............Un fondamentale diritto di libertà del lettore sancito da Pennac mi ispira nel lasciare traccia delle pagine che leggo e di quelle che vivo. Entrambe se ne vanno via troppo in fretta.
Non so se avete
presente Bruce Willis in Pulp fiction, quando si arma in maniera sempre
più sofisticata per la sua vendetta, dal coltellino al kalashnikov.
Questa è
stata più o meno la scena che con nonna D. ho vissuto ieri dal veterinario, per
riuscire a fare le analisi del sangue al suo gatto, operazione tra l'altro inutile, visto che, anche individuata la patologia, sarebbe stato impossibile fargli ingurgitare qualsiasi medicina, quindi tanto vale preservare uno stato di beata ignoranza di uomini e bestie.
Prima
l'ho tenuto fermo per il collo, mentre la dottoressa si avvicinava
fischiettando con la siringa, poi, sono stati aggiunti dei guantoni da
boxe antiunghia, poi è arrivato un altro veterinario, ho visto sfilare una cintura dai pantaloni, e non escludo che ad un certo punto sia intervenuta una ruspa. E niente
analisi del sangue. Ha vinto il gatto.
Da piccola, in ospedale, ho tentato qualcosa di simile, ma hanno vinto loro. E ora sono senza adenoidi.
Philip Roth, La macchia umana. Quest'uomo scrive da dio, non ci son santi, ed è così coinvolgente da non credere, e mi viene quasi da piangere dall'invidia, a pensare come possa allestire un'impalcatura così salda con la storia di una famiglia che alla fine mi pare di conoscere..tutto questo quando non si perde in pagine e pagine di descrizioni leziose con flussi di coscienza eterni a cui sinceramente non credo possa interessarsi assolutamente nessuno, nemmeno chi li produce. Credo che la protagonista l'abbia implorato di smettere, inascoltata. Ebbene, di nuovo ho invocato e usato il diritto del lettore che dà il nome a questo blog. Non è possibile sopportare un parallelismo tra un personaggio e una cornacchia che duri oltre le quattro pagine. Non è possibile. Augh. Gli aye
aye e io - Gerald Durrel è sempre un grande, lo adoro fin da piccina, anche se
forse, cercando i suoi lavori meno noti, il tutto un po’ si ripete, soprattutto
il tipo di umorismo. Insomma, prevenivo le battute. Ma ora so cosa sono gli aye
aye, roba da non sottovalutare.
Arthur Golden, Memorie
di una geisha: di quei libri che da anni guardavo in libreria con la coda dell’occhio,
con la copertina troppo glamour (dio, mi vengono i brividi, a questa parola), e
il preconcetto che i best seller siano tutti del livello letterario di “Confidenze”.
E ora l’ho trovato, per l’incrociarsi di due condizioni: il tentativo
fallitissimo di leggere in spiaggia il kindle, per ovvi motivi di
surriscaldamento/sabbiature, fattori che gli aggeggi elettronici incomprensibilmente non
apprezzano; e un negozietto di libri di seconda mano, già così rovinati e provati
che anche una casuale mareggiata sulle sdraio non ne avrebbe modificato l’aspetto.
Ne sono stata molto contenta, per essermi goduta una storia affascinante, per
avere scoperto cosa sia esattamente una geisha, per il sollievo di non esserlo.
Buon libro formativo.
Patricia Cornwell, L'ultimo Distretto:
nella stessa libreria ho trovato l’ennesimo giallo di kay Scarpetta, in una
condizione tale da stupirsi che non si trovasse in terapia intensiva. La
spiaggia non poteva nuocergli in nessun modo. E me la sono spassata, così, con
leggerezza.Senza assolutamente ricordarmene il titolo, che ho dovuto andare a rivedere. Chissà se è più piacevole essere letta da tutti e ricordata da nessuno, o essere letta da pochi ma ricordata come pietra miliare. Posto che finchè non scrivo non mi accadrà di sicuro nessuna delle due cose, posso farmi un sonnellino.
