martedì 6 settembre 2016

Cent'anni di solitudine

E poi ho dedicato agosto a leggere IL LIBRO.
O meglio, a leggerlo per la quarta volta. 
Ho deciso di leggerlo ogni dieci anni, come se leggessi un libro diverso, travisato da quel momento della mia vita. 
Ricordo distintamente dove mi trovavo ogni volta, al momento della lettura del finale. 
La prima volta in Turchia, su un camper, sul sedile davanti, i piedi sul cruscotto, con dietro un vivaio di adulti e bambini che si interrogavano sulla strada da prendere per raggiungere finalmente il mare. Le galline sulla strada, da evitare accuratamente con le ruote, le donne in fila ad una fontana, con i calzoni col cavallo al ginocchio, tutti a piccoli fiori, e il fazzoletto bianco annodato in cima alla testa dopo un giro sulla nuca. Grida di bambini incuriositi al nostro passaggio: all'epoca ancora evento raro. Terra che si solleva ovunque. Forse quanto di più simile, nella mia esperienza, alla Macondo di cui stavo leggendo. Del libro tentavo di ricordare la trama, di non perderla, le parentele, i nomi che si ripetevano. Le ultime parole del romanzo sono state commoventi, non possono non esserlo. Ma lontane. Gli ultimi sussulti di un mondo che si disfaceva lentamente, a partire dalla prima pagina, come la vita, non potevano colpire con forza la mia giovinezza. 
La seconda volta, sul letto di una città non mia, che poi lo sarebbe diventata, dopo gli studi. Forse è la volta che ricordo meno vividamente, assetata di vita, anche se sempre con la consapevolezza della portata e del piacere di quello che stavo leggendo. Ancora ancorata al cercare di ricordare la trama e i personaggi, infastidita dalla difficoltà di mantenerne una lucida memoria. 
La terza volta, sempre in quella città, sul divano letto di un monolocale che è stato la mia prima casa da sola, anche se sola per poco. Per la prima volta, oltre a guardare avanti, ho guardato indietro, già spaventandomi leggermente per gli anni che scorrono come treni, creando un unico percorso tra una lettura e l'altra di questo libro, come se mi accompagnasse davvero ogni giorno. 
E ora, la quarta volta, ho finito il libro nel mio letto, questa volta nella città natale. Con un brivido che conteneva pietà, commozione, ammirazione e angoscia per l'età che avrei avuto la prossima volta che avessi letto quelle parole. Per l'impossibilità di abbracciare e trattenere tutto immobile.
Ho lasciato perdere la trama (forse, proprio in questo modo, ricordandola più che tutte le altre volte), ho lasciato che i personaggi dai nomi ridondanti mi vagassero intorno, dicendomi quello che volevano dirmi, e non quello che cercavo di cavare da loro. Ho vissuto come Macondo, sentendo l'inizio del disfacimento anche dentro di me. Mi sono fatta trasportare con immensa gratitudine e malinconia.

Libri di agosto

Quando leggo non scrivo. In effetti. E devo dire a mia discolpa che è un comportamento socialmente meno dannoso di quello di chi scrive e non legge, una malattia molto diffusa.
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Tutto quello che sai sul cibo è falso di Sarah Farnetti. Ha davvero del divertente, come ogni nutrizionista propini la sua verità come l'unica, con una tale convinzione da convincerti, per lo meno per la durata del libro, che tutto quello che il nutrizionista precedente abbia osato dire sia assolutamente folle. Dunque si passa dalla regina proteina all'irrinunciabile carboidrato, dalla proporzione 40-30-30 a quella 80-10-10 (ma minchia, vi accorgete di quanto siano diverse??), dal credere che il mais sia cosa buona al vederlo come l'alimento con cui ingrassano i bovini prima del macello. La pasta a pranzo, non toccare carboidrati dalle 16. Invece mangiala a cena, l'importante è non toccare frutta, dopo. Il manzo uccide. E' irrinunciabile. Il kamut è una fregatura, grano con marchio proprietario. Però ha meno glutine ed è meno lavorato industrialmente. Compralo. Evviva l'integrale. Evviva il farro. Semi oleosi ovunque. Curcuma a cucchiaiate. Albume! Cazza la randa tirando la scotta!
Insomma, mi ricorda molto il modo di procedere del mio capo ufficio (che però, a discolpa dei nutrizionisti, faceva tutto questo da solo). E soprattutto lascia una sensazione ben precisa: che tra le scienze evolute negli ultimi decenni, questa abbia ancora molta strada da fare, per elevarsi rispetto alla stregoneria.

