martedì 13 giugno 2023

Prendo atto

Ma il mio cane si accorge del fatto che quando lo accarezzo poi mi lavo le mani? O del fatto che passo l'aspirapolvere prima di sedermi sul divano su cui lui si è accomodato (in opposizione al rigidissimo regolamento della casa) lasciando una cascata di pelame? O del fatto che quando accarezzo la gatta le mani non me le lavo (salvo in cucina), perché la gatta, in quanto felino autopulente, sa al massimo di maglione di cashmere? 

Non lo so, se se ne accorge. Ma mi sono resa conto che io tendo a farlo di nascosto, per non ferire i suoi nobili sentimenti canini. 

venerdì 9 giugno 2023

Una storia americana

Mi piacciono tanto, mi incuriosiscono e mi interessano, le cose, le persone, le creature differenti. Differenti dalla cosiddetta norma, ossia da quello a cui siamo abituati, per dimensione, colore, reazioni agli eventi, modo di pensare.
Per esempio, mi affascinava l'enorme sedia costruita dagli artigiani per qualificare il distretto della sedia e del mobile in regione, che appariva improvvisamente al viaggiatore al lato della strada, così fuori misura che pareva giungesse a breve anche Polifemo, col suo pugno di marinai per cena. 

Ora, non voglio paragonare un intero popolo a un enorme manufatto e odio le generalizzazioni, ben conscia che le differenze individuali, o collettive, abbiano vitale importanza, ma ogni volta che leggo qualcosa sul modo di pensare degli statunitensi non posso fare a meno di restare basita, per l'immenso solco di pensiero, principi e ideali che ci separa; impaurita dal fatto che nel mondo attuale abbiano una posizione così preminente pur con caratteristiche collettive che non esito a definire frequentemente infantili; affascinata dall'immensa loro differenza dalla "norma" che contraddistingue il mio essere, in senso geografico, politico, storico. 

Francesco Costa, che ormai è parte integrante delle mie giornate con il suo podcast Morning, rassegna stampa acuta e intelligente che tiene sveglio il pensiero critico, in questo libro parla delle storie di Joe Biden e Kamala Harris, poco dopo l'elezione di entrambi alla guida degli USA. Ne descrive le carriere, le cadute, le difficoltà, insomma, il percorso che ha portato entrambi, per lo meno, a liberare il mondo dal folle Trumpismo. 

L'abolizione della schiavitù in America, ai tempi di Via col vento (che con quell'abile narrazione hollywoodiana, se ti distrai, ti fa ritrovare sudista), non ha avuto altro significato che queste parole: "abolizione della schiavitù". Insomma, lo stesso rilievo puramente formale della carta costituzionale americana, che proclama l'uguaglianza di tutti gli uomini, calpestandola poi costantemente. I bianchi, che fino a quel momento facevano dei neri un proprio feticistico possesso, all'improvviso ebbero il solo scopo di allontanarli dalle proprie vite, dalle proprie case, dai propri lavori, dalle proprie opportunità. E ci riuscirono per decenni, attraverso, in particolare, lo sviluppo urbano, che favoriva sistematicamente la segregazione, suddividendo il territorio del Paese in zone in cui il governo consigliava di investire (invitando le banche a fare credito a privati e imprese) e altre in cui ogni investimento era disincentivato, sempre quelle abitate dagli afroamericani - un'operazione definita redlining
Le conseguenze principali furono che agli afroamericani venne impedito di accumulare ricchezza e di frequentare le scuole per i bianchi (quindi le università, quindi i lavori migliori). Anche le tangenziali, le autostrade, che conducevano i bianchi al lavoro dalle loro villette suburbane, vennero costruite secondo percorsi che contribuissero a isolare le comunità nere - a costo di avere forme illogiche sul piano urbanistico, che comportano tuttora frequentissimi ingorghi anche in superstrade da 14 corsie; il sistema degli autobus veniva a sua volta organizzato in modo da escludere: per tenere i neri lontani da una data zona era sufficiente non prevedere fermate dei mezzi pubblici (utilizzati quasi solo da loro, in quanto poveri) o costruire un ponte così basso che il bus non potesse passarci sotto. 
Negli anni si tentò qualche norma correttiva, tra cui il cosiddetto busing, che cercava di mitigare la segregazione urbanistica istituendo uno scambio scolastico tra neri e bianchi tramite scuolabus che percorrevano quotidianamente decine di chilometri. I mezzi che trasportavano i bambini neri nelle scuole bianche venivano spessissimo danneggiati, presi a sassate, e i ragazzi accolti tra sputi e insulti. Le amministrazioni locali spesso accettavano di accogliere i bambini a norma di legge solo se costrette dai tribunali. I genitori, a loro volta, non potevano opporsi, e dunque scegliere dove mandare a scuola i propri figli. 
Biden, da giovane politico, si opponeva al busing, pensando che l'integrazione urbanistica fosse di gran lunga la strada migliore per eliminare la segregazione razziale e credendo in buona fede che questo tipo di coercizione non avrebbe risolto molto. Per questo attirò critiche feroci, nel tempo, dato che questa sua posizione lo schierava accanto a politici razzisti e reazionari che con le sue convinzioni non avevano nulla a che fare. 

Kamala Harris, intanto, era figlia del busing, a Oakland, dove ogni mattina percorreva chilometri per raggiungere una scuola "bianca" altrimenti negata ai residenti del suo quartiere. 