Nick Hornby, E’
nata una star. E' una cosuccia da poche pagine. Che mestiere, cavolo.
Poche pagine che riescono a farti entrare in una famiglia come fossi una
ragazza alla pari, lasciandoti con tutte le curiosità di chi torna a casa non
sapendone più niente;e non solo, poche pagine per far ridere, e fare confronti
(non di dimensioni!), e pensare. Magnifico Hornby.
Jeffrey Eugenides, Middlesex.
Quando un libro piace a mia madre e piace a mio padre di solito è un ottimo
libro. I due, gran lettori, sono complementari, e quando un romanzo contiene
ciò di cui hanno bisogno entrambi, esso è completo. E godibile. E infatti, mi è
piaciuto moltissimo, fino a chiedermi cosa diavolo io stessi aspettando a
leggerlo. La cosa curiosa è che, espresso ai genitori il mio entusiasmo,
nessuno dei due ricordava assolutamente il romanzo, che pure ha una trama
abbastanza singolare.E, mi pareva, indimenticabile...
-->Mi dice dideltaindelta che spesso vede morire blog
anche carini, che all'improvviso sembrano risorgere con struggenti post del tono: scusate, non ho più tempo,
giuro che tornerò a scrivere, e poi la fiammella si spegne tra fantastilioni di
parole del web. Ebbene: non scriverò niente di simile, per scaramanzia, e le
alternative sono due: morire in silenzio oppure ricominciare a scrivere di
buona lena, sperando di avere qualcosa da dire.
A quattordici anni guardavo Manhattan, di Woody Allen. Il protagonista si innamora di una diciassettenne, e a me pareva una meta lontanissima, avere diciassette anni. Poi l'ho rivisto a diciassette, e poi a venti, a ventiquattro, e lei restava lì. Poi qualche altra volta. E lei immobile.
Ora non guardo più Manhattan di Woody Allen, anche se lo meriterebbe.
Mi trovo invece a guardare il film Prime, in cui Uma Thurman si innamora a trentasette anni di un ventitreenne. Per illustrare le differenze culturali dovute all'età, viene rappresentato l'ascolto della coppia di un brano jazz, di cui il ragazzo non sa nulla, e chiede lumi. Prima che rispondesse Uma, avevo già biascicato: In a sentimental mood, John Coltrane.
Credo che non vedrò più nemmeno Prime, benché, da commediola americana, mi avesse entusiasmata nel finale, così poco scontato.
Da qualche anno non frequentavo il sito della Ryanair, e
devo dire che avevo lasciato un servizio dignitoso e, diolobenedica, benemerito,
al preciso indirizzo dove ora ho trovato un mostro.
Viandante, finchè ti limiterai a informarti sulla
disponibilità dei voli, lo spirito maligno veglierà nell’ombra, un po’ come la
strega mentre Hansel e Gretel si sollazzano mangiando tegole e infissi di
marzapane della sua casetta-trappola.
Quando però è il momento di comprare il biglietto, lì solo
i duri possono giocare, o coloro per i quali non comporta alcun problema
cercare di andare a Londra e trovarsi seppelliti da oggetti non richiesti, assicurati
anche per l’eventualità di morire cadendo da una sedia a dondolo, pagando
quanto un posto in business con la Lufthansa.
Il sistema chiede i nomi dei passeggeri, e già qui,
attenzione a non digitare male, altrimenti sarà necessario spendere il doppio
del valore del volo per il cambio nominativo, e ringrazia di non dover andare
dal notaio.
Poi ti offrono una serie infinita di assicurazioni,
raccontandoti macabri aneddoti su come numerosi cadaveri siano stati
abbandonati sul ciglio della pista perché non previdenti (da vivi).
Sotto non c’è la banale scelta: 1. assicurami porco boia
2. non assicurarmi manco per il pipolo.
