martedì 17 luglio 2012

Ma ci è o ci fa?


Mi chiedo da che pianeta vengano James, Forster, Hugo e i loro simili. Temo che avessero tutti a disposizione dei ghost writer nella loro domestica, o moglie, o sorella. E credo che in realtà i fratelli Grimm fossero una coppia gay convivente ante litteram. Spiegherebbe molte cose.
Resto infatti sempre affascinata dalla totale incapacità di raccontare della maggior parte degli uomini.
Quando un’amica mi racconta qualcosa, sia pure uno sgarbo della suocera, o un dialogo romantico, io mi metto comoda, e attendo di ricevere le seguenti informazioni:
-         contestualizzazione (luoghi, tempi, rapporti personali tra tutti i partecipanti)
-         premesse (precedenti tra i personaggi coinvolti, speranze, illusioni)
-         il racconto dell’accaduto, senza particolari fronzoli
-         richiesta di opinioni in merito, o di esperienze analoghe da confrontare
-         armonioso e vicendevole tirare le somme della vicenda.
Unico neo, talora, l’abitudine di alcune narratrici di privilegiare ciò che si è detto rispetto a ciò che si è ascoltato, per il prevalere dell’umana necessità di vedere riconosciuta la correttezza del proprio comportamento rispetto al mio bisogno di una trama scorrevole. Problema facilmente risolvibile con qualche domanda incalzante, che normalmente riceve esaustiva risposta.
Le mie esigenze in merito sono per la maggior parte perfettamente corrisposte, e al termine del dialogo la sensazione che prevale è di aver ascoltato e detto qualcosa di interessante, nonché di frequentare persone interessanti, che mi arricchiscono.
E ora gli uomini.
Diverte che per secoli abbiano ritenuto che le donne servissero solo per una manciata di cose, visto che il loro modo di raccontare fa precipitare la pur volonterosa ascoltatrice in un turbine di analoghi pregiudizi: meno male che con gli uomini ci sono altri modi di divertirsi.
“Oggi, al lavoro, mi hanno fatto proprio incazzare. Vado da lui (chi, di grazia?) che mi dice che su, giù, sempre le stesse cose. E allora gli dico (e qui parte una serie di frasi sconnesse, a cui non raramente manca un elemento sintatticamente fondamentale, per non parlare della totale assenza di suspance) se vogliamo essere seri bene, perché così non si va avanti. E non entra anche Buttazzoni (?), che dà ragione a lui (se il tuo modo di spiegarti è questo, gliela do anch’io), anche se mi aveva promesso martedì che mi avrebbe sostenuto, quella volta del convegno? Sai, quelli che dicono sempre che va bene, e solo dopo che le cose si son fatte tirano fuori che si sarebbe dovuto fare diversamente?
E qui, nel momento in cui, dopo quei venti minuti di assolo, senti un punto di domanda, tenti di riprendere un colorito vitale e ti viene in mente un episodio analogo utile a creare un confronto. Lui tace per i dodici secondi che ti concede, guardandoti vacuamente o un po’ infastidito a seconda dello stato di coscienza, e poi riprende senza dare alcuna sensazione di aver recepito il senso dell’interruzione al suo sproloquio, come se l’avesse interrotto la segretaria, costringendolo ad ascoltare un appunto insignificante. Magnifico poi quando in mezzo a questo guazzabuglio trovi il capo di qualcosa che potrebbe essere avvincente, o almeno utile a capire, chiedi lumi e non ha la minima idea di cosa rispondere. Come non ha la minima memoria di cosa gli interlocutori gli abbiano detto o risposto, ma solo ed esclusivamente, per sommi capi, di cosa abbia detto o risposto lui.
Tutto questo dura molto ma molto di più del dialogo tra amiche di cui sopra; o forse è la qualità del tempo, che determina la percezione della durata.
Non resta che assentire, scuotere la testa di fronte alla sua costernazione e mugolare qualche breve incoraggiamento. Prima o poi finirà, e faremo quello per cui siamo insieme.

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