mercoledì 31 marzo 2010

Geni e compravendite


Accade che non tutti abbiano il gene dello speculatore. Altrimenti il mondo non sarebbe diviso tra i Berlusconi e i fessi che lo votano e basta, traendone chissà quale nascosta soddisfazione nel vedersi rovinare; staremmo tutti ad aspettare voti, senza meritare nemmeno quello di nostra sorella.
Dobbiamo prendere atto che la mia famiglia è fatta di tipi che iniziano da una Mercedes e si ritrovano dopo pochi baratti con un mangiadischi arancione.

Questo per raccontarvi che con Marito, reduci da un monolocale che aveva coltivato il nostro amore nascente e sovrappopolato (Pantacollant era già dei nostri) in 29 metri quadri, avevo acquistato una casa che di metri ne srotolava un’ottantina, in un palazzo di edilizia popolare degli anni ’50, in un quartiere discusso per l’arrivo degli immigrati, che producono oro per gli affittacamere e contemporaneamente disprezzo per gli stessi affittacamere quando sono a pranzo dagli amici e urgono i luoghi comuni per rendere piccante la conversazione.
I soffitti erano altissimi, i pavimenti di graniglia indistruttibile, di quelli che non sembrano mai veramente sporchi (e i puristi diranno sì, ma nemmeno veramente puliti, obiezione inutile a casalinghe mediocri come la sottoscritta); la luce entrava da ogni parte, senza ritegno, dalla mattina alla sera. E ci abbiamo fatto molti lavori, tutto il meglio nei limiti del portafoglio, per metterci su una famiglia.

E poi ci siamo trasferiti, e non ci siamo trovati con una bella casa curata e colorata da offrire ad amanti del genere: ci siamo trovati con una casa degli anni ’50 in un quartiere sospetto, circondati da frotte di agenti immobiliari, che si avventano sulla preda con l’occhio ingordo, appena occultato da un contegno da pompe funebri quando mettono la mano sulla spalla e assicurano che si occuperanno loro di tutto: non possiamo sperare di vendere questa casa nemmeno per il prezzo che avete pagato prima della ristrutturazione. E’ una casa adatta alla feccia della società: studenti e immigrati.
A cui poi il proprietario affitterà camere a peso d’oro, dipinte da noi.

In effetti non abbiamo il gene dello speculatore. Però l’orgoglio del lavoratore sì. Quindi abbiamo respinto tutti gli agenti, e abbiamo messo in vendita la casa in internet al prezzo che ritenevamo giusto, in quei siti di annunci tra privati che spero risucchino in breve tutte le agenzie immobiliari del mondo fino a renderle polvere di calcestruzzo.

Cavolo: ha funzionato. Abbiamo trovato persone che vedono l’appartamento colorato e curato, i pavimenti di graniglia mai sporchi, la luce che pare il faro di un fotografo, il bagno a quadretti verdi e la camera carta da zucchero, i vicini di casa stranieri con famiglia che al massimo peccano di perbenismo, le casette intorno dove i vecchi giocano eterne partite a briscola d’estate, la cucina arancione per la quale offrire perfino dei soldi in più, costruita dopo lunghi pensieri tra ante ikea, fornelli d’acciaio e mobili fatti in casa da nonno G.

Forse i geni legano tra loro prima ancora di chi li ospita. Speculatori con speculatori, persone con persone.

lunedì 29 marzo 2010

E ora: Novecento


Abbiate pazienza,
non potevo abbandonare il mio sondaggio sull'Ottocento senza un confronto con il secolo scorso..via ai giochi!