No, ci sono i nomi dei passeggeri, e un menu a tendina con
la nazionalità da inserire.
Poiché il tutto è compreso nella stessa cornice, preferirai
lasciare vuote quelle selezioni, proseguendo come niente fosse verso il
baratro.
La sezione seguente offre di illustrarti le misure
adeguate per il bagaglio a mano, e tu, illuso, ti armi di penna e foglietto, per
poi misurare la tua valigetta convinto di essere una volpe.
Clicchi, e ti trovi in conto un trolley da 50 €, dal quale
non ti liberi se non oscurando il sito e ricominciando come fossi una persona
nuova.
E ricominci, riuscendo ad evitare di acquistare un set da
viaggio, preosegui ingenuo fino al pulsante CONTINUA. Peccato che poi il sito
ti dica che continuare è impossibile, se non selezioni la nazionalità dei
passeggeri nella maschera dell’assicurazione.
Allora ti rassegni, e naturalmente ti trovi in conto una
quantità di assicurazioni che non avresti mai creduto esistenti. Di nuovo è
necessario andartene, e ritrasformarti in una persona nuova.
Ma il problema è effettivo: l’assicurazione è facoltativa
o obbligatoria? Solo un conto in banca risicato a quel punto può attribuire al
combattente la forza necessaria a non demordere: nel menu a tendina con le
nazionalità, tra centinaia di Paesi facenti parte o meno della Nato, con
identico font, trovi la scelta: grazie, non assicurarmi (che poi si dicono
grazie da soli, visto che dai passeggeri non lo sentiranno spesso).
Ancora sono scossa dall’esperienza, ma so di essere in
qualche modo riuscita ad evitare di pagare l’imbarco prioritario, il trasporto
di sedici violoncelli e l’acquisto di un cane di misura adeguata al bagaglio a
mano. Il prezzo è rimasto invariato fino quasi alla fine, quando, caricando i
dati della carta di credito, ho inserito “italiana”, e patapanf, mi sono
beccata altri 50 euro solo per questa mia vergognosa condizione.
Ora tremo nell’attesa del checkin online: quali trame mi
attendono?
Da qualche giorno la famiglia Sportivetti si è ampliata,
accogliendo un enorme quanto divertente calcio balilla, o calcetto, come l’ho
sempre chiamato io, di quelli da bar di una volta, venuto dalla soffitta di
nonna D, che a sua volta l’aveva ricevuto da amici qualche anno fa.
Devo dire che nonostante la mole e la rumorosità all’uso è
un acquisto raccomandabile, perché arricchisce le serate con gli amici di
gridolini e allegra competitività, aiuta a passare il tempo con Babi, che sta
già imparando qualche tiro pericoloso, unisce la coppia, a meno che non scelga
di giocare in opposte fazioni, determina una certa invidia nel vicinato, tanto
da suscitare commenti amari tipo: “chi ha vinto, ieri sera? Io ero un campione…”,
e alimenta le zanzare tigre se ci si ostina a giocare al tramonto. Insomma,
benvenuto a Gastone, perché è così che si chiamerà.
Mi interrogo spesso sul potere evocativo degli odori.
Esco dal lavoro nel momento più assolato del pomeriggio, quando
il calore sale dall’asfalto fino a diffondere ovunque il profumo dei pini marittimi. Si dirà: devi
considerare che sei ben felice di uscirtene da quel posto di perdizione, anche
se fuori dalla porta trovassi scarichi tossici di allevamenti di ovini. Certamente
sì, ma quel profumo mi guida subito altrove, cancellando istantaneamente ogni
traccia fastidiosa della giornata.
Quello è uno dei più banali e universali odori evocativi,
che lascerà pochissimi cuordipietra indifferenti al suo aleggiare. Ma mi fa
camminare come bambina, come adolescente serena, per lo spazio e il tempo di
quel viale alberato che mi separa dalla macchina, tanto da spingermi a un quotidiano
ringraziamento muto.
