venerdì 27 gennaio 2012

Ricciolato?

-    Mamma, ma questo topo nel libro, perché è ricciolato?
-    Perché è vecchio, amore, è rugoso.
-    Però il nonno e la nonna sono vecchi, ma non sono ricciolati!

Carta igienica?

Ho tra le mani un kindle, un e-book reader, uno di quei moderni accessori che provocano la modifica di un altro pezzetto delle nostre abitudini più sane e piacevoli, ma che risolvono molti dei problemi dei lettori compulsivi-ossessivi come me, che se mi trovo in fila alle poste senza nulla da leggere provo sintomi da evidente astinenza, abbruttendomi in un angolo con la barba che cresce incolta e lo sguardo smarrito.
Ho notato che i conoscenti investiti della questione non si dividono tanto tra chi ama e chi odia, ma tra chi legge e chi no.
Chi ama leggere non sceglie questi affari col cuore, che rimane tutto tra le pagine fruscianti, ma per la comodità, per la leggerezza, per la vertigine di possedere 800 storie tutte in borsetta e contemporaneamente, senza mai restare a secco, provando un po’ della serenità di chi, avendo sofferto la fame, ammira la dispensa inutilmente piena.
Chi non legge, con la stessa lucidità dei detrattori della volatile moda del papiro ai tempi della sana incisione sulla pietra, lo guarda con sdegno, e commenta: mah, per me il rapporto con la carta è tutto, non potrò mai rinunciarvi.

domenica 22 gennaio 2012

Lo scagnozzo

Ebbene: è assodato che faccio un lavoro che non mi piace da qualsiasi lato lo guardi; che non ha niente a che fare coi miei studi, nemmeno lo stipendio; sotto un grande kapo che potrei raccomandare a qualcuno solo per odio infinito, e tanti kapetti leccaculo che distruggono i nostri tentativi di portare avanti la premiata ditta.
I lati positivi sono:
-    il lavoro. Pare che sia merce rara, e dunque zitta e mucci.
-    La porta del mio ufficio: ha una vetrata smerigliata che mi permette di scrutare le ombre dei passaggi, e il blazer nero che si avvicina pericolosamente alla maniglia; inoltre si chiude.
Il delirio supremo è quando il Marchese decide di portarmi con sé nelle sue strane peregrinazioni. Non so cosa lo spinga, e raramente lo scopro nel corso dell’esperienza. Non mi rende mai edotta dei termini della questione, con esilaranti effetti quando sono chiamata a stenderne un verbale senza conoscere nemmeno i partecipanti, e poi, curiosamente, pretende che io alimenti le mie conoscenze su materie che non mi vengono nemmeno illustrate. Provando sentimenti di grande delusione al momento di valutare la mia perspicacia.
La scena si sviluppa solitamente in questo modo: il Marchese, altri kapi di maggiore o minore importanza, i quadri, e io. Quando siamo per strada o nei corridoi mi sento come una bambina trascinata in giro da zii distratti, che parlano di cose da grandi guardandosi complici nell’utilizzare metafore di parole sporche, per non arrivare alle orecchie della piccola.
Quando siamo seduti in riunione mi sento invece il corpulento scagnozzo del boss mafioso, che siede leggermente discosto dal gruppo, con lo sguardo spento di chi è lì in virtù dello scarso comprendonio e dell’abilità con la mitraglietta. Ad un cenno della mano, mi alzo, mi libero della mitraglietta e torno bambina, a trotterellare dietro al gruppo di eletti fino in ufficio, sperando di arrivare in tempo per i cartoni animati.

Progetti educativi con le palle


In un centro commerciale di quelli in cui non vedi mai il cielo.

-    Mamma, cos’è questo?
-    Un grande mago Merlino di plastica.
-    E perché l’hanno messo lì?
-    Mah, per far ridere.
-    …
-    …Mamma, ma sono proprio stupidini!
-    Chi, amore?
-    Quei signori che l’hanno messo lì.
-    Perché?
-    Perché vogliono far ridere sempre le persone. E invece le persone devono ridere solo quando vogliono.


Santo. Subito.

Siamo tutti verdoni

Quando, durante una riunione in cui il capo è stato finalmente accerchiato e messo in trappola per aver risposte definitive e certe su questioni vitali dopo giorni di appostamenti da parte nostra e pavide fughe da parte sua, gli squilla il cellulare e lui, davanti a otto teste bisognose di dipendenti disperati, risponde: Pronto? Ah, mi dica pure, non mi disturba per niente…risulta dura la vita, ma pensare a Verdone in Viaggi di nozze, per nulla turbato nell’intimità della luna di miele da chiamate continue di pazienti, aiuta.

