martedì 31 luglio 2012

low cost?


Da qualche anno non frequentavo il sito della Ryanair, e devo dire che avevo lasciato un servizio dignitoso e, diolobenedica, benemerito, al preciso indirizzo dove ora ho trovato un mostro.
Viandante, finchè ti limiterai a informarti sulla disponibilità dei voli, lo spirito maligno veglierà nell’ombra, un po’ come la strega mentre Hansel e Gretel si sollazzano mangiando tegole e infissi di marzapane della sua casetta-trappola.
Quando però è il momento di comprare il biglietto, lì solo i duri possono giocare, o coloro per i quali non comporta alcun problema cercare di andare a Londra e trovarsi seppelliti da oggetti non richiesti, assicurati anche per l’eventualità di morire cadendo da una sedia a dondolo, pagando quanto un posto in business con la Lufthansa.
Il sistema chiede i nomi dei passeggeri, e già qui, attenzione a non digitare male, altrimenti sarà necessario spendere il doppio del valore del volo per il cambio nominativo, e ringrazia di non dover andare dal notaio.
Poi ti offrono una serie infinita di assicurazioni, raccontandoti macabri aneddoti su come numerosi cadaveri siano stati abbandonati sul ciglio della pista perché non previdenti (da vivi).
Sotto non c’è la banale scelta: 1. assicurami porco boia 2. non assicurarmi manco per il pipolo.
No, ci sono i nomi dei passeggeri, e un menu a tendina con la nazionalità da inserire.
Poiché il tutto è compreso nella stessa cornice, preferirai lasciare vuote quelle selezioni, proseguendo come niente fosse verso il baratro.
La sezione seguente offre di illustrarti le misure adeguate per il bagaglio a mano, e tu, illuso, ti armi di penna e foglietto, per poi misurare la tua valigetta convinto di essere una volpe.
Clicchi, e ti trovi in conto un trolley da 50 €, dal quale non ti liberi se non oscurando il sito e ricominciando come fossi una persona nuova.
E ricominci, riuscendo ad evitare di acquistare un set da viaggio, preosegui ingenuo fino al pulsante CONTINUA. Peccato che poi il sito ti dica che continuare è impossibile, se non selezioni la nazionalità dei passeggeri nella maschera dell’assicurazione.
Allora ti rassegni, e naturalmente ti trovi in conto una quantità di assicurazioni che non avresti mai creduto esistenti. Di nuovo è necessario andartene, e ritrasformarti in una persona nuova.
Ma il problema è effettivo: l’assicurazione è facoltativa o obbligatoria? Solo un conto in banca risicato a quel punto può attribuire al combattente la forza necessaria a non demordere: nel menu a tendina con le nazionalità, tra centinaia di Paesi facenti parte o meno della Nato, con identico font, trovi la scelta: grazie, non assicurarmi (che poi si dicono grazie da soli, visto che dai passeggeri non lo sentiranno spesso).

Ancora sono scossa dall’esperienza, ma so di essere in qualche modo riuscita ad evitare di pagare l’imbarco prioritario, il trasporto di sedici violoncelli e l’acquisto di un cane di misura adeguata al bagaglio a mano. Il prezzo è rimasto invariato fino quasi alla fine, quando, caricando i dati della carta di credito, ho inserito “italiana”, e patapanf, mi sono beccata altri 50 euro solo per questa mia vergognosa condizione.
Ora tremo nell’attesa del checkin online: quali trame mi attendono?

giovedì 26 luglio 2012

Famiglia allargata

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Da qualche giorno la famiglia Sportivetti si è ampliata, accogliendo un enorme quanto divertente calcio balilla, o calcetto, come l’ho sempre chiamato io, di quelli da bar di una volta, venuto dalla soffitta di nonna D, che a sua volta l’aveva ricevuto da amici qualche anno fa.
Devo dire che nonostante la mole e la rumorosità all’uso è un acquisto raccomandabile, perché arricchisce le serate con gli amici di gridolini e allegra competitività, aiuta a passare il tempo con Babi, che sta già imparando qualche tiro pericoloso, unisce la coppia, a meno che non scelga di giocare in opposte fazioni, determina una certa invidia nel vicinato, tanto da suscitare commenti amari tipo: “chi ha vinto, ieri sera? Io ero un campione…”, e alimenta le zanzare tigre se ci si ostina a giocare al tramonto. Insomma, benvenuto a Gastone, perché è così che si chiamerà.