Altro odore banale, ma che non risparmia mai alle labbra
un sorriso, è il profumo che resta nelle mani dopo anche solo un abbraccio
fugace a una persona di cui si è innamorati. Anzi, quell’annusare continuo può
addirittura rendere comprensibile a se stessi un sentimento ancora confuso.
Poi ci sono gli odori privati, assolutamente inspiegabili,
e a volte nemmeno riconducibili ad alcuna esperienza razionale. All’improvviso
sono di buon umore, e non so assolutamente quale memoria abbia colpito il mio
cervello fino a stordirlo. Oppure, al contrario, non so da dove arrivi quell’odore,
ma è certamente quello di una notte passata dormendo all’aperto in un paesino
turco, temendo gli scorpioni forse più del dovuto, ma ascoltando il mare, le
barche dei pescatori, qualche parola sconosciuta, in uno stato di pace interiore
difficilmente ritrovata in seguito.
L’odore del ricordo appena raccontato, poi, l’ho trovato:
quella notte avevo dormito con il sacco a pelo appoggiato a tronchi tagliati di
qualche conifera, e ora lo sento continuamente entrando in casa, perché lì
fuori ho ammucchiato pezzi di un albero tagliato in giardino, che avrei dovuto
consegnare a nonna D, ma non ne trovo il coraggio. Mi mancherebbe troppo quell'evocazione prepotente che lascia senza fiato.
La cosa più curiosa è che non è detto che i ricordi d’infanzia,
o di adolescenza, in sé, siano così piacevoli. Per quanto mi riguarda, tende a
prevalere una velata malinconia, che ha rivestito la memoria chissà quando e
chissà perché, fino a uniformare un po’ i ricordi, e, tendenzialmente, a farmi
preferire il presente. Però l’odore rimane memoria pura, non si porta dietro
zavorra dagli anni, regala emozioni vivide e sostanzialmente piacevoli. E
gliene sono grata ogni volta.
Anne Tyler è una maestra di scrittura. Ti fa render conto
che alla fine è solo il talento, che rende degna una storia qualsiasi, di
quelle che ci passano davanti ogni giorno, di quelle che viviamo noi, e che
rende lampante come ognuna di esse possa insegnarci un Paese, la sua gente, o
l’universalità dei sentimenti.
I personaggi che descrive sono esistiti di certo, forse
anche a casa nostra, e mangiano, si sporcano, sudano, come quelli che ci è
toccato conoscere davvero. Quasi fino a essere sgradevoli, sfiancanti e banali
come noi, perché l’autrice non consola, ci mette davanti a cose che normalmente
tendiamo a non prendere in considerazione per cercare di scappare dalla vita
vera, nascondendoci in un romanzo.
Ebbene: non cercate di nascondervi in un libro di Anne
Tyler, è come rannicchiarsi dietro un palo della luce.
Racconta due storie di bugie, in cui il sesso viene
raccontato come lo racconterebbe una attempata signora inglese medio borghese. No,
non come lo racconterebbe: come lo vivrebbe, come lo guarderebbe, se avesse
imparato ad essere sincera con se stessa.
Nella premiata ditta hanno rinnovato la mensa. Facendone
uno di quei locali colorati, pieni di piante finte, che possono ricordare il
punto di ristoro di una nave, non nel senso del Titanic, ma di un traghetto
qualsiasi. Dignitosa. Piena di posti a sedere, e questo è impagabile, quando
tutto deve esser fatto in 18 minuti, comprensivi del tragitto.
Ma, per qualche astrusa decisione, per la volontà di
oscuri dirigenti che ancora sognano di esercitare un controllo tipo Metropolis
ipnotizzando schiavi via video, nella mensa hanno messo tre televisori.
