sabato 30 ottobre 2010

Do'h 2


Per il compleanno di Marito, gli amici N. e H. vogliono procurargli una roulette di un certo tenore deluxe.
H. - Fa che non dica roulotte, fa che non dica roulotte...
Commessa: - Desiderate?
H. - Fa che non dica roulotte...Avremmo una richiesta particolare...insomma..ci servirebbe...una SLOT MACHINE!
PS: per la cronaca, pare che le roulette in vendita, escludendo quelle che si trovano nei negozi di giocattoli, e che puntano con eccessiva insistenza al numero 21, tanto che tutti i giocatori in breve, fingendo di non essersene accorti, conducono le proprie fiches ad una specie di ammucchiata, dicevo, le roulette da adulti pare che non costino meno di alcune centinaia di euro, presuppongano tavoli in noce anticato provvisti di buco, richiedano tappetini di pelle umana e fiches dal costo estremamente più elevato del valore nominale. Ergo, regalo graditissimo è stato l'ultimo Camilleri

mercoledì 20 ottobre 2010

Rende l'idea

Il plastico di casa Misseri e la regressione di Vespa, di Antonio Dipollina, sulla Repubblica.
"L'evoluzione della specie plastica è approdata ieri sera a Porta a Porta. Forse c'erano anche ospiti in studio, ma soprattutto al centro della scena troneggiava un gigantesco modellino della casa di Avetrana al centro del caso Sarah Scazzi. E soprattutto davanti alla riproduzione della casa, che appariva pressoché a grandezza naturale, c'erano delle automobiline (non incluse nella confezione), ognuna di queste era la riproduzione delle automobili dei componenti le famiglie Scazzi e Misseri.
Vespa, tradendo una preoccupante regressione, si è messo immediatamente a giocare con le macchinine, spostandole qui e là per ricostruire i movimenti dei personaggi coinvolti. Dal plastico di Cogne (ormai buono solo per E-bay) alla ricostruzione dell'appartamento dei trans di via Gradoli - passato alla storia per il soppalco sbagliato - è un notevole passo avanti. In una delle prossime puntate, prevedibile (forse) il plastico della villa di Berlusconi ad Antigua, con la carta argentata per fare il mare, e Vespa che sposta da una stanza all'altra una decina di Barbie".

Devo stare calma?


Elettricista: - avete risolto quella perdita di gas?
Nef: - ?
Impresario: eccomi qua, come è andata ieri con quella perdita di gas?
Nef: - ??
Amico paterno di passaggio: - Buonasera, e quella perdita di gas?
Nef: - anf, anf, panico, ?

Morale: Il committente è sempre l'ultimo a sapere.

martedì 12 ottobre 2010

Fine cantiere?

Povera di testimonianze di queste mie giornate, sono stata.
E come il giardiniere della scuola dei Simpson, parlo.
Il motivo (delle mie assenze, non dei miei risvolti psicanalitici sardi) è che mi trovo con una casa completamente chiazzata di pittura ecologica, piena di fluttuanti teli di plastica, di nastro da carrozziere, di cavalletti, stucco e pezzi di piastrelle, e un giardino arricchito di macerie, water, battiscopa, sabbia e betoniere. E fin qui direte che si tratta di scenario piuttosto comune nei cantieri.

Sì, ma venerdì col camion arrivano tutti i mobili, e gli scatoloni di libri e vestiti, e le stoviglie. E sabato il padrone della casa in affitto ci sbatterà fuori con l’aiuto di una scopa.

Le preoccupazioni, la stanchezza, e l’ufficio che non pare dimostrarmi alcuna pietà in questo frangente, influiscono negativamente sulla creatività, nonché sulla qualità delle giornate che poi dovrei raccontare. Perché per quanto si cerchino contenuti narrativi in ripetuti giorni di: sveglia, convinci Babi ad alzarsi, corri a scuola, corri al lavoro, corri alla casa nuova (che Babi definisce: un po’ rotta, pur iniziando per osmosi a coltivare la stessa nostra fiducia in un radioso futuro), litiga con l’impresario, dipingi, puntella, stacca, ridipingi, prendi Babi a scuola, fai la cena tentando di scrollartelo di dosso, guarda Cenerentola per la sessantatreesima volta, cambialo, immergilo nel sacco a pelo e confida che si addormenti prima di te, tanto per conservare la creanza di salutare Marito con un cenno, dicevo, per quanto vi si esplorino le potenzialità romanzesche, l’effetto è un fallimento su tutta la linea (e ho capito che la Austen ce la faceva lo stesso, ma sarà forse per quello che tutti sanno ancora chi sia la Austen?)

