta conoscenza delle quotazioni dei broker britannici in prossimità dell’elezione).
Quindi, coloro che gridano allo scandalo facciano il piacere: se hanno il pieno diritto di non trovare contraddizioni tra l’ispirazione divina e i bassi istinti del potere, tentino di considerare per lo meno possibile l’emersione di una debolezza umana dovuta all’umiltà.
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