Ora: già è difficile capire la presenza di un televisore
in qualsiasi luogo in cui la gente sia troppa per contendersi il telecomando
senza configurare il reato di strage. Inconcepibile soprattutto per me, che son
di quelli che, se anche solo in due, cedono immediatamente il potere perché
tanto passerebbero tutto il tempo a spiare un eventuale segno di insofferenza
nel compagno di visione, per cui preferiscono non imporsi e delegare la
decisione, eventualmente tagliandosi le vene per la noia in un angolo buio.
Inoltre, superato il problema della scelta del programma a seguito di decisione
arbitraria, perché mai qualcuno dovrebbe guardare qualcosa che non ha scelto,
circondato di gente vociante e indifferente?
Se poi la televisione è sintonizzata su telenovele o
fiction sconosciute, è l’apoteosi della comicità. Immagino frotte di colleghi
che spengono il cellulare aziendale e scompaiono per un’ora al giorno,
appassionatisi loro malgrado a “La malga dell’amore” o “Scogli d’Irlanda”,
diffondendo un fenomeno di dipendenza gestibile solo attraverso l’intervento
del SERT. Pagato dallo stesso datore di lavoro che ha già buttato via soldi per
i 3 plasma di cui sopra, immagino.
Mah. Alla fine l’ho letto tutto, per carità, e dopo la metà
anche chiedendomi cosa sarebbe successo nelle pagine seguenti. Ma tutto qui.
Tirato, poco convincente, poco credibile, le cose succedono perché solo così si
sviluppa la trama, insomma, di quei libri in cui ti viene il pressante
desiderio di tirare una sonora sberla all’eroina.
Mi chiedo da che pianeta vengano James, Forster, Hugo e i
loro simili. Temo che avessero tutti a disposizione dei ghost writer nella loro
domestica, o moglie, o sorella. E credo che in realtà i fratelli Grimm fossero
una coppia gay convivente ante litteram. Spiegherebbe molte cose.
Resto infatti sempre affascinata dalla totale incapacità
di raccontare della maggior parte degli uomini.
Quando un’amica mi racconta qualcosa, sia pure uno sgarbo
della suocera, o un dialogo romantico, io mi metto comoda, e attendo di
ricevere le seguenti informazioni:
-contestualizzazione (luoghi, tempi, rapporti personali
tra tutti i partecipanti)
-premesse (precedenti tra i personaggi coinvolti,
speranze, illusioni)
-il racconto dell’accaduto, senza particolari fronzoli
-richiesta di opinioni in merito, o di esperienze
analoghe da confrontare
-armonioso e vicendevole tirare le somme della vicenda.
Unico neo, talora, l’abitudine di alcune narratrici di
privilegiare ciò che si è detto rispetto a ciò che si è ascoltato, per il
prevalere dell’umana necessità di vedere riconosciuta la correttezza del
proprio comportamento rispetto al mio bisogno di una trama scorrevole. Problema
facilmente risolvibile con qualche domanda incalzante, che normalmente riceve
esaustiva risposta.
Le mie esigenze in merito sono per la maggior parte
perfettamente corrisposte, e al termine del dialogo la sensazione che prevale è
di aver ascoltato e detto qualcosa di interessante, nonché di frequentare
persone interessanti, che mi arricchiscono.
E ora gli uomini.
Diverte che per secoli abbiano ritenuto che le donne
servissero solo per una manciata di cose, visto che il loro modo di raccontare
fa precipitare la pur volonterosa ascoltatrice in un turbine di analoghi
pregiudizi: meno male che con gli uomini ci sono altri modi di divertirsi.
“Oggi, al lavoro, mi hanno fatto proprio incazzare. Vado
da lui (chi, di grazia?) che mi dice che su, giù, sempre le stesse cose. E
allora gli dico (e qui parte una serie di frasi sconnesse, a cui non raramente
manca un elemento sintatticamente fondamentale, per non parlare della totale
assenza di suspance) se vogliamo essere seri bene, perché così non si va
avanti. E non entra anche Buttazzoni (?), che dà ragione a lui (se il tuo modo di
spiegarti è questo, gliela do anch’io), anche se mi aveva promesso
martedì che mi avrebbe sostenuto, quella volta del convegno? Sai, quelli che
dicono sempre che va bene, e solo dopo che le cose si son fatte tirano fuori
che si sarebbe dovuto fare diversamente?