Letture natalizie

Dunque, ero arrivata al libro sui fiori di Bach (Richard Bach, I dodici guaritori), che avevo inserito sul comodino virtuale. Essi si inseriscono come una dolce nota dissonante nel mio ateo e bieco razionalismo. Mi ricordo che il cugino S me li aveva somministrati dopo il devastante parto del piccolo diavolo, e mi ero sentita obiettivamente meglio, senza chiedermi troppe cose.
E in questo dicembre in cui mi sentivo calpestata dall’emisfero nord del globo terrestre (metafora che prense in considerazione il peso sul capo), ho pensato a quei fiori, come si pensa a qualsiasi cosa ti possa salvare evitando un medico.
S mi ha dato invece un libro, e poi ne ho letto un altro e un altro, e mi ci sono immersa riconoscendo nei caratteri descritti per ognuno dei 38 fiori me stessa, amici e parenti. Un gioco molto affascinante, come quando una cartomante è così abile da farti sentire capito.
Ho scelto i miei fiori, ne ho parlato con S, e ora tutta la famiglia sperimenta queste gocce con piacere, smussando gli angoli della convivenza con facilità e allegria.
Effetto placebo? Benissimo, benvenuto, allora!
E poi ho letto Tullio Avoledo, Breve storia di lunghi tradimenti. All’inizio sono stata travolta più che coinvolta, da questa storia dell’amore ai tempi dell’azienda globale, in cui ritrovavo la mia desolazione odierna nei confronti della dis-organizzazione del lavoro, l’ansia con cui vivo questo continuo nascondere in una falsa normalità la totale impotenza che ognuno ha verso altri capi, e altri capi, sempre più potenti, e in fondo nemmeno questi sicuri di ciò che stanno facendo, in un disperato tentativo di trarre il meglio per se stessi finché dura. Fino al tracollo.
E l’uomo scrive davvero molto bene.
Poi tre cose mi hanno disturbata:
-    Questa mania del thriller oscuro, tipica anche di molti film di questi anni, in cui per seguire la trama bisognerebbe disegnarsi su un foglio A3 il reticolo di nomi e di capitoli, cercando di risalire a chi sia questo e quell’altro, e perché abbia agito così e cosa abbia inteso quella volta: probabile metafora dell’ambiguità del mondo? Pardon, ma un lavoro certosino di questo tipo preferisco farmelo per  censire i protagonisti di Cent’anni di solitudine.
-    Quanto spesso, nelle storie, si ritrovi la figura di un uomo completamente perso per una donna totalmente immersa nella propria emotività, del tutto irrazionale, che di sé non mostra altro che l’esibizionismo del corpo e la varietà inspiegabile di umori che oscillano tra prepotenza quasi maschile e completa innocenza. Spero che nella realtà le donne così non siano molte, io non ne conosco, e gli uomini così nemmeno.
-    Il terminare il romanzo in una sorta di fantascienza, in un mondo futuro e privo di luce, che, lo ammetto, è forse un degno finale, anche realistico, della globalizzazione finanziaria, ma che subito io vivo con distacco. Non mi appartiene, è un limite mio.
Camilleri e Lucarelli, Acqua in bocca. Nato per gioco, per far incontrare i loro investigatori Grazia Negro e Salvo Montalbano, scritto per corrispondenza, in una sfida a risolvere il colpo di scena inventato dal collega, non è che un gioco, appunto. Letto in formato elettronico.

Canto di Natale, ovvero come germina la discordia tra i popoli

Bisogna premettere che mio padre e i suoi fratelli hanno vissuto tutta la loro giovinezza tramando nell’ombra. Per la loro madre, nonna O, tutto ciò che non sapeva fare lei era impraticabile da chiunque. Dunque i figli, ad insaputa dei genitori, hanno nuotato in ogni fiume, si sono scapicollati in biciclette da rottamare, hanno posseduto automobili e motociclette, e andavano a messa a turno, per poter sostenere l’interrogatorio materno sul vangelo del giorno, presentandosi impeccabili a cena.
Tanti anni fa i due fratelli maggiori erano rimasti soli a casa per un pomeriggio. Il più grande, zio D, femminaro ai livelli di Mimì Augello, era riuscito a rimediare un appuntamento con due americane. Sono entrate in casa, e hanno danzato tutto il pomeriggio con una bibita in mano, e ai piedi tacchi a spillo che terminavano con tre chiodini, per difendersi dal ghiaccio. Il tutto sul parquet appena posato dal severissimo nonno P.
Alla fine del festino, appena notata la devastazione operata sul pavimento, lo zio H ha decretato: siamo morti. Ma lo zio D ha preso in mano la situazione: ghe pensi mi.
Al ritorno dei nonni, che immagino coi capelli dritti per lo sconvolgimento emotivo, lo zio ha raccontato: Sai quella stupida della Olga Fornaro, la figlia dei vicini? E’ venuta a tentare di venderci un’enciclopedia, e nella foga del momento, andava avanti, andava indietro, e girava in tondo, e non c’era verso di fermarla. Una cosa pazzesca!
-Ma quella stupida! Ma guarda se doveva ridurre così il parquet nuovo! Ma a cosa serve girare come trottole per vendere un libro! Ha commentato il nonno P pieno di sdegno.
Da quel giorno la povera Olga Fornaro ha sempre rappresentato, nella memoria familiare, il massimo esempio di stupidità e indifferenza per le cose altrui. Ma non solo per i poveri nonni buggerati, anche per i figli ingannatori, che ancora vedono passare l’ignara donna apostrofandola con: Guarda, quella stupida di Olga Fornaro.