Nei quarantotto anni che separano la sua prima elezione in Senato da quella a presidente degli Stati Uniti, Biden è stato tra i parlamentari più influenti, ma contemporaneamente meno abbienti, non volendo mai svolgere altre professioni o monetizzare altrimenti la sua fama; ha seguito progetti considerati da chiunque impossibili; ha compiuto errori banali e subito dolori terribili; ha lavorato da persona equilibrata, senza essere mai estremista o demagogo; ha sempre cercato di sedare i conflitti, cercando nel compromesso la via del progresso; ha dovuto naturalmente giustificare decenni di scelte ad ogni occasione elettorale. 
Dall'autobus che ogni giorno la portava fuori dal suo mondo, la Harris, convinta di voler tentare di cambiare il sistema dall'interno, pur accettandone lentezze e contraddizioni, divenne la prima donna e persona nera a essere eletta procuratrice generale in California. 

Le carriere dei due protagonisti del libro si incrociano per i decenni successivi, attraverso grandi vittorie e grandi cadute, fino all'incontro nelle elezioni presidenziali più recenti.
"Il potere non cambia le persone: le rivela per quello che sono. Quindi bisogna guardare al passato, per capire il futuro".

domenica 4 giugno 2023

C'eravamo quasi

Il mercoledì è giorno di raccolta di ingombranti, nel ridente paese in cui vivo. Proprio per la loro meritata fama di ingombranti, la gente è invitata a prenotarne il ritiro e a depositarli davanti alla propria abitazione solo a sera inoltrata, in modo che la ditta possa appropriarsene alle prime luci dell'alba, senza che si creino disagi alla circolazione il giorno successivo. 

Ma quel giorno è accaduto qualcosa di strano, proprio il giorno in cui anche il mio enorme divano, dilaniato da unghie di gatto, giaceva sulla strada. L'amica D, che, pur abitando in altro comune, indulge talora in passeggiate lungo il suddetto paesello fino alla campagna, suonò il mio campanello. "Ma cosa succede? il tuo paese ha deciso di ricostituire gli antichi rapporti di vicinanza, quando gli anziani si sedevano a cercare chiacchiere e frescura fuori dall'uscio, creando un condominio di allegri scambi e comuni lavori di cucito? E anche tu fai parte di questo rivoluzionario movimento?" 

La ditta, per motivi mai chiariti, non era passata, quella mattina, e il paese aveva cambiato fisionomia, come se le case si fossero rivoltate all'esterno, sputando scorci di intimità, pezzi di salotto, centrini, materassi, in un'incontenibile voglia di socialità. 

Fossimo stati in un libro di Rodari, questo sarebbe stato sufficiente agli abitanti per lanciarsi in pastasciutte sociali, partite a briscola su tavolini zoppi e visioni collettive di programmi da televisori fulminati, alla Lascia o raddoppia. E non avremmo più potuto smettere, impedendo alla ditta di portar via e cambiando completamente la fisionomia del paese, per scoprirci a vicenda. 

Invece no. Le macchine hanno pazientemente zigzagato tra i vicoli, i proprietari degli oggetti hanno sospirato sperando in un rapido sgombro per i loro cancelli ostacolati, imbarazzati dalla pubblica visone di quei mobili vecchi e malmessi e un'eco di allegra perplessità è rimasta solo a chi, come la mia amica, ci si era trovato per caso. 

Un'altra occasione persa, perbacco. 

giovedì 1 giugno 2023

Il conte Attilio

Inizio con un'ammissione: ho molto amato i Promessi sposi. Certo, come tutti, non negli anni in cui ti costringono a studiarlo come fossero formule chimiche "sottolinea tutti in casi in cui don Abbondio si serve di complementi predicativi dell'oggetto, pur inconsciamente"; "in quale capitolo l'autore utilizza l'analessi?"; "confronta l'addio ai monti di Lucia con l'addio di Renzo al Ducato, fai un collegamento con l'addio di 'Ntoni del Verga e poi ipotizza un tuo personale addio a Cavalicco". Un addio a tutti i Santi, ti si formula nel cavo orale, e non trovi il tempo, e la forza, di amare niente.

L'ho iniziato ad apprezzare quando ho capito che la mia felicità letteraria trova completa realizzazione nel romanzo dell'Ottocento, con picchi inarrivabili di passione per quello inglese e rapporti aspri e altalenanti con quello russo (se qualcuno mai volesse approfondire, troverà qui un'estensione del mio pensiero). Il romanzo inglese dell'Ottocento è per me come una consolante tazza di cioccolata, quando fuori piove e dentro anche, ma senza le calorie. Dicevo, dunque, che quando ho focalizzato il centro del mio amore nella creatura ottocentesca, di carta eppur viva, mio padre, tra l'altro insegnante di lettere che, ci scommetterei, non ha mai costretto don Abbondio a contare i predicativi, mi ha consigliato di rileggere i Promessi sposi e acciderba, è un lavoro coi fiocchi.

Tutto questo per spiegare qualcosa che ora non saprò spiegare: perché diavolo mi sono messa a leggere un prequel attuale dei Promessi sposi? Non è che per ribadire il mio assoluto amore per Cent'anni di solitudine ( e daje coi link autoreferenziali) ora sentirò il bisogno di leggere "Verso Macondo. L'epopea degli Aureliani prima dei Jose Arcadi"? Però avevo bisogno di consolazione, in un periodo piuttosto nervoso e impegnato. E quindi ho pensato che cappa, spada, nobile irrazionale orgoglio e città fetide fossero l'ideale. 