E qui, nel momento in cui, dopo quei venti minuti di assolo, senti un punto di
domanda, tenti di riprendere un colorito vitale e ti viene in mente un episodio
analogo utile a creare un confronto. Lui tace per i dodici secondi che ti
concede, guardandoti vacuamente o un po’ infastidito a seconda dello stato di
coscienza, e poi riprende senza dare alcuna sensazione di aver recepito il
senso dell’interruzione al suo sproloquio, come se l’avesse interrotto la
segretaria, costringendolo ad ascoltare un appunto insignificante. Magnifico
poi quando in mezzo a questo guazzabuglio trovi il capo di qualcosa che
potrebbe essere avvincente, o almeno utile a capire, chiedi lumi e non ha la
minima idea di cosa rispondere. Come non ha la minima memoria di cosa gli
interlocutori gli abbiano detto o risposto, ma solo ed esclusivamente, per
sommi capi, di cosa abbia detto o risposto lui.
Tutto questo dura molto ma molto di più del dialogo tra
amiche di cui sopra; o forse è la qualità del tempo, che determina la
percezione della durata.
Non resta che assentire, scuotere la testa di fronte alla
sua costernazione e mugolare qualche breve incoraggiamento. Prima o poi finirà,
e faremo quello per cui siamo insieme.
Inserisca codice fiscale e PIN (totale diciottomila
caratteri alfanumerici casuali)
Non riconosciuto. Forse lo utilizza per la prima
volta?
Allora deve cambiarlo. CAMBIA PIN
Inserire nuovo PIN
Dati incompleti. Utente non riconosciuto.
Benvenuta!
Modulo ICRIC: anno 2010 o 2011?
Utente non abilitato alla sezione agricoltura.
Benvenuta!
2011? Apri.
Dati incompleti. Utente non riconosciuto.
Il nuovo PIN è stato inviato al suo indirizzo di
posta.
Inserisca codice fiscale e PIN (totale diciottomila
caratteri alfanumerici casuali)
Non riconosciuto. Forse lo utilizza per la prima
volta?
Allora deve cambiarlo. CAMBIA PIN
Inserire nuovo PIN
Utente non riconosciuto.
Benvenuta!
Per effettuare questa operazione il PIN deve essere trasformato
in PIN dispositivo, compilando questo modulo e inviandolo a questo link con
copia del documento di identità.
Attenzione: il modulo firmato e il documento di
identità devono essere compresi nello stesso file, due file non saranno
riconosciuti. Indietro.
Utente non riconosciuto.
Nella profonda trasformazione della società informatizzata è fondamentale il mantenimento del modello tradizionale di orientamento al cliente che enti come questo hanno sempre garantito. Perfetto.
Mettiamola così: non sarò io a sparare sui Promessi
Sposi. Quando, uscita dalle maglie d’acciaio dell’analisi del testo che penetra
nelle orecchie come uno stridore che accompagna la lettura di qualsiasi
cosanegli anni della scuola, ho
afferrato il romanzo di Manzoni senza pregiudizi, ne ho tratto godimento come
per molti dei miei amatissimi romanzi dell’Ottocento europeo a lui
contemporanei, anche se, appunto, si trattava sempre di uno contro innumerevoli.
E dove cavolo erano i Vicerè, a scuola? Una riga su
un’antologia? Affogati coi lupini nel naufragio dei Malavoglia? Perché nessuno
grida al complotto?
O forse è una strategia più sottile: non
sottoponiamolo al giogo del Manzoni, che a fatica si libera da farfugliamenti
sulla struttura logica della digressione e sulle sequenze narrativo-riflessive,
lasciamo che i soli curiosi lo trovino come un fiore appena schiuso tra i tomi
delle biblioteche casalinghe, scoprendo un mondo tra la polvere.