Di nuovo chiedo ai miei lettori di aspettarmi, e di accorgersi ogni tanto delle mie sporadiche incursioni nel blog; spero di riemergere un poco chiazzata di vernice traspirante, ammaccata dal trasloco, ma piena di idee su come dirigere le giornate che verranno.

Nightmare 2: Cenerentola


Ci abbiamo provato con Winnie the Pooh, con alterni risultati.
Kamillo Kromo di Altan è durato qualche tempo, con la sua rapidità per cui iniziava e già finiva, prima ancora che si scaldasse l’acqua per lavare i piatti.
Ma non c’è niente da fare: Babi vuole solo e sempre Cenerentola.

Immagino migliaia di famiglie in cui il bambino di casa guarda impassibile per la sessantesima volta lo stesso cartone animato, sorprendendosi ogni volta come la prima, e destabilizzando i genitori nel chiedere, dopo venticinque visioni: ma perché le sorellastre rompono il vestito a Cenerentola? E tu ti chiedi che cosa mai avesse capito finora, o immagini che se lo stesse chiedendo da giorni e giorni, tentando ipotesi e facendo incredibili elucubrazioni; nel frattempo i genitori si accorgono ormai del più piccolo particolare, di ogni anacronismo, dimenticando di considerare l’onnipresente elemento fiabesco, per cui non è strano che un gatto riesca a tenersi in piedi sulla coda in un film in cui la fata madrina fa di una zucca una carrozza; anticipano senza alcun entusiasmo, caricando la lavatrice, le battute dei personaggi (“in carrozza, monta, lesta, e divertiti alla festa!”).
L'adulto cinismo penetra involontariamente nella storia “è chiaro che il principe è gay, l’hanno visto con Heider a diversi incontri di stato in locali equivoci, e gli serve una copertura” “d’altra parte lei è la copertura perfetta, manca completamente di autostima, non si ribellerà come Diana Spencer”.

Marito ed io abbiamo finalmente capito perché la prima serata televisiva, ormai da alcuni anni , abbia inizio alle nove e mezza: perché prima è del tutto impossibile impossessarsi del (tele)comando.

martedì 5 ottobre 2010

Ar convegno


Convegno.
Tutti ammucchiati in una di quelle sale che, pur essendo dislocate in eccezionali palazzi storici affacciati su piazze straordinarie, ne compongono il nucleo centrale, completamente privo di vista, dunque di finestre, aria, luce che non sia artificiale.
Non ho mai capito se si ritenga che la visione del mondo distragga i convenuti (tuttavia i medici li mandano a Cuba..), provocando continui rumorosi sospiri per la perduta libertà, o se si tratti di crudeli esperimenti concernenti l'influenza sull'individuo di una subdola riduzione dell'afflato vitale complicata da un incredibile numero di cravatte regimental.
Laddove un raggio di sole si faccia strada coraggioso, esso viene bloccato da pesanti broccati amaranto, che credo siano stati lavati meno ancora di Luigi XIV, che pare si fosse fatto il bagno in due occasioni: il servizio militare e il matrimonio (terribile, si dice, la delusione della sposa e dei camerati, appurato che era un evento isolato).
Gli interventi, come moda comanda, sono tutti accompagnati da numerose slides sparate sulla parete senza nessun riguardo, per la maggior parte concepite non come brevi e efficaci presentazioni, ma come raccolte di epistolari di monaci annoiati dunque verbosi. L'abilità sta nell'esercitare la scelta: ascolto o leggo?, scelta in ogni caso priva di conseguenze in merito al proprio arricchimento culturale.
Totale la banalità, la mancanza di pensiero e di volontà divulgativa sottesi in parole come "clasterizzare", "impattare", "implemetare", "vision", "mission", FTE, RTA, MADONN e così via - un'attenzione speciale a "physique buro", che credo riporti il concetto di physique du role all'impiegato medio.
Stupita poi per l'ennesima volta dall'incidenza di errori nelle parole di tutti questi prof. dott. ing, per cui "è proprio il miglioramento dei processi che l'azienda ha bisogno (Jovanotti docet)", oppure "non dobbiamo sobbarcarci anche di questo fardello". Per non apparire più snob del necessario, capisco che parlando in pubblico si possa formulare una frase in modo sbagliato, ma non comprendo come il relatore non se ne accorga, dopo averla proferita, e non desideri porre fine al lamento auricolare suo e della platea mettendo in chiaro le cose.
L'unico anglosassone della compagnia, con la grande chiarezza che spesso è vanto di quelle genti, per le quali il termine "divulgazione" non è equivalente a "imbarbarimento", ci ha bacchettati alla grande, ma è istantaneamente stato messo a tacere da una montagna di vuoti e imbarazzati complimenti e dal subitaneo ritorno a cumuli di ovvietà tecnicistiche, dopo un solo minuto di silenzio (il germe della vergogna?).
E anche questa volta ci siamo guadagnati il buffet, recitando o fingendo d'ascoltare; e, in questa esplosione di amarezza cosmica, mi chiedo: perchè tutto questo entusiasmo per il catering? Ma come mangia, la gente, a casa propria?

lunedì 4 ottobre 2010

Et voilà, la dignità


Solite modalità:
- Vieni. Clic
Consueto tragitto della morte lungo il corridoio.
- desidera, Marchese?
- Leggi questa tua lettera, se l’italiano non è un’opinione.

