lunedì 29 novembre 2010

il divenire


Babi -Mamma, perchè Pantacollant è entrato nella mia camera?
Nef - Perchè gli piace molto; guarda il tuo lettino, e tutti i giocattoli, e pensa che vorrebbe anche lui avere una cameretta tutta sua.
Babi - ...
Babi - Eh, ma solo quando diventa un bambino!

venerdì 26 novembre 2010

Al nevee

E' inutile, ogni opposizione degna di considerazione razionale non mi tange; la strada diventa un paciugo; se poi fa freddo ghiaccia tutto; in città la neve fa schifo; come cavolo torno a casa?
Non importa.
Nevica.
Senti che bel rumore.
(dalla finestra dell'ufficio)

mercoledì 24 novembre 2010

Et voilà

Ed ecco che, come niente fosse, oggi ho scoperto la ricetta della cocacola, creandone qualche millilitro io stessa, col mescolare orrido the finto della macchinetta con una sessantina di gocce di ecchinacea, ribes nero e altre robe innominabili che dovrebbero allontanare da me la perpetua tonsillite.
Giuro, la brodaglia che ho bevuto era cocacola sgasata, e vogliamo mettere i benefici, rispetto alla famigerata bibita scioglichiodi?

martedì 23 novembre 2010

Il Marchese sorprendente


Da alcuni giorni il Marchese de Sade mi sorride, mi dà amichevoli pacche sulle spalle, dà la sensazione che in corridoio aspetti proprio me per salutarmi calorosamente, risponde alle domande, ne pone altrettante sul mio stato di salute.

Ora, che io giri verdognola per i corridoi è un dato di fatto, ma nulla di nuovo, da quando Babi torna dall’asilo nido recando con sé un ragguardevole catalogo di germi e batteri, e questo non ha mai mosso il Marchese alla commozione.
Forse il corso di aggiornamento che sta seguendo, quello per dirigenti “trangugia e divora”, sprona i Kapi a shakerare periodicamente i dipendenti con fare amichevole, metodo per regalare incentivi morali senza corrodere l’entità del proprio bonus; magari avendo cura di scegliere quelli più a rischio di licenziamento, per una dolce dipartita.
Forse ha ricevuto una lettera anonima da qualche samaritano che si è inventato per me chissà che protezioni politiche, che l’hanno messo sul chi vive: teniamocela buona.
Forse, infine, soffre di dispepsia, dunque, su consiglio del medico, affronta la vita sorridendo per diminuire l’acido, e benché, vista la scarsa abitudine del viso a tale smorfia, l’effetto che ne emerga sia un increspatura delle labbra pieno di sottintesi che ti spinge ad offrirgli del denaro per indurlo a tacere segreti che ti riguardano e di cui pare essere a conoscenza (achtung citazione), l'atmosfera è comunque meglio di prima.

Che faccio, me la godo finché dura o proseguo con le dietrologie?

lunedì 22 novembre 2010

Lunedì mattina


Quello in cui tuo figlio prima diventa specchio del tuo inconscio, e poi materializzazione delle tue più becere paure, non è un giorno dal risveglio dolce.

Babi, come spesso di lunedì, ha trascorso il lunghissimo periodo tra le 6.45 e le 7.15 ad arcuarsi con forza erculea urlando a squarciagola per opporsi in ogni modo al risveglio, alla vestizione, in pratica al lunedì mattina, esattamente allo stesso modo in cui mi comporterei io se non fossi foderata da un noioso substrato di regole sociali del vivere civile a cui tendere ogni giorno, o più semplicemente se Marito non ne approfittasse per farmi internare in una struttura tipo “sereni orizzonti” dove trascorrere pacificamente, sotto anestetici, il resto della mia vita. E fin qui, tutto fila: in lui vedo le mie tensioni primordiali, le odio, lo sgrido, ne comprimo la volontà, lo costringo a tornare nella fodera sociale del bravo bambino e tutto procede come da manuale anteguerra sull’allevamento della prole.

Ma poi, in macchina, mi trovo con un Babi che stringe un biscotto per mano, senza nemmeno assaggiarlo, e sussurra, tra lacrime che si dispiegano sulle gote rosate come rotoloni regina, lentamente e inesorabilmente: non voglio andare a scuola. Non portarmi a scuola. E io gli ricordo i magnifici giochi che fa coi compagni (?), le superbe pappe che gli propinano quotidianamente (??) la simpatia che secernono le maestre ad ogni piè sospinto (???), e lo rincuoro, e lo spingo con le mie mani, a dolci colpetti sulle spalle, in una casa di cui non conosco fondamentalmente nient’altro che la vetrina mattutina e le speranze che vi ripongo, e dove probabilmente costringono mio figlio a indicibili torture che mai verranno scoperte, o comunque troppo tardi per preservare la serenità di centinaia di bambini.

Così, tra la consapevolezza delle mie debolezze e il vago sospetto sugli orrori umani, inizia la mia settimana, e il naufragar non m’è dolce, in questo mare.

giovedì 18 novembre 2010

Sviolinate


- Dov'è papà?
- E' andato a lavorare, Babi.
- Ma torna prima del buio?
- Certo che torna!
- Ah, ecco. Perchè non si può lasciare una mamma sola.

mercoledì 17 novembre 2010

Libri in trasloco


In tutto questo tempo il libro sul comodino virtuale è rimasto L’Americano di Henry James, potevo quasi immaginarlo impolverato.
E’ un libro pazzesco, in cui fondamentalmente succede così poco da rendere addirittura miracolosa la pur consueta abilità dell’autore, da me tanto amato. E’ scritto così bene, così palesemente bene, da regalare tensione e aspettativa in qualcosa di estremamente friabile, di appena accennato, e da sbattermi continuamente in faccia cosa voglia dire saper scrivere veramente, come dono.