Ebbene: nel mio piccolo mi oppongo: leggetelo, gente!
Come commentare questo tomo interessantissimo su ciò
che, nei secoli, l’attuale Vaticano ha magistralmente coperto da una fitta
coltre di nebbia sopra la vergogna, atteggiamento che si assomma alle plateali
contraddizioni quotidiane con cui preti operosi e di buona volontà devono fare
i conti nel loro vivere quotidiano?Dirò
solo questo, pensiero frequente durante la lettura: si sente sempre dire che il
comunismo è stato una tragedia, e che non ha senso tenere separata la fulgida
teoria marxista dalla brutale applicazione della stessa che nel ‘900 ha
distrutto milioni di vite, e ne ha rese infelici molte di più. Vero. Allora,
però, lo stesso discorso si dovrebbe fare per il cattolicesimo: il vangelo
contiene pagine commoventi, e la diffusione di quelle idee è stato forse uno
dei regali più belli dell’umanità all’umanità, ma provando a soppesare i
vantaggi e gli svantaggi portati dalla Chiesa alla storia, mi sembra sia perlomeno
discutibile sostenere l’opportunità della sua esistenza.
Non ho resistito a comprare questo romanzo per
Jeeves, il mio Ebook reader, per tre motivi:
-Ricordavo la Dunne, afronte di un unico esemplare acquistato in edicola in un momento di
astinenza mista a lungo viaggio, miscela potenzialmente mortale, come ottima
lettura da treno, abbastanza leggero da permetterti di riposare, coinvolgente
da distrarti dal mondo che vortica, ma non abbastanza da liberarti di quel
cinico imbarazzo per il concetto di best seller utile a evitare di piangere in
pubblico o di vederti sottrarre la valigia.
-Era in super offerta sul sito Amazon: 3 euro
-Volevo a tutti i costi provare a leggere un ebook come
si deve, con formato kindle, che puoi estendere e ridurre a piacimento, senza
passare il tempo a fissare quei minuscoli pdf craccati che ti fanno sentire
povera, ossia ricca di letteratura fondamentalmente illeggibile.
Il romanzo d’esordio della scrittrice irlandese, che
tratta di una donna con famiglia medio borghese mollata all’improvviso da un
marito che si scopre mostruosamente egoista, e risale la china dell’entropia
con una forza che invece il marito, abbandonato presto dall’amante, non saprà
trovare (il consueto dilemma: passata l’ebbrezza, chi mi lava il calzino?) corrisponde
perfettamente al mio ricordo: non annoia, non mi hanno rubato alcuna valigia
(ho controllato in soffitta), in un qualche modo ti affezioni alle sorti dei
personaggi, è realistico e ti chiedi cosa faresti se capitasse a te ma tuo
marito non può essere così bestia vero??
Solo, come l’altra volta, la scrittura, che pare
essere uno dei punti di forza dell’autrice, nella sua semplicità, mi colpisce
per assenza totale di complessità. Eccessiva mancanza di complessità. E’
elementare, Watson. Nel pensiero.
Qualche volta mi ricorda i miei tentativi di racconti
scolastici, accorati e tristanzuoli. Il che non toglie che se avessero venduto
milioni di copie, ne godrei immensamente tutt’ora..
Cominciamo col dire che sabato sera da Fazio Marito
ed io siamo fans assoluti di Gramellini, che ascoltiamo e condividiamo, con cui
ci indigniamo e ridiamo e pensiamo.
Dunque ci sono tutti i presupposti affinché il mio
lato curioso delle vicende umane sia interessato a sapere di più. Come capita
con gli amici, con le persone per cui giungi a provare una qualche forma di
affetto, anche solo lontano, televisivo, dunque forse fasullo.