Il conte Attilio, nei Promessi sposi, è una figura assolutamente marginale, pur con una sua rilevanza, dato che, da cugino di don Rodrigo, avvia l'azione del romanzo scommettendo con lui sulla conquista di Lucia. Il Manzoni non lo tratta approfonditamente, lasciando così a Paglieri tutta la libertà di immaginare le caratteristiche del personaggio e la sua storia precedente. E' un nobile cadetto, soldato coraggioso e ricco di iniziativa, che nel 1627 torna dalla guerra, sia per salvare la sorella dal convento in cui il fratello primogenito l'aveva relegata, sia per tentare, da patriota, di riportare Milano a essere una capitale libera dal dominio opprimente degli spagnoli. 
L'autore, intervistato, ha spiegato che il grande vantaggio della scelta del romanzo storico è la possibilità, per chi lo scrive, di studiare per un paio d'anni il mondo dell'epoca, in modo da poter essere accurato, e la possibilità, per chi lo legge, di gettarsi in un'avventura con tutti i tòpoi del genere, imbattibili nell'insegnare roba divertendo nel contempo. Interessante il fatto che Mazoni si sia ispirato, per don Rodrigo, a un componente della famiglia Arrigoni, realmente esistita, che nel Seicento era immersa in una faida perpetua con la famiglia Manzoni, il cui illustre discendente, dunque, non si contiene nel disegnarne i membri come malvagi. 
Paglieri riconosce invece a questi personaggi umanità e generosità, approfittando forse anche della complessità psicologica che ci hanno regalato i secoli trascorsi tra la scrittura di allora e quella di oggi, e prova a guardare dalla parte opposta. 

mercoledì 24 maggio 2023

La canzone di Achille

In questi mesi sento come un bisogno di Achei. Qualche tempo fa ho letto l'Odissea,  proprio durante un viaggio a Ischia, imbattendomi nello scoglio che si dice rappresenti la nave dei Feaci, pietrificata da Poseidone, offeso perché avevano aiutato Ulisse a tornare a casa. Avere il libro in mano e la roccia davanti, per quanto, ne sono consapevole, sia solo uno scoglio, ha il suo impatto emotivo. 

E ora ho letto La canzone di Achille, che ripercorre l'Iliade (utilizzando come fonti anche l'Odissea e poi Virgilio, Ovidio Sofocle, Euripide, Eschilo, tra gli altri) per raccontare, dalla parte di Patroclo, la propria vita e quella del Pelide fino alla morte sotto le mura di Troia. Queste operazioni non sono universalmente condivise: i puristi odiano le commistioni tra capolavori storici e interventi attuali, considerandoli forzature al pari dell'antropomorfizzazione delle bestie nei documentari ammiccanti; una recensione del New York Times al tempo dell'uscita concludeva che questo libro avesse la testa di un romanzo per giovani adulti, il corpo dell'Iliade e i quarti posteriori di un Harmony. Io invece, se ben fatti, questi interventi li apprezzo, anche perché aiutano a sentire come tremendamente umane, e terribilmente personali, vicende che, studiate a scuola in malo modo, risultano addirittura prive di spessore, mentre ne sono colme. E soprattutto invogliano a riprendere l'originale con ben altra consapevolezza.

L’ha scritto Madeline Miller, scrittrice e docente statunitense, impiegandoci molti anni, dopo essere stata folgorata dalla descrizione di Omero del dolore e della rabbia di Achille per la perdita del compagno, che per il resto, nell'ambito dell'opera, rimane un personaggio secondario. Cercando di elaborare una sorta di tessuto connettivo tra le ossa imbastite da Omero, narra l'infanzia, l'adolescenza e la giovinezza dei due protagonisti fino al tragico epilogo. 

Fossero o meno amanti, Omero non lo dice chiaramente. Lo accennano altre fonti (Eschilo, Platone), ma a un certo punto, sticazzi. L'importante è la connessione intima tra i due uomini, la comprensione profonda, i diversi ruoli a cui sono destinati, il protagonismo, il bisogno di immortalità che vanifica l'anelito alla purezza; l'orgoglio cieco e la generosità; il mondo che trascina verso un destino che forse avrebbe potuto essere messo in discussione a favore della felicità, ma appare come ineluttabile. Il dolore, immenso, della perdita, pur attesa come inevitabile. Insomma, la modernità di quegli uomini o la nostra vecchiezza; il fatto che restiamo sempre quelli, immobili nelle nostre meschinità e nei nostri slanci. Lontani tra noi, nel tempo o nello spazio, resta tutto uguale, anche quello che ci fa ridere e piangere. 


 

giovedì 18 maggio 2023

Homo deus. Breve storia del futuro

 


Un romanzetto da niente, praticamente. Una cosuccia da 560 pagine, trasformate nel mio kindle in numeri random dal significato sconosciuto ("posizione 7643". Boh).

Mi ero innamorata del suo precedente Sapiens. Da animali a dei, qualche tempo fa. Si occupava della storia dell'umanità, e non facevo che citarlo ovunque, per il terrore di chi mi incontrava. Questo secondo volume, che si occupa del futuro, dà invece le vertigini.

Si apre con questa considerazione: per la prima volta, nella storia dell'umanità, si è riusciti a tenere sotto controllo carestie, pestilenze e guerre (sempre in termini ampi, diciamo, per cui è più facile oggi morire di troppi hamburger che trafitti da lance) e l'uomo, ora, mira ad elevarsi al rango di divinità, attraverso la ricerca della felicità eterna e dell'immortalità. In questo modo, però, attraverso robotica, intelligenza artificiale e ingegneria genetica, l'essere umano rischia di rendere superfluo se stesso. 

Capirete che, non riuscirò mai a descrivere e motivare una tesi così corposa; sarò costretta a sorvolare su tantissime considerazioni che ho trovato davvero interessanti e lucide, e probabilmente non riuscirò a creare un flusso di informazioni perfettamente incastrate l'una nell'altra e consequenziali; ma se si dovessi illustrare 560 pagine in un post di 200, credo che a tutti converrebbe rivolgersi direttamente al libro. Cosa che comunque consiglio caldamente. 