E me la getta davanti, come sa fare solo un professore universitario con il libretto di un idiota.
- …
- A me pare comprensibile.
- Ah! Comprensibile! C’è una ripetizione: qui il sostantivo, qui un aggettivo con la stessa radice, a riga due e a riga quindici!

- Forse è inelegante, ma non più della sua pietosa cravatta.


Va bene, va bene, qui il sogno si confonde con la realtà.
In effetti ho annuito compunta, devo anche aver accennato a un breve inchino, poi ho trovato un sinonimo dell’aggettivo con radice diversa da inserire a riga quindici.
Chissà se questa volta andrà bene.

Bio bono!


“…era stato travolto da un albero mentre era in moto”.
Questo refuso sulla Repubblica online del 4 ottobre, che strappa un sorriso nella tragedia, a immaginare il motociclista che scappa terrorizzato e l’albero che lo sperona crudele, è casuale metafora del nostro rapporto con la natura, fondamentalmente fatto di appelli e petizioni, acquisti pro bono di orchidee che buttiamo appena i fiori lasciano il posto a un paio di rametti secchi, inneggi e striscioni ad ogni concepimento di panda e commozione davanti a immagini di pinguini neonati, palle di pelo grigio che se potessero ci manderebbero tutti in Galizia.

E’ difficile non fare di questo post una solfa moraleggiante sui comportamenti etici e responsabili, e io proprio non ci sono tagliata; già all’idea sono divorata da un’ansia sproporzionata rispetto alla gravità dell’esperienza e al numero dei miei lettori, ma questa volta cercherò di vincere questo mio modo di essere, dato che la materia mi sta molto a cuore.
O meglio, la parte docente la lascio a persone che se ne occupano da ben più tempo e con più approfondimento, rimandando per esempio al sito http://biodetersivi.altervista.org/homepage.htm (e ai suoi link amici), che consiglio di visitare per semplici e efficaci ricette di detergenti fai da te ed intelligenti accorgimenti, e mi accontento di poche considerazioni personali.

L’impressione è che sia così difficile discostarsi dalle proprie abitudini quotidiane, che nella nostra testa esse vengono trattate come “altro” rispetto alle conseguenze che possono avere sul mondo che ci circonda.
Vorrei far riflettere un attimo sulle seguenti proposizioni:
- in casa non è necessario disinfettare tutto, anzi, quasi niente; uno spruzzino con acqua e aceto, o acqua e bicarbonato, con eventualmente poche gocce di olio essenziale coprono la gran parte delle esigenze quotidiane di pulizia
- poche esperienze sono più deleterie della quotidiana inspirazione di prodotti cosmetici e detergenti che si discostano dalle chiazze di petrolio nell’oceano solo per l’odore, debitamente mascherato da fragranze altrettanto sintetiche
- non è vero che se non è a 60° non si lava
- l’ammorbidente non serve assolutamente a nulla
- non è vero che un sapone debba fare molta schiuma per funzionare
- non è opportuno fare il bagno o la doccia, tantomeno ai bambini, ogni giorno; giuro, è un ottimo metodo per evitare di sottoporsi a decine di prove allergiche per capire come mai la pelle si sia così impoverita delle sue difese da esser ormai composta solo dai prodotti di cui la cospargiamo
- non è necessario disincrostare quotidianamente il water di casa come se ci si trovasse a dover fare pulizia del cesso della peggior bettola di Caracas dopo uno sciopero di un mese della signora delle pulizie; vi prometto che il suddetto wc non secernerà nessun batterio delle dimensioni di un peluche della Trudy, se pulito con un po’ di bicarbonato sullo scopino
- l’olio del tonno o della frittura non si può buttare nel lavandino senza conseguenze raccapriccianti per la collettività
- il bucato è pulito anche se non riempie la casa di profumi sintetici che imitano l’odore di un bosco dei cartoni animati, perché non mi direte che un bosco vero sa di quella roba lì
- Profumare gli ambienti di fragranze inquinanti e dannose per la salute, comprese le orripilanti candele, vi ha portato più uomini/donne/amore/felicità/soldi? No? E allora smettetela, una buona volta!