Quindi ho letto questo romanzo con coinvolgimento e
passione, a volte scrutando la foto dell’autore sul retro del libro per
leggerci con rispetto i segni di tanto dolore. Gramellini parla della morte
della madre, quando aveva nove anni, che l’ha lasciato con persone che non
hanno saputo sostituire degnamente l’affettività materna e la cui morte ha in
un certo modo bloccato la sua vita, rendendolo incapace di reagire
costruttivamente, fino alla scoperta, a quarant’anni, del fatto che si fosse
suicidata per il terrore di un cancro che l’aveva invasa, e al successivo
perdono per l’abbandono, che gli ha permesso di riprendere a crescere e vivere.
La storia fluisce mantenendo alta l’attenzione pur conoscendo già il colpo di
scena, ed ero contenta di tornare al mio libro, perché l’uomo scrive bene, è
spiritoso e scorrevole.
MA
Trovo sempre così difficile comprendere come ci si
possa trascinare un trauma di questo tipo per così tanti anni, senza saper
reagire e trovare una strada per vivere -e questo, lo so, è un commento
arrogante. Mi si risponderà: se è successo è possibile. Forse, per capire
l’umanità di un suicidio, bisogna essere cresciuti con l’affetto che a lui è
mancato, o forse, per non capirla, bisogna viverla direttamente. Però.
E poi mi destabilizzo ogni volta che leggo una storia
così tanto privata, che abbraccia e serve in un vassoio tutta la vita di un
uomo, così vera, perché è vera, e ci sono tante persone coinvolte, ed è come
smutandarsi l’anima, e in parte denudare altre persone, e credo che non ne
avrei mai il coraggio, per me e per chi mi è vicino.
E così la mia carriera da scrittrice è fallita in
partenza, non avendo particolare talento per la fantascienza.
"Si legge non tanto per imparare, allora, nè in fondo per essere intrattenuti in modo intelligente: lo si fa per lasciare che quella prosa scorra su certe personali stanchezze, o sconfitte, o disfatte, e ne lenisca il bruciore, sciacquando via lo sporco della ferita. Così si legge per il puro piacere della lettura - e per salvarsi". Alessandro Baricco
La verità, in sostanza, è che per quanto concerne la lettura quello che cambia sono solo gli strumenti. L’atto di tradurre in parole le nostre emozioni più profonde e le nostre paure più segrete, di soccorrere l’esperienza, di rendere presente il parlante che non è lì e neppure ci parla, è rimasto immutabile dai tempi dei primi lettori in sumero. Alberto Manguel
La letteratura può spiegarvi cos'è la vita, ma non vi spiegherà mai come si fa a uscirne. Katagiri Roshi
La scienza trova la verità, va bene, ma devi ammettere che la letteratura aiuta a sopportarla. Marco Malvaldi
Scrivo, così capisco quello che penso. Flannery O' Connor
Ciascuno di voi ha soltanto una storia. Scriverete la vostra unica storia in molti modi diversi. Non state mai a preoccuparvi, per la storia. Tanto ne avete una sola. Elizabeth Strout
Quando l'artista ha esaurito i suoi materiali, quando la sua fantasia non dipinge più, la mente non concepisce più pensieri, e i libri gli sono di noia - gli rimane sempre una risorsa, vivere. Ralph Waldo Emerson
Il non leggente oggi non ha attenuanti, c’è immensa offerta a basso costo. Il non leggente si danneggia da solo, mettendo il lettore assiduo in una posizione di vantaggio per uso di linguaggio e per miglioramento del suo sistema immunitario contro le falsificazioni. Rimedio è informare il cittadino non leggente della sua condizione di vulnerabilità civile. Erri de Luca
Quando si diventa adulti, e famiglia, è impegnativo e affascinante tentare di abitare comodamente questo nuovo sè lasciando intatto il nocciolo che da qualche parte rimane a definirci. Il mio ha bisogno di nutrimento costante: nella musica, nella cucina, nelle strade del mondo e nella lettura, per concorrere a comporre una vita degna.