La rivoluzione agricola ha messo a tacere gli animali e le piante, subordinandoli completamente all'uomo e al suo personale dialogo con gli dei. La rivoluzione scientifica ha tolto di mezzo anche gli dei, creando una sorta di one-man show sulla terra, un monologo senza patti con nessun altra creatura e senza alcun obbligo. Per mantenere se stesso al centro, l'uomo ha sempre creato quella che viene definita una rete di significato, che si ottiene quando molti individui intrecciano insieme una ragnatela di storie (ad esempio il valore della carta che compone il denaro, il digiuno religioso, l'andare a votare, i segnali stradali). Una rete che ha valore unicamente perché la mia famiglia, i miei vicini e magari anche quelli lontani, pensano come me che abbia un senso. Nella storia, questa rete di significato si disfa di continuo e un'altra ne viene tessuta. Ciò che è più importante in un momento storico può essere totalmente irrilevante per i discendenti di quegli uomini. 

Attualmente gli abitanti della Terra vivono in modo vorticoso una realtà che sono diventati incapaci di interpretare. Non si riesce a tirare il freno di questo viaggio verso l'ignoto, perché da una parte nessuno, al momento, può essere esperto di tutti i campi del sapere attuale, nessuno può recepire tutte le scoperte scientifiche, o prevedere l'assetto dell'economia globale tra qualche anno. Per questo la politica, nel XXI secolo, risulta priva di grandi visioni, si limita ad amministrare, non a guidare, non potendo elaborare in modo sufficientemente rapido ed efficiente questa montagna di dati che ci circonda. Capire il significato di un mondo in cui millenari pregiudizi sono stati spazzati via e le nuove strutture diventano antiquate prima ancora che possano cristallizzarsi è oltre le nostre umane possibilità. Abitiamo un mondo caotico in cui però la tensione costante, individuale e collettiva, è quella di evitare che nessuno si ritiri dalla competizione. Il postulato è quello che la crescita sia l'unica fonte di successo, e la stagnazione l'inferno. Nessuna istituzione combatte più per moderare i desideri e l'avidità individuali e mantenerli in una specie di equilibrio, come si viveva un tempo, in cui si considerava di stare dentro a una torta di dimensioni fisse. E anche se potessimo tirare il freno, di questo viaggio vorticoso, il nostro sistema economico collasserebbe, perché necessita di crescita costante per sopravvivere. Un'economia che si regge sulla crescita infinita ha bisogno di progetti infiniti. 

Nel mondo scientifico, in particolare nelle sue due discipline madri, l'informatica e la biologia, si è sviluppato il datismo. Sostiene che l'universo consiste di flussi di dati e che il valore di ciascun fenomeno o entità è determinato dal suo contributo all'elaborazione dei dati. I dati, che finora erano il primo passo nella catena dell'attività intellettuale (da questi si distillavano le informazioni, da queste la conoscenza e da quest'ultima la saggezza), ora sono l'inizio, e l'elaborazione di questi è il fine ultimo. La storia della specie umana può essere interpretata come un unico sistema di elaborazione di dati verso il miglioramento dell'efficienza, attraverso l'aumento dei processori (da minime comunità al web) e delle loro connessioni (rete commerciale), attraverso l'aumento della libertà di movimento, sviluppati in diverse epoche. La biologia, ad esempio, ha scoperchiato il mondo del libero arbitrio, come un'altra mera credenza. Se gli uomini fossero liberi, come potrebbero essere forgiati dalla selezione naturale? E se siamo fatti di algoritmi, noi, come il resto delle entità sulla Terra, non possiamo scegliere quelli che ci sembrano i nostri desideri più profondi (gli scanner cerebrali moderni possono prevedere i nostri desideri prima che ne siamo consapevoli). Quello che sembra una nostra scelta è una reazione biochimica a catena che solo ex post si visualizza nella mente come un desiderio. Noi sentiamo i nostri desideri, non li scegliamo. L'essere umano, come sempre nella sua storia, si difende attraverso due grandi capacità: quella della auto narrazione e quella della dissonanza cognitiva. Ci concediamo di credere a una cosa quando siamo in un laboratorio e tutt'altra quando siamo in tribunale o in parlamento. Infatti, quando uscì L'origine della specie, non si è smesso di andare a messa, lasciando tranquillamente convivere dottrine contrastanti. Ma in quest'epoca c'è qualcosa di profondamente diverso: questo nostro dualismo, fondamentale per sostenere la nostra auto narrazione, è minacciato dalle tecnologie, non più dalla filosofia di pochi. Tutti i congegni di cui ci stiamo circondando non ammettono il libero arbitrio e per noi sarà un cambiamento mai visto prima. Perché se nei film di fantascienza si dà sempre per scontato che i computer debbano munirsi di coscienza per superare l'intelligenza umana, nella realtà possono assolutamente prescinderne e creare un percorso diverso e più veloce verso una super intelligenza che possa fare a meno di noi, o per lo meno di quelli di noi che, per scarso accesso alle conoscenze e per censo, non riescano a diventare "uomini potenziati" in grado di gestire un mondo completamente nuovo. 

In breve, l'autore ci spinge e rivolgere la nostra attenzione verso questi processi che si stanno interconnettendo: 
- la scienza converge verso un dogma omnicomprensivo che sostiene che gli organismi sono algoritmi e la vita è un processo di elaborazione di dati.
- L'intelligenza si sta affrancando dalla consapevolezza.
- Algoritmi non coscienti, ma estremamente intelligenti, potranno a breve conoscerci meglio di come conosciamo noi stessi.
Questi processi possono essere contestati, ma avranno sicuramente un rilievo serio nel destino dell'umanità, e dovranno essere presi in considerazione nell'immaginare il nostro futuro. 