Scuole letterarie dell'Ottocento


E un altro sondaggio è andato, senza che il numero di votanti abbia subito modifiche pregnanti: nove milioni a mio vedere, nove persone secondo la questura.
All'ultimo momento, quando le delegazioni dei due paesi si stavano preparando a un noioso parimerito, la Russia ha battuto la Francia, seguita a ruota dalla Gran Bretagna. Nessuna considerazione hanno riscosso l'Italia, che ancora pesa in molti cuori alunni obbligati a leggere I promessi sposi, la Germania e gli Stati Uniti, che forse si sarebbero messi in evidenza in un sondaggio sulla letteratura del Novecento, che lancerò a breve.
Immaginavo sarebbe finita così, ma ciò non vi risparmierà l'enunciazione del mio irrilevante pensiero.
Lo ammetto, forse l'avrete capito tra le righe, ho un problema con la letteratura russa. E ne ho letta tanta, per cercare di guarire; con poche eccezioni, nulla da fare. Non è nemmeno molto facile cercare di spiegare quale sia il problema, forse mi toccherà farlo con una metafora simpsoniana: un giorno, in una puntata dei Simpson, la figlia Lisa si perde per la città, e finisce nel quartiere russo. Cerca timidamente di chiedere informazioni, e le accade quello che accade a me nei libri: la gente le risponde in russo, la traduzione nei sottotitoli recita gentilmente: certo, cara bambina, ora ti spiego, devi andare di là, poi giri...ecc..solo che le movenze dei passanti, nel dirle, queste cose, non corrispondono per nulla al testo: urlano all'impazzata, si strappano i capelli, battono i piedi per terra.. e in quel momento io mi sono sentita rappresentata.
C'è uno scollamento tale tra quello che accade e le reazioni che ne scaturiscono, uno straniamento così pesante che mi disturba, e non capisco nemmeno perchè, visto che adoro il casino della letteratura sudamericana, nella lettura non cerco certo l'ordine a tutti i costi. Ma qualcosa stride. E' come se trovassi tutti i personaggi artificiosi, sbagliati; invece pare sia una realistica interpretazione di un popolo fatto in questo modo.
Avrei realmente bisogno di sentire altre opinioni, in merito.
E ora, l'ammissione: ho votato Gran Bretagna.
Per me i romanzi inglesi dell'epoca rappresentano quanto di più coinvolgente e confortante possa volere dalla lettura. Jane Austen, Edith Warton, George Eliot, le sorelle Bronte (e non è da poco che finora abbia potuto orgogliosamente nominare solo donne, cosa che all'epoca non accade in nessun altro paese), Dickens, Wilkie Collins, Thackeray, che poi sfoceranno in Forster, la Woolf, Kipling, il mio amatissimo Henry James, che nasce americano ma muore inglese ...

Ulteriore prova del mio complesso: Conrad non riusciva proprio a piacermi, sembrava una incomprensibile eccezione nel mio rapporto con il mondo anglosassone.. et voila, scopro che è polacco!

venerdì 26 marzo 2010

Uomini del mondo, unitevi!


Che in questo paese si assolutamente necessario che siano donne seminude a indurre a comprare articoli di ogni tipo, siano bambole gonfiabili, automobili o setacci per la farina, pare sia una realtà alla quale è impossibile opporsi senza essere tacciati di invidia o antimodernità.

Che il Presidente del Consiglio si senta autorizzato a deridere l’aspetto fisico di esponenti dell’opposizione al fine di danneggiarne (a suo parere) il ruolo politico, naturalmente solo in quanto donne, per le quali, ovviamente, l’avvenenza è requisito indispensabile all’intelligenza, pare sia inevitabile senza essere accusati di ulteriori angherie al pover’uomo perseguitato.

Che in televisione sia possibile assistere a qualsiasi show generalista solo occhieggiando tra l’intricato labirinto di cosce di ballerine improvvisate che immagino lascino quotidianamente in lacrime Heater Parisi e la Cuccarini per il dilettantismo che emanano, pare sia il nostro destino, e dopotutto, vista la qualità degli show di cui sopra, il colonnato di femori in bikini non danneggia in effetti niente.

