martedì 14 giugno 2011

Continuavano a chiamarlo Marito

Nel film “Continuavano a chiamarlo Trinità”, uno dei pochi sequel degni d’esser visti pur senza entusiasmi eccessivi, la madre di Terence Hill sente nell’aria una puzza indescrivibile e si apre ad un materno sorriso, indovinando la presenza di suo figlio alle spalle, al grido di: "Trinità!"
Ieri, affaccendata in mestieri vari, ho provato la stessa sensazione di familiarità sentendo arrivare dalla finestra un numero di bipbip, intervallato da nevrotiche maniglie che si sollevano, francamente improponibile per ogni persona assennata che utilizzi il telecomando per chiudere l’auto; solo una persona ne può controllare il funzionamento quelle dieci volte a mezzogiorno, prima di entrare a casa per il pranzo: “Bentornato, Marito!”

Un progetto da sogno

Ognuno vien su con qualche ossessione. La mia forse è puerile, ma almeno non dannosa per chicchessia.
Fin dai tempi di un’infanzia, in cui ho respirato la più grande felicità dei sensi in riva al Mediterraneo, con i suoi muri a calce, i suoi azzurri schiariti dal sole, i profumi violenti di flora rocciosa, perfino le puzze improvvise dei quartieri più interni, ho sognato di poter avere a casa mia uno spazio all’aperto da dipingere a toni marini, e da riempire con sedie impagliate e un tavolo rustico, munito di tovaglia a quadretti, sul quale appoggiare una latta di ragguardevoli dimensioni (pelati formato famiglia, tonno intero..) in cui coltivare amorevolmente una pianta di basilico del tipo greco, con foglie piccole e odore antico.
Ebbene: la location lascia a desiderare, è una tettoia con tetto bianco di lamiera e l’interno rivestito di piastrelle maron; non guarda il mare ma il mio orto disordinato e lussureggiante come fosse al tropico; piove troppo spesso; gli scaffali zincati della Marcegaglia non contribuiscono ad un’atmosfera campestre; le sedie sono di plastica nera e metallo; ma ho un grande tavolo con la tovaglia a quadretti, e ora ho preparato la mia latta, più piccola del dovuto, con il mio microscopico basilico greco.
L’effetto è un po’ da modellino in scala del mio sogno, ma in qualche modo è un inizio.

venerdì 10 giugno 2011

HEY, TU CHE ENTRI QUI...MI RACCOMANDO

Nel film “Continuavano a chiamarlo Trinità”, uno dei pochi sequel degni d’esser visti pur senza entusiasmi eccessivi, la madre di Terence Hill sente nell’aria una puzza indescrivibile e si apre ad un materno sorriso, indovinando la presenza di suo figlio alle spalle, al grido di: "Trinità!"
Ieri, affaccendata in mestieri vari, ho provato la stessa sensazione di familiarità sentendo arrivare dalla finestra un numero di bipbip, intervallato da nevrotiche maniglie che si sollevano, francamente improponibile per ogni persona assennata che utilizzi il telecomando per chiudere l’auto; solo una persona ne può controllare il funzionamento quelle dieci volte a mezzogiorno, prima di entrare a casa per il pranzo: “Bentornato, Marito!”

giovedì 9 giugno 2011

Il tabù della morte

Babi adora un cartone animato in cui delle api con zaino munito di tasto inflate - deflate vagano tra i fiori a distribuire polline al ritmo di Here comes the sun dei Beatles.
L’altro giorno casa nostra è stata tetro scenario di uno strano accadimento: tornati dalle vacanze, abbiamo trovato qualche decina di api stecchite ai piedi delle finestre del piano di sopra. Come saranno entrate? Perché sono morte? Che sarà accaduto? E soprattutto: come fare a distogliere Babi dal tentativo di risvegliarle ai propri doveri, spintonandone delicatamente coi piedi i corpicini gridando: Ma perché non cantate i com de san taratara i com de san ed ai se izorrai?

mercoledì 8 giugno 2011

Texaco, Patrick Chamoiseau

Con grande ritardo sostituisco il libro sul mio comodino elettronico, spendendo poche parole per Texaco. Mi ha lasciata perplessa, creando quella situazione mentale per cui non mi attraeva per nulla aspettandomi la sera a letto, ma trovava sempre il modo di risvegliare la mia attenzione quanto bastava ad evitare di essere abbandonato.
Un libro come un obbligo tollerato. Mi infastidivano i manierismi per cui la città era chiamata (pare dal creolo) Incittà, e la protagonista si riferisse al padre come “il mio Esternome (quello è il nome, ciò che contesto è il possessivo), e quel modo di scrivere costantemente evocativo, come un continuo incipit.
Comunque qualcosa ho imparato, su luoghi e tempi di cui ero ignorante. Andato.