Harari è uno storico. In questo libro non trova una soluzione. Cerca di collaborare a una più approfondita comprensione della realtà attuale. 
E, da storico, cerca di dirci che imparare la storia non serve a prevedere il futuro, ma a liberarsi del passato e immaginare destini alternativi. Non saremo mai del tutto liberi dai condizionamenti della nostra storia, ma meglio una libertà parziale che nessuna libertà. 



giovedì 11 maggio 2023

Punti fermi


Un uomo e una donna al tavolo di un bar.

Il cameriere non sa chi abbia ordinato cosa, e porta un caffè liscio e uno macchiato: se non chiede, e spesso non chiede, porgerà quello liscio all'uomo.
Un macchiato e un decaffeinato: il macchiato all'uomo.
Un decaffeinato e un orzo: il decaffeinato all'uomo. 
Un alcolico e un caffè: l'alcol all'uomo.
Un alcolico e una bibita: l'alcol all'uomo.
Uno spritz aperol e uno spritz campari: lo spritz campari all'uomo. 
Un americano e uno spritz: l'americano all'uomo. 
Una birra e del vino bianco: la birra all'uomo.
Del vino rosso e del vino bianco: il rosso all'uomo. 
Non è nemmeno statistica. E' certezza. 
Non me ne sono accorta organizzando particolari esperimenti sociologici: semplicemente devo, ogni volta, scambiare con l'altra persona quello che mi viene messo davanti. 

lunedì 8 maggio 2023

No sleep till er premio


C'è un modo di essere che mi attira infinitamente, da sempre. O meglio, non che sia una qualità sufficiente da sola a riparare ogni mancanza in altri settori, ma ho sempre ritenuto costituisse una marcia in più: la ritrosia. La totale mancanza di sopravvalutazione di sé, che, unita a una spiccata intelligenza, porta a una visione lucida, priva di sovrastrutture inutili, delle cose del mondo.

Alla Troisi, per capirci. Che accarezzava la realtà, non volendo danneggiare niente di quello che sulla terra valga la pena di esistere, ma abbattendo muri di stupidità con fare casuale. 

E un altro di questi è Zerocalcare, che sabato è stato premiato dalla giuria del Premio letterario internazionale Tiziano Terzani per il suo " No sleep till Shengal", dalle mani di Angela Staude Terzani. Nel consegnargli il riconoscimento, la signora Terzani ha raccontato del sogno del marito, che immaginava un'isola fatta di poeti che avrebbero vegliato e mantenuto vivi i veri valori e lo ha paragonato a uno di quei poeti. Zerocalcare era paonazzo, e a momenti viola, per la costante sensazione di inadeguatezza che lo permea, tanto più davanti a riconoscimenti rilevanti come questo e supplicava il presentatore con gli occhi affinché mettesse fine ai commossi applausi del pubblico, in una costante incredulità che una platea sempre più vasta lo consideri uno dei propri riferimenti intellettuali. Quando Marino Sinibaldi gli ha chiesto "Ma perché tu passi ogni volta, a ogni incontro con il pubblico, innumerevoli ore a fare disegnetti su misura per la gente?" ha risposto pressappoco: "P'espià. Io ho molti amici più svegli de me, e quando mi dicono che me devono intervistà su un argomento io vado da loro, che lavorano ar supermercato, a 'mpilà cose sugli scaffali, e gli chiedo che je devo dì, in questa intervista. Ma nessuno di questi amici miei sarà mai intervistato. E il fatto che qua ci sono io, in mezzo agli allori, fa sì che allora devo fa' capire alla gente che anche io vivo de merda, a fà disegnetti per tredici ore". 

Però quando gli hanno chiesto di parlare del popolo degli Ezidi, comunità isolata nel nord dell'Iraq, che ha subito un genocidio nel 2014, poi stupri, rapimenti e che ora tenta, in un pugno di superstiti, di costruire il confederalismo democratico sulle orme dei curdi, ostacolato da ogni parte, da ogni governo che lo circonda, che attacca in modo subdolo e violento, lì non c'era più spazio per la ritrosia, per l'ironia mite  e nichilista di quando parlano della sua persona. Ha sottolineato quanto sia strano, che un popolo che vive costantemente pressato dalla violenza, dalla paura e dagli scarsissimi approvvigionamenti, tenti pervicacemente di creare qualcosa di bello, importante, diverso, per essere protagonista del proprio vivere nel mondo. Invece noi, senza reali pericoli imminenti (se non quello provocato dai nostri stessi comportamenti, n.d.r.), senza alcun problema di ricevere quanto è necessario (e superfluo) per la quotidianità, passiamo il tempo a creare esclusivamente strutture indirizzate alla sopravvivenza, alla sicurezza, all'isolamento e alla difesa, spaventati da ogni cosa, da una Terra che si disegna perpetuamente in forma di minaccia. 

Gli ezidi, e altri popoli come loro, immaginano un futuro costruttivo attraverso bombe, crolli e strade desolate. Noi, pieni di tecnologiche infrastrutture, di tempo e di comodità, non sappiamo andare oltre al fallimento dell'illusione moderna dell'uomo che piega tutto al suo volere e siamo paralizzati in un clima di desolata auto protezione, priva di qualsiasi visione.