La battaglia navale di Marco Malvaldi. Il piacere assoluto di una lettura leggera quanto intelligente. Di leggere quello che si sarebbe voluto dire, mascherato da un teatrino assolutamente credibile e spassoso.
Ah, ormai mio maestro di vita.

L'amante giapponese di Isabel Allende. Qui è proprio mestiere. Il libro trasuda mestiere. Mi ricorda i film di Woody Allen. Il peggiore tra tutti trasuda più mestiere del migliore di molti registi. E osservare chi sa creare trame infinite dalla sua trama personale, e scriverle con maestria, ogni volta, è sempre un esercizio intelligente. E' sempre in bilico però sul filo del rischio più grande per chi lavora con la propria creatività: che il mestiere superi la passione. Dunque, per il lettore, il confronto inevitabile coi vecchi capolavori.
 Dura la vita, per chi si mantiene a inventiva. Io non corro il rischio che proprio oggi accada che compili il più bell'ordine di acquisto della mia vita, commovente, straziante eppure pregno di speranza nell'avvenire. E che il Supercapomassimo che lo firma si soffermi a riflettere sui dolori della sua infanzia, improvvisamente sconvolto dal mio meraviglioso ordine d'acquisto. E che tutti gli ordini successivi non raggiungano mai più tali vette, e che ogni volta il Supercapomassimo cerchi febbrilmente di provare le stesse emozioni, ogni volta deluso.
Ecco: ho scoperto un punto a favore del mio lavoro. L'unico.

Il seggio vacante  di J. K. Rowling. Unico? Primo? libro per adulti della mamma di Harry Potter, collana che mi guardo bene dal toccare prima che mi ci costringa la curiosità di mio figlio, che ha avuto all'uscita critiche molto altalenanti. Devo dire che io ho una passione sconfinata per i libri di beghe di paese, quasi quanta per quelli che raccontano dinastie. Insomma, amo la coralità, se gestita con intelligenza. E ogni volta mi soffermo a pensare agli schemi che l'autore dovrà farsi, per mantenere in piedi tutto un carrozzone di personalità diverse che interagiscono e si modificano nell'interazione come accade nella vita. Avevo molto goduto infatti del datato I peccati di Payton Place, passioni sommerse nella provincia americana. Ora mi sono gettata con entusiasmo nella provincia inglese. La cosa più divertente è che ne leggo come di qualcosa di alieno, perché niente mi è più lontano che questo modo di affrontare i rapporti con gli altri. Che non si dica che odio la fantascienza.



Tutta una storia di andate e ritorni

Forse sono sparita così a lungo perché mi sono scoperta una madre indegna di lievito madre, dunque una nonna indegna. Ho ucciso Giorgio, lo ammetto subito, fuori il dente fuori il dolore. Non ce la facevo: non tanto con il rinnovarlo settimanalmente, quanto con la paura di usarlo, di gestire proporzioni e tempi. L'avevo talmente ingrassato da poter mantenere per qualche settimana un panificio di paese, senza il coraggio di utilizzarlo per me. 
No: eravamo già troppi, in casa. Giorgio è morto. Ma solo dopo averne assicurato l'eternità consegnando una sua costola a un collega che ne sta estraendo pizze su pizze con grande soddisfazione. 
Almeno non l'ho abbandonato sull'autostrada. 

Trovo più facile scrivere quando non vivo. Ora vivo intensamente, ma scriverne diventa intimo e complesso, dunque mi blocco. La mia trama personale si sta creando dentro di me, ma farla venire fuori richiede uno sforzo talmente grande, quello dell'onestà e dell'ammissione, che il corpo fa in modo di entrare in modalità indolenza. Letterariamente, il girone degli ignavi.
Contemporaneamente, l'urgenza di scrivere è talmente potente che mi aggrappo a piccoli accadimenti futili e divertenti, come se rendessero semplice la complicazione. E mi chiedo se gli scrittori che riescono apparentemente a non parlare mai di sé (il caro Wodehouse ne sembrerebbe l'esempio eccellente) in realtà nascondano sotto lattiere a forma di mucca la loro lettura della vita. Inarrivabili geni.