Ma che anche la mattina a colazione, al bar con la famiglia, mi tocchi assistere a una ormai infinita sfilata di tette finte delle cameriere, requisito essenziale all’assunzione anche in un caffè della stazione, mi sta veramente stancando.
Prima di tutto perché se c’è qualcosa che non mi manca sono le tette, e ne ho oltre misura di guardarmi le mie, e impormene ovunque è un’ottusa persecuzione.

E poi perché considero questo triste panorama umano, insieme a tutti quegli altri teatrini descritti sopra, un segno di fortissimo abbruttimento della considerazione del genere maschile, che dovrebbe avere un sussulto di dignità invece di adagiarsi sulle curve.
Se ci pensate, infatti, il messaggio che traspare da tutto questo è:

- voi donne sapete bene lo stesso cosa comprare, cosa vi serve, cosa non vi serve, è inutile che spendiamo soldi e idee per stuzzicare la vostra complicata fantasia. Noi spargiamo a caso le donne nude, così i vostri mariti sono contenti e non vi fanno problemi a seguirvi per negozi.
- Voi donne sapete bene chi votare, quali idee sostenere, mentre gli uomini, se vedono una gnocca, la scelgono indipendentemente da ciò che pensa, che dice, che è, a miss maglietta bagnata come in parlamento, quindi infiliamole qua e là ed è successo garantito.
- Voi donne sapete perfettamente se uno spettacolo televisivo vi interessa o meno, è inutile che inseriamo dispossenti che si agitano per cercare di catturare la vostra attenzione; mentre gli uomini, se vedono pezzi anatomici roteare, non ascoltano più, sono felici così, e noi facciamo audience
- Voi donne mangiate una brioches se ne avete voglia, andate al ristorante se avete fame. Ma sapete com’è, dobbiamo pure trovare il modo di intrattenere i vostri accompagnatori, poverini, che non possono essere soddisfatti da attività complesse com la degustazione del cibo e la conversazione.

Se gli uomini sono in effetti quelli che appaiono da questo castello di figurine hard creato dagli stessi uomini, mi chiedo cosa mai stiamo aspettando a prendere il potere chiudendoli in enormi case di riposo con megaschermi e infermiere che si immolano a turno in guepiere per il bene dell’umanità!

martedì 23 marzo 2010

Scuolaaa?



- Ciao, Babi, papà va al lavoro, e tu vai a scuola con la mamma.
- Nooo babi no scuola, Babi casa con la mamma. Pappa, gioco, nanna.
- Ma Babi, dobbiamo andare tutti al lavoro, e tu, come fai, resti a casa con Pantacollant?
- Ma noo, papà! Babi casa con la mamma e gatto! No solo!

Ci sono momenti nella vita di una donna, o di un uomo, in cui sarebbe estremamente opportuno mandare a fanculo il tempo, il progresso, la performance, per buttarsi nel vaso di biscotti con un Babi e oziare guardando Scat Cat e la sua banda del jazz. I bambini hanno precisa consapevolezza del momento in cui questo diventa necessario. E poi, come noi, imparano a negare l’evidenza.

lunedì 22 marzo 2010

Out of Pedemontana


“I had a farm in Africa, at the foot of the Ngong Hills. The equator runs across these highlands, a hundred miles to the north, and the farm lay at an altitude of over six thousand feet. In the day-time you felt that you had got high up, near to the sun, but the early mornings and evenings were limpid and restful, and the nights were cold”*.

La voce di Meryl Streep, camaleonticamente d’accento danese a imitare Karen Blixen, ha reso questo magnifico incipit del libro La mia Africa ancora più struggente nella mia memoria, nel mio desiderio di Africa, di scrivere, di assomigliare a chi sa in poche righe prendere lo scettro del potere sulla tua curiosità e avvinghiarti nella sua storia.
Da qui, oggi, prendo ispirazione per raccontare il nostro fine settimana lontano dalle padane polveri.