Il comodino reale, per fortuna, ha subito un turn-over più denso di quello virtuale, attraversando:
- i racconti di Un mese con Montalbano, riletti dopo una decina d’anni e sempre godibilissimi;
- Sex and the City, il romanzo di Candace Bushnell che prese ispirazione dalla rubrica settimanale che la stessa autrice cominciò a scrivere nel 1994 per il New York Observer, da cui la nota serie di cui non ho mai visto nemmeno un episodio per i casi della vita, e che mi ha sempre incuriosita. Mi ha lasciato la stessa impressione agghiacciante di American Psycho, di un mondo ormai così corroso e soffocato dal niente da far desiderare di passare la serata con i protagonisti dell’Albero degli zoccoli a intagliare ciabatte da un cedro del Libano cantando vecchie nenie.
- Xxxxxx, ne censuro anche il titolo per la vergogna di aver creduto alla recensione entusiastica di una delle blogghiste che seguo abitualmente, anche perchè lo stesso titolo avrebbe dovuto farmi sospettare; non sono andata oltre pagina 15. Bleah.
- L’ultimo Montalbano, Il sorriso di Angelica: che dire? Mi chiedo come la moglie di Camilleri viva un marito di 85 anni il cui alter ego non fa altro che farsi traviare da giovinette statuarie, che pare pullulino a Vigata più che a un party di CSI Miami prima dell’ammazzatina. Mah, non so, questi cliche mi stanno un poco stufando, e questo un po’ influisce sulla consueta piacevolezza della lettura.

A casa


Rediviva, torno da giornate faticose, residente in altro topoluogo: siamo entrati nella casa nuova il 5 novembre, 29 ottobre per la questura, quando Babi ormai cominciava a sospettare che si trattasse di una grande illusione a cui non volevamo arrenderci.

Ogni giorno evitiamo di soffermarci sul brulicare di arnesi da lavoro che sommergono il ripostiglio esterno, sulla betoniera che ancora troneggia in cortile a fingere, dolce capro espiatorio, che la colpa di tanto degrado non sia nostra, ma dei ritardi dell’impresario che ostacolano le nostre pulizie, sui detriti che rivestono le scale della cantina e sui centimetri di polveri fini che ammantano la soffitta; occhieggiamo solo il caco (kaki?), temendo che un frutto stufo di restare appeso all’abbandono ci si spiaccichi in testa, e corriamo in casa a goderci la sudata normalità che riveste i due piani abitabili.

Ma si può onestamente parlare di normalità?
Si parla di infissi color pervinca che non si chiudono bene perché per rendere il tutto più interessante non abbiamo attribuito una corrispondenza tra ogni finestra e la sua location abituale, prima di toglierla per dipingerla, e molti giorni febbrili sono stati trascorsi da un cupo Marito, che attraversava ogni stanza con una lastra di vetro tenuta, come un francese la baguette, cercandone la più consona collocazione;
si parla di una cucina amaranto con piastrelle viola prugna, antiche madie noce scuro, moderni tavoli color betulla, piastrelle color asfalto e pensili avorio, una sedia stokke arancione per Babi e altre impagliate per noi: la scelta del colore delle tende temo sia troppo anche per me.
Si parla di un numero di porte decisamente superiore ai buchi tra le stanze che dovrebbero contenerle, dunque immagino che alcune di loro rappresentino entrate prive di cardini per altre dimensioni o cauti ostacoli al risucchio in buchi neri, ma quali? Sarebbe meglio saperlo.
Si parla di parquet che emana random orrendi effluvi di vernici che mi fanno sentire così anacronistica, nel mio bandire detersivi chimici e cosmetici petroliferi, diffondendo ovunque bicarbonato e aceto di mele, mentre Babi si bea nell’aspirare a pieni polmoni tutto il contenuto in colla di una bidonville brasiliana.
Si parla di armadi riempiti all’inverosimile a fingere un ordine maniacale: appena hai bisogno di una canottiera, prima di accingerti alla ricerca, devi sederti sul letto a raccogliere le forze trattenendo i singhiozzi, mentre il ritratto di Dorian Gray si sgretola a rivelare la verità.

Si parla di Pantacollant, che, giunto ormai alla sua settima casa in otto anni di vita, ormai non presenta nemmeno i segni di spaesamento tipici della prima visita, ed esce dal trasportino come dicendo: - ok, dov’è la mia camera? Vi prego di portarmi al più presto i bagagli e un Martini.

Il trasloco ha coinvolto 50 quintali di roba, tra i mobili e circa 95 scatoloni, alcuni fatti con metodo, alcuni figli della disperazione: tanta ne hanno cagionata al momento dell’allestimento, tanta ne hanno rivomitata all’arrivo, quando l’ultima cosa di cui hai bisogno è un cartone pieno di minuscole cianfrusaglie da spargere tra sette stanze diverse al solo fine di ricreare l’atmosfera di follia che ti eri ripromesso di fuggire.
E poi, tutti quei buchi. Trapano ovunque, per attaccare lampade, pensili, specchi, mensole, quadri, ganci, e ogni volta io ripulisco testarda, e ogni volta poi si fa un altro buco, e tutta quella polverina rossastra riemerge, tu lavi e lei riemerge, tu sputi per terra nella disperazione e lei ritorna, e poi…

Lo so, forse sto esagerando, è altamente probabile che nessun Omero canti un giorno le nostre gesta.
Ma noi abbiamo conquistato la nostra casa.