Och

Il fatto che Babi, da allora, ogni sera al momento di dormire sussurri: Mamma, voglio che stiamo sempre a casa, non voglio più andare nei posti, non voglio più andare al mare, deve in qualche modo preoccuparmi?

Vacanze?

Weekend lungo di tentativi vacanzieri multipli, nella ridicola convinzione che vacanza in famiglia significhi riposo, a cui ci attacchiamo ogni volta, fino a che la realtà non ci risucchia nel suo baratro.
Abbiamo iniziato procurandoci una tenda da campeggio di quelle che si montano da sole, lanciandole nel vuoto, con l’unica precauzione di tenersi stretti ad un albero per evitare che la vivacità delle aste in fibra di vetro non scaraventi l’indaffarato campeggiatore a mo’ di catapulta sul camper dei litigiosi tedeschi vicini di piazzola. Non tralascerò di dire che il guadagno di tempo nel montaggio è più che compensato dalla faticosa opera di convinzione dello smontaggio, quando la tenda, che ha imparato ad apprezzare la vita campestre, deve essere ricondotta a forza in un cilindro di centimetri 80x10 e restarci per evitare incidenti mortali in autostrada.
La dogana ci ha introdotti freddamente in un mare di Murphy, moltiplicando esponenzialmente il consueto problema “ti metti in fila di qua e avanza solo la fila di là”. La situazione stava diventando patologica, quando finalmente ci hanno lasciati andare.
Quindi siamo arrivati nella magnifica Istria, alle cui bellezze stavo da tempo cercando di attrarre i maschi della famiglia, più legati di me alle abitudini e soprattutto alle lunghe spiagge sabbiose. Io, fin da piccola abituata a inerpicarmi sugli scogli come una capra, piena di escoriazioni dalle caviglie ai polsi, ho sempre aspirato a tornare ai cristallini mari dell’infanzia in cui per fare un bagno non devi addentrarti nella melma per una decina di chilometri con l'acqua alle caviglie. 
Arrivati al campeggio, scelte alcune piazzole affacciate sulla solitudine di un mare personale, tra le quali ce ne sarebbe stata assegnata una, ci siamo visti accogliere con la stizza di chi ritiene che il black out del sistema di prenotazioni possa dipendere in qualche modo dalla tua dannata presenza. Non era possibile assegnarci alcuna piazzola fino a sblocco della situazione elettronica.
Ora: tenere fermo alla vista del mare un bambino che da ore antelucane è rimasto fermo e paziente in un’auto in coda cercando di capire perché tutti vadano avanti meno lui e la sua famiglia, dicendogli che è necessario rimettersi in fila coi passaporti fino a data da destinarsi è cosa sovraumana, e può portare a condividere con i gestori del campeggio la convinzione di esser causa di ogni sfiga.
Ce ne siamo andati, per liberare dal nostro influsso gli altri ospiti.
Mi ricordavo un ristorantino dai tempi andati, in un posto magnifico attaccato alle mura della città, che prevedeva anche letti e colazione.
Abbiamo accettato per stanchezza una camera che cadeva a pezzi per un prezzo spropositato, dove avremmo dormito in tre in un letto. Almeno Babi ha potuto cambiarsi a razzo e fiondarsi in un mini piscina in cemento riempita dalle onde del mare. Un freddo boia, un bambino che non voleva rinunciare al gioco nonostante un principio di congelamento con tanto di labbra violacee, pioggerellina fine, insomma, tutto spingeva per la fuga, attuata la mattina seguente, con sovrapprezzo di 5 euro per averli apprezzati una notte soltanto.
Abbiamo raggiunto la cugina R e l’amico T. nella casetta al mare dove abbiamo condiviso una giornata di tempo deprimente, dedicandoci a mangiare e a sedare un Babi sempre più nervoso, che continuava ad anelare quanto gli era stato promesso, con in mano la sua paletta.
Sabato siamo di nuovo fuggiti, questa volta per la consueta località balneare di quelle che piacciono ai pargoli, con ombrelloni in fila e sabbia a quintali.
La prima fila dei nostri lettini affacciati sul mare, la piazzola comoda, la tenda munita di vita propria che ci mancava solo che piantasse da sé i picchetti, la felicità di Babi coperto di sabbia fine, il sole che faceva sempre più spesso capolino tra le nuvole, ci hanno riconciliati col mondo, ed è rimasta solo una stanchezza profonda e incurabile, visto che Babi, che non accetta più di dormire il pomeriggio, tende a cadere dal sonno alle sette di sera impedendoci qualsiasi passeggiata digestiva e a svegliarsi alle cinque del mattino pretendendo brioches senza avere compreso nel profondo il concetto di “orario di silenzio totale” del regolamento del campeggio.
Ma la sensazione di tornare nella nostra magnifica casa, per la prima volta dopo il trasloco, è stata impagabile, pur non essendoci, per il resto, Mastercard.