venerdì 20 luglio 2012

Odor control

Mi interrogo spesso sul potere evocativo degli odori.
Esco dal lavoro nel momento più assolato del pomeriggio, quando il calore sale dall’asfalto fino a diffondere ovunque  il profumo dei pini marittimi. Si dirà: devi considerare che sei ben felice di uscirtene da quel posto di perdizione, anche se fuori dalla porta trovassi scarichi tossici di allevamenti di ovini. Certamente sì, ma quel profumo mi guida subito altrove, cancellando istantaneamente ogni traccia fastidiosa della giornata.
Quello è uno dei più banali e universali odori evocativi, che lascerà pochissimi cuordipietra indifferenti al suo aleggiare. Ma mi fa camminare come bambina, come adolescente serena, per lo spazio e il tempo di quel viale alberato che mi separa dalla macchina, tanto da spingermi a un quotidiano ringraziamento muto.
Altro odore banale, ma che non risparmia mai alle labbra un sorriso, è il profumo che resta nelle mani dopo anche solo un abbraccio fugace a una persona di cui si è innamorati. Anzi, quell’annusare continuo può addirittura rendere comprensibile a se stessi un sentimento ancora confuso.  
Poi ci sono gli odori privati, assolutamente inspiegabili, e a volte nemmeno riconducibili ad alcuna esperienza razionale. All’improvviso sono di buon umore, e non so assolutamente quale memoria abbia colpito il mio cervello fino a stordirlo. Oppure, al contrario, non so da dove arrivi quell’odore, ma è certamente quello di una notte passata dormendo all’aperto in un paesino turco, temendo gli scorpioni forse più del dovuto, ma ascoltando il mare, le barche dei pescatori, qualche parola sconosciuta, in uno stato di pace interiore difficilmente ritrovata in seguito.
L’odore del ricordo appena raccontato, poi, l’ho trovato: quella notte avevo dormito con il sacco a pelo appoggiato a tronchi tagliati di qualche conifera, e ora lo sento continuamente entrando in casa, perché lì fuori ho ammucchiato pezzi di un albero tagliato in giardino, che avrei dovuto consegnare a nonna D, ma non ne trovo il coraggio. Mi mancherebbe troppo quell'evocazione prepotente che lascia senza fiato.
La cosa più curiosa è che non è detto che i ricordi d’infanzia, o di adolescenza, in sé, siano così piacevoli. Per quanto mi riguarda, tende a prevalere una velata malinconia, che ha rivestito la memoria chissà quando e chissà perché, fino a uniformare un po’ i ricordi, e, tendenzialmente, a farmi preferire il presente. Però l’odore rimane memoria pura, non si porta dietro zavorra dagli anni, regala emozioni vivide e sostanzialmente piacevoli. E gliene sono grata ogni volta.

mercoledì 18 luglio 2012

Guida rapida agli addii


Anne Tyler è una maestra di scrittura. Ti fa render conto che alla fine è solo il talento, che rende degna una storia qualsiasi, di quelle che ci passano davanti ogni giorno, di quelle che viviamo noi, e che rende lampante come ognuna di esse possa insegnarci un Paese, la sua gente, o l’universalità dei sentimenti.
I personaggi che descrive sono esistiti di certo, forse anche a casa nostra, e mangiano, si sporcano, sudano, come quelli che ci è toccato conoscere davvero. Quasi fino a essere sgradevoli, sfiancanti e banali come noi, perché l’autrice non consola, ci mette davanti a cose che normalmente tendiamo a non prendere in considerazione per cercare di scappare dalla vita vera, nascondendoci in un romanzo.
Ebbene: non cercate di nascondervi in un libro di Anne Tyler, è come rannicchiarsi dietro un palo della luce.

martedì 17 luglio 2012

Due storie sporche


Niente da fare, è bravo.
Racconta due storie di bugie, in cui il sesso viene raccontato come lo racconterebbe una attempata signora inglese medio borghese. No, non come lo racconterebbe: come lo vivrebbe, come lo guarderebbe, se avesse imparato ad essere sincera con se stessa.
Niente da fare, è bravo.

Ma perchè?


Nella premiata ditta hanno rinnovato la mensa. Facendone uno di quei locali colorati, pieni di piante finte, che possono ricordare il punto di ristoro di una nave, non nel senso del Titanic, ma di un traghetto qualsiasi. Dignitosa. Piena di posti a sedere, e questo è impagabile, quando tutto deve esser fatto in 18 minuti, comprensivi del tragitto.
Ma, per qualche astrusa decisione, per la volontà di oscuri dirigenti che ancora sognano di esercitare un controllo tipo Metropolis ipnotizzando schiavi via video, nella mensa hanno messo tre televisori.
Ora: già è difficile capire la presenza di un televisore in qualsiasi luogo in cui la gente sia troppa per contendersi il telecomando senza configurare il reato di strage. Inconcepibile soprattutto per me, che son di quelli che, se anche solo in due, cedono immediatamente il potere perché tanto passerebbero tutto il tempo a spiare un eventuale segno di insofferenza nel compagno di visione, per cui preferiscono non imporsi e delegare la decisione, eventualmente tagliandosi le vene per la noia in un angolo buio. Inoltre, superato il problema della scelta del programma a seguito di decisione arbitraria, perché mai qualcuno dovrebbe guardare qualcosa che non ha scelto, circondato di gente vociante e indifferente?
Se poi la televisione è sintonizzata su telenovele o fiction sconosciute, è l’apoteosi della comicità. Immagino frotte di colleghi che spengono il cellulare aziendale e scompaiono per un’ora al giorno, appassionatisi loro malgrado a “La malga dell’amore” o “Scogli d’Irlanda”, diffondendo un fenomeno di dipendenza gestibile solo attraverso l’intervento del SERT. Pagato dallo stesso datore di lavoro che ha già buttato via soldi per i 3 plasma di cui sopra, immagino.

