giovedì 12 aprile 2012

La metà di niente


Non ho resistito a comprare questo romanzo per Jeeves, il mio Ebook reader, per tre motivi:
-          Ricordavo la Dunne, a  fronte di un unico esemplare acquistato in edicola in un momento di astinenza mista a lungo viaggio, miscela potenzialmente mortale, come ottima lettura da treno, abbastanza leggero da permetterti di riposare, coinvolgente da distrarti dal mondo che vortica, ma non abbastanza da liberarti di quel cinico imbarazzo per il concetto di best seller utile a evitare di piangere in pubblico o di vederti sottrarre la valigia.
-          Era in super offerta sul sito Amazon: 3 euro
-          Volevo a tutti i costi provare a leggere un ebook come si deve, con formato kindle, che puoi estendere e ridurre a piacimento, senza passare il tempo a fissare quei minuscoli pdf craccati che ti fanno sentire povera, ossia ricca di letteratura fondamentalmente illeggibile.
Il romanzo d’esordio della scrittrice irlandese, che tratta di una donna con famiglia medio borghese mollata all’improvviso da un marito che si scopre mostruosamente egoista, e risale la china dell’entropia con una forza che invece il marito, abbandonato presto dall’amante, non saprà trovare (il consueto dilemma: passata l’ebbrezza, chi mi lava il calzino?) corrisponde perfettamente al mio ricordo: non annoia, non mi hanno rubato alcuna valigia (ho controllato in soffitta), in un qualche modo ti affezioni alle sorti dei personaggi, è realistico e ti chiedi cosa faresti se capitasse a te ma tuo marito non può essere così bestia vero??
Solo, come l’altra volta, la scrittura, che pare essere uno dei punti di forza dell’autrice, nella sua semplicità, mi colpisce per assenza totale di complessità. Eccessiva mancanza di complessità. E’ elementare, Watson. Nel pensiero.
Qualche volta mi ricorda i miei tentativi di racconti scolastici, accorati e tristanzuoli. Il che non toglie che se avessero venduto milioni di copie, ne godrei immensamente tutt’ora..

Fai bei sogni


Cominciamo col dire che sabato sera da Fazio Marito ed io siamo fans assoluti di Gramellini, che ascoltiamo e condividiamo, con cui ci indigniamo e ridiamo e pensiamo.
Dunque ci sono tutti i presupposti affinché il mio lato curioso delle vicende umane sia interessato a sapere di più. Come capita con gli amici, con le persone per cui giungi a provare una qualche forma di affetto, anche solo lontano, televisivo, dunque forse fasullo.
Quindi ho letto questo romanzo con coinvolgimento e passione, a volte scrutando la foto dell’autore sul retro del libro per leggerci con rispetto i segni di tanto dolore. Gramellini parla della morte della madre, quando aveva nove anni, che l’ha lasciato con persone che non hanno saputo sostituire degnamente l’affettività materna e la cui morte ha in un certo modo bloccato la sua vita, rendendolo incapace di reagire costruttivamente, fino alla scoperta, a quarant’anni, del fatto che si fosse suicidata per il terrore di un cancro che l’aveva invasa, e al successivo perdono per l’abbandono, che gli ha permesso di riprendere a crescere e vivere. La storia fluisce mantenendo alta l’attenzione pur conoscendo già il colpo di scena, ed ero contenta di tornare al mio libro, perché l’uomo scrive bene, è spiritoso e scorrevole.
MA
Trovo sempre così difficile comprendere come ci si possa trascinare un trauma di questo tipo per così tanti anni, senza saper reagire e trovare una strada per vivere -e questo, lo so, è un commento arrogante. Mi si risponderà: se è successo è possibile. Forse, per capire l’umanità di un suicidio, bisogna essere cresciuti con l’affetto che a lui è mancato, o forse, per non capirla, bisogna viverla direttamente. Però.
E poi mi destabilizzo ogni volta che leggo una storia così tanto privata, che abbraccia e serve in un vassoio tutta la vita di un uomo, così vera, perché è vera, e ci sono tante persone coinvolte, ed è come smutandarsi l’anima, e in parte denudare altre persone, e credo che non ne avrei mai il coraggio, per me e per chi mi è vicino.
E così la mia carriera da scrittrice è fallita in partenza, non avendo particolare talento per la fantascienza.