"Poi, oh, se tu ti ritieni un rivoluzionario dimmelo, eh. Che ti faccio cambià il dosaggio delle goccette".
"Ma figurati. So' scemo sì, ma morigerato. Io non so' coraggioso. Manco troppo svejo. Zero intuitivo. Sensibile bleaahschifo. Però ho imparato a fa' una cosa nella vita. Una sola. A scegliermi bene le persone che voglio vicino a me. Più coraggiose, sveje, intuitive e sensibili di me. Che sanno come costringermi a stare nei posti in cui bisogna stare. E in cui anche uno come me può portare il suo mattoncino".

venerdì 5 maggio 2023

Le riflessioni del convalescente

 

Quando una si ammala per la quarta volta in nove mesi, con quintali di catarro che ingorgano le meningi, le letture (tra l’altro piuttosto impegnative, mai che mi ammali durante un Camilleri) diventano ostiche e rallentate, in uno stato di perenne hangover da echinacea e non resta che dedicarsi a serie americane e immortali filmetti sulle varie piattaforme. Quando una poi si dedica con fervore a molte serie, perché anche se la lettura è ostacolata, il tempo quello rimane, e tra l’altro il giacere orizzontale ne cambia la percezione, quella, dicevo, inizia a trovare punti comuni, che collegano alcuni comportamenti, indipendentemente dalla narrazione. E fanno pensare che, se un atteggiamento si ripete in decine di film e puntate, si possa supporre che sia qualcosa di assodato nella quotidianità di un popolo. Per esempio:

Perché gli americani mettono sempre i piedi sui letti e sui divani indossando le scarpe?  Non posso credere che a New York le strade vengano pulite con tale frequenza e intensità da risultare al pari delle piastrelle casalinghe. Già fatico a credere che le stesse camere da letto, coperte spesso di moquette, siano in grado di superare un controllo dei NAS, quindi figuriamoci il ciottolato barbaro di Union Street. Eppure lo fanno sempre, pervicacemente, senza che nessuno abbia nulla da dire e senza (apparentemente) strisce marroni sulle trapunte. Poi magari si girano sul letto sospirando d’amori perduti, mettendo la faccia proprio lì, dove è ancora calda la traccia del chewing-gum calpestato un’ora prima.

Perché quando gli americani si lavano i denti spazzolano correttamente con vigore, ma poi sputano resti di dentifricio, semi di Chia e tartaro e mettono lo spazzolino nel suo bicchiere, senza nemmeno un sorso d’acqua per il risciacquo definitivo o risciacquare l’attrezzo stesso? Un po’ mi ricorda il mio Erasmus germanico, e la pervicacia con cui i tedeschi insaponavano le stoviglie per poi depositarle nell’asciugapiatti coperte di morbida schiuma; effettivamente gli stessi detersivi riportavano la dicitura “senza risciacquo” e davanti ai nostri italici volti esterrefatti, gli autoctoni commentavano: “mi fido dell’industria chimica tedesca” e noi sorvolavamo educatamente su una troppo facile amara ironia. 

Ultima considerazione: perché? Questa folle, insensata, esiziale mania degli americani per la verità. Che poi è quanto di più ipocrita esista: siamo abituati a bugie di ogni tipo sugli equilibri del mondo, da “Giuro che ha le armi nucleari, me l’ha detto mio cuggino” a “La mia stagista lavora sotto la scrivania perché teme i raggi UVA”; senza scomodare i massimi sistemi, nella quotidianità che vediamo in TV i protagonisti ne combinano di ogni; poi, però, sentono l’impulso di spifferare tutto a ogni costo, possibilmente senza alcun risultato pratico che incasinare tutto ancora di più, facendo soffrire inutilmente quanta più gente possibile. “Devo dire alla nonna che quella volta le ho rubato mezzo dollaro” “Ma Bryan, la nonna sta morendo…” “Vuoi che mi perda questo momento? Non sarei un vero americano”.


giovedì 27 aprile 2023

Confessioni linguistiche

L'altro giorno ricordavo un articolo di alcuni anni fa, in un quotidiano padovano, che si riferiva al tram appena avviato in città, con gran orgoglio di amministrazione e cittadini. 
Il giornale spiegava che nella splendida piazza di Prato della Valle, al fine di non guastarne l'estetica con cavi sospesi in ogni dove, avevano deciso che il tram dovesse trarre la propria energia non dal cielo, bensì dalle rotaie elettrificate, e dunque il pantografo, giunto alla piazza, si abbassava sul tetto dei vagoni per rialzarsi una volta compiuta la traversata ricollegandosi ai cavi. Solo che il giornale, invece di nominarlo pantografo, decise di definirlo "plantigrado". Ah, vecchio e sottovalutato mestiere del correttore di bozze! Da allora, ogni volta che prendo il tram, non riesco a liberarmi dell'immagine di un orso bruno che siede pigramente sul tetto, attaccato ai cavi sospesi allo stesso modo in cui mille impiegati si appendono ai sostegni all'interno dell'abitacolo per salvarsi dal proprio sonno mattutino. Quando il tram imbocca Prato della Valle, l'orso molla i cavi e si siede pesantemente, con un sospiro, sfogliando un giallo Mondadori. 

Tutto questo riporta al fascino delle parole che fin da bambini impariamo sbagliate, e a quello del significato travisato che diamo ai modi di dire, trascinando pateticamente queste lacune fino all’età della vergogna. Quanto segue è ciò che è scaturito da una seduta di psicanalisi collettiva di molto tempo fa:

 A caval donato non si guarda in bocca: nel paese di Caval Donato, sito nei dintorni di San Donà di Piave, è prassi evitare di soffermare lo sguardo sulle gengive delle persone mentre ti fanno un regalo.

Se non è zuppa è pan Pagnacco: se non è minestra troverete la soluzione in una ricetta tradizionale del paese friulano.

Sono afferrato sull'argomento: immagino significhi che il coinvolgimento è tale da sentirmi quasi soffocare. D'altra parte, l'argomento lo conosco a meladito, con psicanalitici richiami alla strega di Biancaneve e alle sue discutibili offerte. 

I maldidenti sono criminali con la spiccata passione per assaltare le diligenze che si recano a ovest, così chiamati per l’abitudine di coprire il volto con lo stesso fazzoletto che stringono intorno alla mandibola quando cercano il dentista con urgenza, cosa che accade di frequente qualora il bottino sia composto da orsetti gommosi.

