venerdì 19 marzo 2010

Come un romanzo


Sto terminando i racconti di Alice Munro.
Temo che mi toccherà commentare con le due parti di me stessa, quella razionale e quella emotiva, a meno che Berlusconi non consideri quest’operazione un talk show e lo sopprima.

Sono racconti per molti versi eccezionali. Pezzi di vita presi come a caso, come dal martedì al venerdì di una settimana, ma avrebbero potuto coinvolgere anche il lunedì, ottenendo lo stesso effetto. Di assoluta e frammentaria universalità.
Munro non descrive accadimenti sconvolgenti, ma quelle gocce che fanno i giorni, determinando quasi senza accorgersene i mutamenti più devastanti del corso della vita.
Racconta persone che sono nate con un bagaglio di regole ferree, e si trovano a vivere all’improvviso, con le rivoluzioni degli anni ’60 e ’70, secondo tutt’altre norme, dovendole adattare ai propri figli. Racconta divorzi, matrimoni, nascite, pomeriggi.
Ognuno dei pensieri che descrive sento di averlo vissuto o di poterlo vivere, niente mi è estraneo, è tutto un rotolare di umanità sempre diversa e sempre uguale, che lascia l’amaro dell’immobilità insieme al guizzo della differenza.

E ora passiamo alla bambina emotiva che nel libro cerca quello che vuole sognare: il racconto mi concede troppo poco spazio, i personaggi entrano, vivono quelle poche ore e tramontano, girandosi verso di me per un attimo, come per dire: hai capito cosa intendevo dirti? Intravedo vite di ogni tipo, che possono assomigliare alla mia, o che se ne discostano in modo abissale, e poi se ne vanno. E’ come stare in un autobus.
Il romanzo è come una nave a vapore: mi culla per giorni dentro il suo mondo, mi illude di raccontarmi in perpetuo, ha un solo punto di partenza ed uno di arrivo.

E’ sempre un piccolo lutto, abbandonare tutto alla fine. Con i racconti, francamente, questo accade troppo spesso.

C’è però da considerare che Alice Munro dice che non avrebbe avuto tempo che per scrivere racconti, con tre figli. Parole sante.

1 commento:

La Cavia ha detto...

Come ti capisco.. Proprio per evitare il dolore di chiudere un libro che si è amato tre volte su quattro io non li finisco..