Avevo una casetta di sassi, a C.., ai piedi delle Prealpi. Cave di carbonato di sodio feriscono le rocce carsiche, e la casa si appoggia su un prato ondoso a 425 metri sul livello del mare. Di giorno le nuvole impediscono di vedere anche la cima di quel tentativo di monte, lasciando immaginare altezze inenarrabili e paradisi danteschi proprio dove finisce in un altipiano. La mattina e la sera tutto è bagnato, tra rugiada e pioggerella, e le foglie secche dell’autunno ti si attaccano alle scarpe. Le mucche bestemmiano. Le notti, fuoco nel camino, come fosse ancora Natale.
Abbiamo portato Babi e Pantacollant nella nostra casetta, già descritta alcuni mesi fa e lasciata a se stessa a lungo, dopo averci tradito riempiendo di zecche incontrollate il prato e la coscia di un figlio neonato.
Ora abbiamo deciso di prendere in mano la situazione, perché l’inquinamento cittadino lo respiri senza poterlo evitare, per le zecche si può sperare di combinare qualcosa.

E’ un posto bellissimo, che richiama la storia della famiglia, quasi illudendoci di possederne di secolari e lineari come nella Casa degli Spiriti. In realtà è breve, inizia con l’acquisto di una stalla negli anni sessanta da parte di Nonna D. e Nonno G. ancora fidanzati, trasformata in abitazione portando malta a dorso di mulo, continua con la lotta con una banda di ghiri che ne avevano preso possesso in un periodo di abbandono trasformando il water in un condominio di lusso, culmina nel momento in cui ho capito, innamorandomene, che era anche casa mia, che potevo compiere scelte, dipingere mobili di giallo e azzurro e scegliere piante anacronistiche e votate a morte certa per il prato natùre, prosegue con fughe d’amore mie e di Marito non ancora maritati, giunge ora ad un’altra lotta epocale per sgominare gli orridi animaletti amanti del salasso e del morbo di Lyme.

Siamo rimasti lì poco meno di 24 ore, scoprendo che Babi e Pantacollant, in questo lungo inverno che ha reso inospitale qualsiasi accostamento alla natura, anche quella edulcorata dei parchi cittadini, si sono trasformati in una sorta di Woody Allen, che lontano dalla città vive come accerchiato dal nemico, leggendo nel frinire delle cicale e nel frusciare degli steli d’erba messaggi di guerra e assedio.
Babi non ha amato l’erba bagnata, definita subito pelo, come il pezzettino di cipolla nel cibo che provoca l’immediato rifiuto del pranzo intero. Non ha apprezzato di insudiciarsi gli stivaletti di gomma con pezzi di foglie secche, né le mani raccogliendo la palla inumidita. Non ha amato i lontani minacciosi latrati di cani, né il fatto che le nuvole avessero trasformato il cielo in una sorta di soffitto adatto al massimo ad essere soppalcato.
Pantacollant correva felice come un missile, la coda ingrossata a raccontarsi storie di agguati e di campagne militari, ma, quando si trattava di fare pipì, si trovava spaesata senza la sua lettiera. Il fatto di trovarsi in un enorme wc, senza limiti e pareti, invece di spingerla a lasciare segni di sé ad ogni tronco, la spaesava, tanto da impedirle di liberarsi fino all’arrivo in città.

Marito ed io, che declamavamo sonoramente, nel peggior tentativo possibile di coinvolgere i due figuri, cose tipo: Oh, come si sta bene, respirate a pieni polmoni! Che bello! Che natura meravigliosa! Che rigoglio! Uuu! Aaa!, abbiamo ben presto dovuto adeguarci alle parole di Babi, portavoce per entrambi: - Babi vuole casa. No qui, altra casa, nonno.

*Avevo una fattoria in Africa, ai piedi delle colline Ngong. L’equatore taglia quegli altipiani un centinaio di miglia più a nord e la fattoria si distende oltre i seimila piedi di altezza. Di giorno sentivi di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini e le sere erano limpidi e calmi, e le notti fredde.