Non lo so...


 
-          Mamma, hai visto che abbiamo i calzetti uguali?
-          Sì, l’ho fatto apposta, questa mattina li ho scelti rossi per entrambi!
-          Allora non voglio mai sporcarli, così saranno i nostri calzetti.
-          E’ un po’ difficile realizzare questo piano, magari ne compreremo altri dello stesso colore
-          Eh sì.
-          Già. A proposito, per entrare nella vasca, toglili, i calzetti.
-          Mamma?
-          Amore?
-          Ma perché stiamo parlando solo di calzetti?

Prepariamoci!

Prepariamoci, cazzo!
Quando mi chiedevo quale fosse la differenza tra la mia compulsione alla differenziazione delle immondizie, con tanto di ansia da prestazione, e la pigrizia che comprensibilmente coglie la maggior parte della gente nel lavare una scatoletta di tonno da buttare via, non capivo. Dal primo giorno di ERASMUS in Germania mi sono trovata moralmente sollevata perchè obbligata a tenere sette diversi contenitori per la differenziata in un monolocale. Mi sentivo come alleggerita di una responsabilità, in un periodo in cui in Italia non se ne parlava nemmeno.
Ora, con il libro di Mercalli, ho capito. Cambiamenti come quelli che dobbiamo intraprendere in fretta, per cercare di cucirci una tuta di gommapiuma per attutire la caduta che verrà, oh se verrà, non possono essere accettati e messi in pratica in maniera razionale. Devono essere emotivi, un po' come l'autarchia durante la follia collettiva del fascismo, naturalmente privo degli aspetti deteriori come imperialismo e razzismo, ovvero senza fascismo.
Insomma, questa cosa deve venire da dentro le ossa, in una sorta di orgoglio fanatico collettivo, che ci darà la spinta alla ricerca di un modo diverso di vivere, a raccogliere la pioggia in ogni modo, pure con la lingua, a lavorare il più possibile attaccati a casa, a coltivare ortaggi in qualsiasi contenitore, e sul più piccolo davanzale, a evitare di prendere l'auto, a produrre energia e consumarne lo stesso meno, a trovare al più presto un'alternativa al PIL e alla crescita furiosa come unica fonte di benessere.
Questo libro calza i miei sogni in morbida lana autarchica.

Vento scomposto


Lo ammetto: a bagno nella mia stizza da romanziera fallita in fieri, volevo cogliere in castagna Simonetta Agnello Hornby, sicura che il livello di scrittura dimostrata con le sue storie siciliane non potessero riflettersi in storie contemporanee e Londinesi, come niente fosse, come se uno scrittore mantenesse il proprio equilibrio con in mezzo milleottocento chilometri. E poco importava che comunque scrivesse di ciò che vive e conosce bene, con la fortuna di vivere e conoscere bene due mondi.
Niente da fare: la scrittura (pare sia stato scritto in inglese e poi in italiano, ma non a mo’ di mera traduzione, dalla stessa scrittrice) rimane eccellente, la storia coinvolge e sconvolge, fa temere per quegli accadimenti imprevedibili che possono gettare nello sconforto, e per come i ricchi a volte possano difendersi meglio dei poveri anche da questi lampi di sfortuna che la vita manda a caso a interrompere le vite qualsiasi.
Solo un appunto, sempre per pura invidia: abusare in italiano è intransitivo, ed è stato tradotto come transitivo in giro per tutto il libro. Ma…do’h, mi corregge l’Accademia della Crusca, citando nientemeno che il Tasso: «Infuriossi allor Tancredi e disse / - Così abusi, fellon, la mia pietà?».

Molto, molto male


La creatività subisce duri colpi dalla stanchezza e dalla fatica mentale. Ormai non mi ricordo più niente, e nemmeno quei fragili spunti di scrittura che impegnano qualche neurone sopravvivono alla giornata, e all’ansia da tastiera. Questa notte ho sognato che tutto il consiglio di Amministrazione della premiata Ditta ci radunava in una stanza, mostrando un’indignazione profonda di fronte al nostro inqualificabile comportamento: solo ometteva di dirci di cosa dovessimo vergognarci.
E poi, dopo un tempo apparentemente eterno di strigliate, ho sognato uno psicologo, che mi diceva: ragazza mia, se fai sogni come questi, sei molto male.