Gli occhi gialli dei coccodrilli


Mah. Alla fine l’ho letto tutto, per carità, e dopo la metà anche chiedendomi cosa sarebbe successo nelle pagine seguenti. Ma tutto qui. Tirato, poco convincente, poco credibile, le cose succedono perché solo così si sviluppa la trama, insomma, di quei libri in cui ti viene il pressante desiderio di tirare una sonora sberla all’eroina.

Ma ci è o ci fa?


Mi chiedo da che pianeta vengano James, Forster, Hugo e i loro simili. Temo che avessero tutti a disposizione dei ghost writer nella loro domestica, o moglie, o sorella. E credo che in realtà i fratelli Grimm fossero una coppia gay convivente ante litteram. Spiegherebbe molte cose.
Resto infatti sempre affascinata dalla totale incapacità di raccontare della maggior parte degli uomini.
Quando un’amica mi racconta qualcosa, sia pure uno sgarbo della suocera, o un dialogo romantico, io mi metto comoda, e attendo di ricevere le seguenti informazioni:
-         contestualizzazione (luoghi, tempi, rapporti personali tra tutti i partecipanti)
-         premesse (precedenti tra i personaggi coinvolti, speranze, illusioni)
-         il racconto dell’accaduto, senza particolari fronzoli
-         richiesta di opinioni in merito, o di esperienze analoghe da confrontare
-         armonioso e vicendevole tirare le somme della vicenda.
Unico neo, talora, l’abitudine di alcune narratrici di privilegiare ciò che si è detto rispetto a ciò che si è ascoltato, per il prevalere dell’umana necessità di vedere riconosciuta la correttezza del proprio comportamento rispetto al mio bisogno di una trama scorrevole. Problema facilmente risolvibile con qualche domanda incalzante, che normalmente riceve esaustiva risposta.
Le mie esigenze in merito sono per la maggior parte perfettamente corrisposte, e al termine del dialogo la sensazione che prevale è di aver ascoltato e detto qualcosa di interessante, nonché di frequentare persone interessanti, che mi arricchiscono.
E ora gli uomini.
Diverte che per secoli abbiano ritenuto che le donne servissero solo per una manciata di cose, visto che il loro modo di raccontare fa precipitare la pur volonterosa ascoltatrice in un turbine di analoghi pregiudizi: meno male che con gli uomini ci sono altri modi di divertirsi.
“Oggi, al lavoro, mi hanno fatto proprio incazzare. Vado da lui (chi, di grazia?) che mi dice che su, giù, sempre le stesse cose. E allora gli dico (e qui parte una serie di frasi sconnesse, a cui non raramente manca un elemento sintatticamente fondamentale, per non parlare della totale assenza di suspance) se vogliamo essere seri bene, perché così non si va avanti. E non entra anche Buttazzoni (?), che dà ragione a lui (se il tuo modo di spiegarti è questo, gliela do anch’io), anche se mi aveva promesso martedì che mi avrebbe sostenuto, quella volta del convegno? Sai, quelli che dicono sempre che va bene, e solo dopo che le cose si son fatte tirano fuori che si sarebbe dovuto fare diversamente?
E qui, nel momento in cui, dopo quei venti minuti di assolo, senti un punto di domanda, tenti di riprendere un colorito vitale e ti viene in mente un episodio analogo utile a creare un confronto. Lui tace per i dodici secondi che ti concede, guardandoti vacuamente o un po’ infastidito a seconda dello stato di coscienza, e poi riprende senza dare alcuna sensazione di aver recepito il senso dell’interruzione al suo sproloquio, come se l’avesse interrotto la segretaria, costringendolo ad ascoltare un appunto insignificante. Magnifico poi quando in mezzo a questo guazzabuglio trovi il capo di qualcosa che potrebbe essere avvincente, o almeno utile a capire, chiedi lumi e non ha la minima idea di cosa rispondere. Come non ha la minima memoria di cosa gli interlocutori gli abbiano detto o risposto, ma solo ed esclusivamente, per sommi capi, di cosa abbia detto o risposto lui.
Tutto questo dura molto ma molto di più del dialogo tra amiche di cui sopra; o forse è la qualità del tempo, che determina la percezione della durata.
Non resta che assentire, scuotere la testa di fronte alla sua costernazione e mugolare qualche breve incoraggiamento. Prima o poi finirà, e faremo quello per cui siamo insieme.

martedì 10 luglio 2012

Machismo in erba


Mamma, perché le femmine non possono avere il pisellino?