Ho dovuto tornare in città.

venerdì 19 marzo 2010

Come un romanzo


Sto terminando i racconti di Alice Munro.
Temo che mi toccherà commentare con le due parti di me stessa, quella razionale e quella emotiva, a meno che Berlusconi non consideri quest’operazione un talk show e lo sopprima.

Sono racconti per molti versi eccezionali. Pezzi di vita presi come a caso, come dal martedì al venerdì di una settimana, ma avrebbero potuto coinvolgere anche il lunedì, ottenendo lo stesso effetto. Di assoluta e frammentaria universalità.
Munro non descrive accadimenti sconvolgenti, ma quelle gocce che fanno i giorni, determinando quasi senza accorgersene i mutamenti più devastanti del corso della vita.
Racconta persone che sono nate con un bagaglio di regole ferree, e si trovano a vivere all’improvviso, con le rivoluzioni degli anni ’60 e ’70, secondo tutt’altre norme, dovendole adattare ai propri figli. Racconta divorzi, matrimoni, nascite, pomeriggi.
Ognuno dei pensieri che descrive sento di averlo vissuto o di poterlo vivere, niente mi è estraneo, è tutto un rotolare di umanità sempre diversa e sempre uguale, che lascia l’amaro dell’immobilità insieme al guizzo della differenza.

E ora passiamo alla bambina emotiva che nel libro cerca quello che vuole sognare: il racconto mi concede troppo poco spazio, i personaggi entrano, vivono quelle poche ore e tramontano, girandosi verso di me per un attimo, come per dire: hai capito cosa intendevo dirti? Intravedo vite di ogni tipo, che possono assomigliare alla mia, o che se ne discostano in modo abissale, e poi se ne vanno. E’ come stare in un autobus.
Il romanzo è come una nave a vapore: mi culla per giorni dentro il suo mondo, mi illude di raccontarmi in perpetuo, ha un solo punto di partenza ed uno di arrivo.

E’ sempre un piccolo lutto, abbandonare tutto alla fine. Con i racconti, francamente, questo accade troppo spesso.

C’è però da considerare che Alice Munro dice che non avrebbe avuto tempo che per scrivere racconti, con tre figli. Parole sante.

lunedì 8 marzo 2010

L'autostima è elastica


Sfogliando un giornaletto di quelli gratuiti, di annunci immobiliari, vi potrà capitare di vedere la foto di un bel terrazzo abitabile, come dicono gli esperti immaginando forse che lo si possa subaffittare come monolocale, con tante piantine curate, e di leggere distrattamente l'annuncio, senza sperarci troppo, perchè molto caro, e di ipotizzare di chiamare questa agenzia per farci una visitina...ma se poi quel pesco nano lo riconoscete, e anche la passiflora, e in effetti il terrazzo è quello di casa vostra, che il proprietario mette in vendita con voi dentro, vi consiglio di non proseguire nel vostro intento: telefonare ad un'agenzia, darsi appuntamento sotto casa vostra per visitarla e venir contattati poco dopo dall'agenzia affinchè apriate la porta alla vostra stessa visita, è obiettivamente più di quanto la personalità di chiunque possa sopportare: al massimo un simpatico gioco per schizofrenici.

Festa delle donne che se la meritano


Ogni 8 marzo, invece di sentirmi parte di una festa, striscio lungo i muri con la mia mimosa e con la solita triste sensazione: non, come sarebbe facile pensare, che questa festa delle donne venga letta come la festa del papà, della mamma, di san Valentino o come la new entry di halloween, e trattata come simpatica cazzata, accettando o meno di stare al gioco delle mimose a seconda dello stato d’animo o del portafoglio.
La sensazione è che questo giorno venga, anche da buona parte delle donne, trattato con imbarazzo o disprezzo, tanto che risulti più facile sottostare piacevolmente all’acquisto annuale di cuori di peluches, profumi orrendi per il papà o piccole zucche da appendere in cucina che allo scambio di queste mimose, che hanno un serio significato, pur inquinato dalla voracità del consumismo. Il fastidio che incute tutto quanto, in questo paese, puzzi, di sociale, di diritto, di uguaglianza, di giustizia, di collettività, di pensiero.
La vergogna di pretendere quello che ancora appare più opportuno chiedere.