Arteggiamento: atteggiamento in qualche modo artefatto, o così originale da meritare di diventare un'installazione. 

Sul cappello che noi portiamo c’è una lunga penna nera, che ci serve da bandiera su pei monti a veleggiar: che dire, penso sia della famiglia di "Signore delle Cime", intese come corde nautiche. Si rifanno a quando le Dolomiti erano sommerse.

Le prostitute di alto borgo se le possono permettere solo coloro che vivono all’apice della scala mobile, sulle colline intorno a Moruzzo.

Vivere all’addiaccio è molto dura, immaginate solo come deve essere vivere all’agghiaccio, per non parlare di quanto sia abietto l’abbiaccio.

Tutto apposto. Ovvero: ogni timbro è stato debitamente inchiostrato e in seguito premuto, esattamente come doveva andare. 

E infine, quello che secondo me merita lo scettro dello scempio sublime: non nominare il nome di Dio Ivano.


Tutto questo omettendo le canzoni che si imparano sbagliate, cantando a squarciagola mentre gli amici sbigottiti tacciono, senza il coraggio di disilluderti. 
Se anche voi celate impietose interpretazioni di una o svariate parole della nostra lingua, è il momento di venire allo scoperto, eventualmente sotto la protezione della radicata associazione degli MA (Machecaz...Anonimi).


 

lunedì 24 aprile 2023

Bignami critico

Dunque qui si parla di un blog che tratta delle pagine che leggo, oltre a quelle che vivo: l’ho letto nell’intestazione, e tocca recuperarle, quelle pagine. Almeno dall’inizio dell’anno. 
Ho due possibilità: 
1) fare una foto dei libri, tutti impilati, scrivendo uno scarno voto, dall’alto al basso, senza alcuna motivazione, come fa Cattelan (per lo meno prima di fondare una personale casa editrice).
Chissà cosa pensa un romanziere, al riguardo. Se trovi più doloroso essere stroncato nel dettaglio o così, come per un tema scritto per forza in seconda liceo.
1°. 5
2°. 8
3°. 7
E così via. Ma questa soluzione comporta un problema serio, dovuto al mio leggere eBook. La fotografia dei libri impilati ne sarebbe gravemente compromessa.

2) soffermarmi solo su quelli che abbiano riscosso la mia incondizionata stima. Devo dire che questo inizio anno non è stato fortunato, sul piano letterario. Ho letto cose appena decenti e perfino qualcosa di improponibile. Ho perfino esercitato il terzo diritto di Pennac, quello di non finire un libro, che uso con molta parsimonia, sentendo sempre quel sordo senso di colpa di colei che ha fallito, come se tutte le parole scritte al mondo avessero lo stesso rilievo e fossi io a non coglierlo. Diciamo che è stato solo un pugno di libri, a risvegliare le mie interiora e farmi scricchiolare le ossa: tre su undici.

Tara Westover, L’educazione. L’incredibile vita, dalla sottomissione al riscatto, di una ragazza di famiglia mormona sui monti dell’Idaho. La fede cieca del padre (che non si esclude sia anche bipolare, e questo fa riflettere su come il fanatismo si intrecci con la malattia mentale rendendo “accettabile” un pensiero completamente squilibrato) diventa crudeltà, rigidità, mancanza di pietà per i suoi stessi figli. Il complottismo paterno impedisce loro di andare a scuola, li trascina in lavori pericolosissimi, vieta le cure ospedaliere, e soprattutto è così totalizzante da far sentire i figli ingrati e sbagliati, se non accettano incondizionatamente questi soprusi come volontà di Dio. Quello che più mi ha colpita, di questa storia realmente vissuta dalla protagonista, è stata la narrazione distaccata, quasi serena e rassegnata, della griglia di violenze e bugie in cui è cresciuta, che rende il racconto ancora più vero e terribile. 

Mario Calabresi, Quello che non ti dicono. Calabresi torna a indagare un periodo che si era ripromesso di non frequentare mai più, dopo il libro autobiografico per il quale aveva analizzato e studiato lungamente gli anni di piombo. Invece, a causa di un insieme di eventi molto singolare, ci ritorna, per raccontare l’assassinio di Carlo Saronio, nel 1975. A chiedergli di farlo sono la figlia e il nipote di Carlo, all’epoca bambini (la figlia è nata otto mesi dopo, non conoscerà mai il padre), per rompere il muro di silenzio che l’intera famiglia ha costruito, incapace di metabolizzare quanto è successo, e forse l’epoca intera. Calabresi decide di aiutarli e ricostruisce la vita di questo ragazzo della Milano bene, pieno di ideali di giustizia sociale e di sensi di colpa per la sua condizione di privilegiato, che proprio per questo si fa coinvolgere in situazioni che non fanno che distoglierlo dalla missione della sua vita, incastrandolo nella violenza con cui molti identificavano l'unica soluzione. E, alla fine, portandolo anche alla morte, per mano di un sedicente amico. Un doveroso viaggio in un'epoca i cui echi ancora ci riguardano tutti, anche inconsapevolmente. Tanto vale esserne un po' più consapevoli. 

