Avete presente quando con distrazione capita di sollevare un vaso di fiori muschiato dal tempo, e improvvisamente, in un moto di disgusto (a meno di non essere Gerald Durrell), diventate involontari spettatori di un mondo parallelo fatto di formiche accasate, forbicine assatanate, lombrichi desiderosi di frescura, muschi e licheni? La coscienza oscilla tra la definitiva rimozione del vaso, con conseguente pulizia del loco e sanguinosi tentativi di toglierne l’impronta ormai scolpita nel pavimento, e la rimozione psicanalitica dell’evento, con riposizionamento del contenitore a allontanamento fischiettato. Tanto si riesce, a dimenticare, oh se ci si riesce.
Ecco. La mia scrivania, in ufficio, è ridotta più o meno nello stesso modo. Ogni qualvolta, per decisione o forza maggiore, io sia costretta a spostare un foglio A4 dalla cima del castello di carta che nasconde tastiera, telefono e parzialmente il monitor, appare un mondo sommerso di camurrìe, rimosse a fatica in giorni di sovrapposizioni fisiche e mentali. Giuro, sembra quasi che brulichino, sembra quasi di sentire l’odore del muschio, della natura segreta che dalla penombra mi minaccia.
Credo sia ora di ferie.
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