Sarò quindi didascalica nel ricordare le 129 donne che l’8 marzo del 1908, a New York, morirono chiuse dal proprietario in una fabbrica tessile a causa di un incendio, dopo un lungo sciopero per protestare contro le terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare; tutte le donne che hanno protestato e sono morte per ottenere migliori condizioni di vita e lavoro; e tutte quelle che ancora ci provano nel mondo.

Lo farò citando la grande Luciana Littizzetto: “la parità tra i sessi ci sarà solo quando troveremo donne incapaci al potere”.

venerdì 5 marzo 2010

Sondaggio - la scuola letteraria più importante


Ed ecco pubblicato un nuovo sondaggio, rubato ad un blog senza vergogna, perchè esprime un argomento da me molto sentito, visto che potrei tediare chiunque per ore, se solo mi desse spago sul mio rapporto conflittuale con la letteratura russa, e quanto lo senta diverso da quello con la produzione inglese.
Mi raccomando, votate a costo di organizzare un call center a pagamento per far vincere il vostro preferito, come a Sanremo.

All'asilo dei grandi


Riunione con la pedagogista all’asilo nido, campionario di varia umanità.
C’è la mamma perfettamente pettinata e truccata, che ha aspettato i due anni per portare la figlia al nido, pagandosi la baby sitter, e io penso che per me sarebbe molto più inquietante lasciare Babi con una sola estranea, invece che con un’allegra brigata di estranei.
C’è un padre che si distrae, e poi all’improvviso interrompe una madre mai vista che raccontava abituali attacchi isterici sul seggiolone: “ma sta parlando di mia figlia”?
C’è la mamma che viene costantemente respinta dalla figlia, che vuole solo ed esclusivamente il papà in mimetica, e lui ci gioca abbondantemente, facendo coalizione con la piccola. Sarà il fascino della divisa?
C’è la mamma inorridita dal nostro lassismo di genitori che lasciano libero accesso a cassetti e armadi della cucina: sua figlia mai ci si è avvicinata, e mai ci si avvicinerà, trovando, immagino, grande difficoltà a vent’anni a distinguere un setaccio da un imbuto.
C’è un papà che consiglia una madre che raccoglie tutto il giorno oggetti scagliati a terra dalla creatura: ha mai provato a dargli dei soldi?
C’è una madre che riesce a mettere a letto il secondogenito solo arrabbiandosi fino a farsi paura da sola.
C’è una mamma incinta che non riesce a convincere il primogenito a liberare la culla del fratello in arrivo.
C’è la mamma che, ligia a quanto prevedono i libri di pedagogia, fissa ampi fogli sul pavimento per dar sfogo alla fantasia del rampollo, e poi si trova i fogli accuratamente piegati, lo scotch che li fermava tutto in bocca del suddetto, e il parquet di un grazioso verde fosforescente.

E poi c’è una mamma appartata, con l’aspetto di una persona appena uscita a fatica da un robot aspirapolvere a seguito di un incidente domestico, che tace. E alla fine viene interpellata.
Sono la mamma di un bambino di tre anni. Non dorme dalla nascita. Una notte ho contato 36 risvegli. Una notte mi ha rotto il naso cadendomi addosso. Il sonnifero non ha nessun effetto, nemmeno le visite in ospedale. A volte si sveglia ogni mezz’ora, a volte resta sveglio per 5 ore di seguito. E la mattina è allegro, sveglio e vivace. Il pomeriggio, lui, recupera con perfino tre quarti d’ora di sonno. Io no.