Ian Leslie, Bugiardi nati. Perché non possiamo vivere senza mentire. L'autore scandaglia le bugie, la loro storia, le loro motivazioni, le loro funzioni. D'altra parte, tra i comandamenti, o imperativi morali condivisi, se preferiamo, non dire falsa testimonianza è l'unico che tutti violiamo regolarmente, e con entusiasmo, basti pensare a "che bel regalo, grazie!", per quieto vivere, per non irritare o dispiacere, o per le buone maniere che impariamo già nella prima infanzia. L'autore illustra nel suo studio come mentire, tendenza umana universale, sia stato tra i motori evolutivi della specie; che i grandi bugiardi sono grandi decifratori del comportamento umano; che dire bugie non è una patologia o una stortura da eliminare, ma un aspetto fondamentale della nostra natura, della complessità intellettuale dell'essere umano; che ingannare sé stessi sulle proprie capacità è il comportamento abituale di coloro che avranno più successo nel lavoro, una salute più solida e rapporti più sereni, come tra l'altro dice George Bernard Shaw: "Le persone ragionevoli si adattano al mondo, le persone irragionevoli tentano di adattare il mondo a sé. Tutto il progresso, dunque, dipende dalle persone irragionevoli". 
Una parte molto divertente del libro è quella in cui Leslie si sofferma sull'effetto placebo e su molti studi scientifici sull'argomento. A un certo punto parla del colore delle pillole somministrate per diverse malattie. Pare che, a parità di principio attivo (o perfino in assenza dello stesso), il colore incida sulla potenzialità di guarigione del farmaco, come tra l'altro la dimensione, la frequenza di assunzione e il costo, in base alla tipologia di malattia. Per esempio, la depressione si cura più efficacemente con le pillole gialle. L'ansia con quelle verdi. I dolori dell'ulcera con quelle bianche. L'insonnia con le pillole azzurre, ma con una sconcertante eccezione. In Italia, unico caso al mondo, esiste una fondamentale differenza di genere: le donne trovano molto giovamento nelle pillole azzurre, per gli uomini invece queste tendono a funzionare meno rispetto a quelle di altri colori. L'ipotesi (solo formulata, non dimostrata) fornita dagli autori di uno di questi studi è che essendo azzurro il colore delle varie nazionali sportive, questo non induca il sonno nei maschi italiani, ma più probabilmente eccitazione e predisposizione al tifo. Non so se invece vi sia un collegamento con il Viagra, ma dovrebbe riguardare anche maschi di altre nazioni. Mi auguro. 

mercoledì 19 aprile 2023

Confusione Seria, Mentale

Ancora non sono abituata agli occhiali. Da giovane mi pareva fossero una cosa fighissima, come quando la prof li abbassa sul naso e percorre l'elenco sul registro, soffermandosi per puro sadismo a far tremare ora quelli con la T, ora quelli con la B, e creando molta confusione tra quelli dalla E alla L, che giacciono in mezzo, indistinti e spauriti. 

Ora non mi sembrano più una cosa fighissima: nauseata per lunghi mesi, incapace di abituarmi all'alterazione che provocano nelle meningi quando li inforchi le prime volte; preda di giramenti di testa quando mi alzo con decisione, dimentica dell'orpello, e pretendo di camminare con le lenti che userei per leggere lo smartphone; costretta ad abbassarli sul naso quando qualcuno mi parla, distogliendomi dalla lettura, finendo per assomigliare alla regina Grimilde quando è in down e cerca di smerciare mele.  

E poi accade anche questo. Provata dalla giornata, mi siedo alla scrivania e li metto sospirando, perché del testo davanti a me vedo tanti trattini neri, un po' come un trapper che legge uno spartito. Però non accade niente. Trattini nebbiosi. 

La mente percorre ogni possibilità: oddio, devo cambiare di nuovo occhiali; oddio sono così sfinita? Oddio sto diventando cieca. Salvo una, che temo rilevante: sono gli occhiali da sole.

martedì 18 aprile 2023

A volte tornano

E' strano, prendere tutto un malloppo di passato, di quando la prole ti saltellava intorno in una condizione di totale dipendenza, tenerlo lì sotto e tentare di proporre qualcosa di molto diverso, che sì, viene da quella roba lì, da quelle esperienze, ma per certi versi è di nuovo una vita più simile a quella da giovani e per altri son giornate da vecchi perennemente stanchi e acciaccati. Fatto sta che in questi anni di silenzio, nei quali non mi nutrivo di scrittura, io continuavo a pensarci, a questo diario che restava solo nella rete, sconosciuto ai più e giustamente dimenticato dai pochi, tra altri milioni di diari e che conteneva cose che per me erano importanti: mi avrebbe per esempio impedito di dimenticare molti giorni. Quindi è sempre stata rassicurante, l'idea che da qualche parte ci fosse; che, come pare accada per le foto imbarazzanti, la rete prima o poi restituisca ogni cosa (tranne le tesi di laurea cancellate per errore, che invece finiscono in un universo parallelo dal quale non si torna). Questi racconti, qui sotto, mi tengono per certi versi ancorata a quella vita, con un bambino piccolo, all'asilo e all'inizio della primaria, quando i pomeriggi erano spesso fatti di mutuo soccorso tra madri, dopo scuola a lasciar sfogare i pargoli; era incredibile, quante cose delle reciproche vite si finiva per conoscere, fuori dalla scuola col sole e col freddo boia, a consolarsi e consultarsi a vicenda. Ora, madri di adolescenti, non ci si conosce più, tra famiglie della classe del liceo, e si finisce per avere più tempo, ma socialità meno assidua, salvo recuperare quella della gioventù, sempre che si sia stati abbastanza saggi da mantenerne degli scampoli. Tutto questo per dire: l'impulso impera! Ricomincio a scrivere: qui le mie letture, o le giornate che può valere la pena di ricordare e condividere con gli amici. E altrove (sarò più precisa a breve) i miei viaggi, dato che mi è stato detto che era un peccato, che tutta la mia programmazione ossessivo-compulsiva-certosina restasse confinata in un quaderno A5 invece che a disposizione dell'umanità (i venticinque lettori di manzoniana memoria). Quindi coraggio, ricominciamo.