Silenzio palpabile. Totale assenza di consigli; nei visi un misto di angoscia, pena e sollievo per avere bambini che si limitano a strepitare e lanciare oggetti scrivendo sui muri. Poi qualcuno riprende con i problemi normali, e la mamma stropicciata si rimette nell’angolo ad aspettare la sera.

mercoledì 3 marzo 2010

Idrovore o maestre crudeli?


Asilo nido, esterno giorno, genitori in attesa.
Mamma 1: Quando vengo a prendere mio figlio, beve mezzo litro d’acqua già sulla porta.
Mamma 2: Non me ne parlare, interi biberon di tisane!
Mamma 3: Il mio continua anche a casa, anche di notte, gli ho perfino fatto fare le analisi.

Papà 1: Io, se mi dimentico l’acqua, nemmeno ci vado, a prenderlo…

Tutti qui, radunati nella nostra capitale


Venerdì 26 febbraio 2010: primo viaggio aereo per Babi.
Ha mantenuto la calma nel noioso viaggio in macchina verso l’aeroporto, sotto la pioggia battente che non presagiva una gioiosa visione del mondo dall’alto.
Ha sopportato il continuo rimandare la merenda, dovuto a corse senza fine. Non ha aperto bocca davanti alla sfuriata della madre imbestialita al momento della salita in aereo, quando il privilegio di non restare in coda grazie all’infante è stato vanificato dalla pretesa del personale di vedere un documento di identità del piccolo, che nel biglietto materno era definito per scelta loro “+ inf”, senza nemmeno il nome, e che per costituire un problema per la sicurezza avrebbe dovuto celare una sorta di Arnold di 45 anni in un corpo mostruoso – tra l’altro, la soluzione al problema è stata geniale: una mia autocertificazione sulla costituzione del nucleo familiare che mi hanno fatto compilare e poi tenere per me, come avessi bisogno di una periodica rinfrescatina su chi siano mai questi due figuri che vivono a casa mia.
Ha sopportato un poco infastidito il fatto che ci recassimo in alto fidandoci di due ali rigide e affaticate incapaci di remare come quelle dei gabbiani, per poi avere intorno a noi solo acqua (ovvero l’elemento più simile al cielo che Babi abbia individuato) ed essere costretti a stare seduti per le continue turbolenze, abbassando la tendina del finestrino per non mettere troppo alla prova il proprio coraggio.
E’ stato un signore nella corsa al treno per Ostiense, offrendo a piene mani i suoi biscotti ai viaggiatori presenti.
Si è mantenuto un piccolo lord nell’aspettare l’autobus giocando con l’ombrello.

Ma dover guardare il bambino dei nostri amici che giocava con BrrrTato, questo no. Avesse potuto, avrebbe prelevato la parte “+inf” della carta di imbarco, avrebbe compilato un’autocertificazione e si sarebbe messo da solo in fila per il ritorno.

Nei giorni seguenti, nel nostro tentativo di intervenire il meno possibile, solo nel caso in cui il sangue scorresse a fiumi, il rapporto si è evoluto: per lo più consisteva in una serie di colpi che Babi elargiva alla capoccia di B., per poi baciarlo e carezzarne via le lacrime, non prima di essersi appropriato del gioco che l’altro, tra l’altro a titolo di proprietario, intendeva usare. Si chiamavano l’un l’altro per poi ignorarsi. Mangiavano come bestie per non rischiare di lasciarsi reciprocamente qualcosa.
Un assaggio di fraternità.

Roma, intanto, è lì seduta e meravigliosa, come sempre, ospitale soprattutto grazie ai nostri amici, e come sempre nasconde scorci di follia: Via del Corso, due fidanzatini con gli occhi negli occhi - L’immortacci tua, quanto te amo!