mercoledì 3 marzo 2010

Tutti qui, radunati nella nostra capitale


Venerdì 26 febbraio 2010: primo viaggio aereo per Babi.
Ha mantenuto la calma nel noioso viaggio in macchina verso l’aeroporto, sotto la pioggia battente che non presagiva una gioiosa visione del mondo dall’alto.
Ha sopportato il continuo rimandare la merenda, dovuto a corse senza fine. Non ha aperto bocca davanti alla sfuriata della madre imbestialita al momento della salita in aereo, quando il privilegio di non restare in coda grazie all’infante è stato vanificato dalla pretesa del personale di vedere un documento di identità del piccolo, che nel biglietto materno era definito per scelta loro “+ inf”, senza nemmeno il nome, e che per costituire un problema per la sicurezza avrebbe dovuto celare una sorta di Arnold di 45 anni in un corpo mostruoso – tra l’altro, la soluzione al problema è stata geniale: una mia autocertificazione sulla costituzione del nucleo familiare che mi hanno fatto compilare e poi tenere per me, come avessi bisogno di una periodica rinfrescatina su chi siano mai questi due figuri che vivono a casa mia.
Ha sopportato un poco infastidito il fatto che ci recassimo in alto fidandoci di due ali rigide e affaticate incapaci di remare come quelle dei gabbiani, per poi avere intorno a noi solo acqua (ovvero l’elemento più simile al cielo che Babi abbia individuato) ed essere costretti a stare seduti per le continue turbolenze, abbassando la tendina del finestrino per non mettere troppo alla prova il proprio coraggio.
E’ stato un signore nella corsa al treno per Ostiense, offrendo a piene mani i suoi biscotti ai viaggiatori presenti.
Si è mantenuto un piccolo lord nell’aspettare l’autobus giocando con l’ombrello.

Ma dover guardare il bambino dei nostri amici che giocava con BrrrTato, questo no. Avesse potuto, avrebbe prelevato la parte “+inf” della carta di imbarco, avrebbe compilato un’autocertificazione e si sarebbe messo da solo in fila per il ritorno.

Nei giorni seguenti, nel nostro tentativo di intervenire il meno possibile, solo nel caso in cui il sangue scorresse a fiumi, il rapporto si è evoluto: per lo più consisteva in una serie di colpi che Babi elargiva alla capoccia di B., per poi baciarlo e carezzarne via le lacrime, non prima di essersi appropriato del gioco che l’altro, tra l’altro a titolo di proprietario, intendeva usare. Si chiamavano l’un l’altro per poi ignorarsi. Mangiavano come bestie per non rischiare di lasciarsi reciprocamente qualcosa.
Un assaggio di fraternità.

Roma, intanto, è lì seduta e meravigliosa, come sempre, ospitale soprattutto grazie ai nostri amici, e come sempre nasconde scorci di follia: Via del Corso, due fidanzatini con gli occhi negli occhi - L’immortacci tua, quanto te amo!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il mio primo incontro con Roma risale al 15 settembre 1975.
In quegli anni, anche se già discretamente infarinato di marxismo, ma non abbastanza sgaio per fare l’obiettore di coscienza ( erano davvero rari a quell’epoca) avevo trovato inevitabile sottopormi al servizio militare. Granatiere di Sardegna,. Tutti mi invidiavano perchè confondevano granatieri con corazzieri. In realtà erano alti anche i granatieri e pur facendo dei servizi di rappresentanza, sfilate al Quirinale, ai Ministeri, ecc. era pur tuttavia una qualunque arma dell’esercito, pressochè uguale a tante altre, tipo alpini o genieri.
Pur essendo un giovanotto di quasi 26 anni ed avendo già un posto di ragioniere , impiegato di concetto della pubblica amministrazione (ubicazione logistica, la stessa stanza che occupi tu ora ) e pur avendo fatto quasi tutti gli esami di economia e commercio in quel di Trieste ero tuttavia uno sprovveduto e spaurito ragazzotto di paese che, essendo quello periodo di scioperi, guarda caso, il 16 di settembre, data fissata per la partenza per la naia, era annunciato appunto lo sciopero dei treni. (che altri mezzi conosciuti ai più si poteva pensare in quei tempi?) Che fa il cittadino onesto, assennato, coglione. Và dai carabinieri, massima autorità nel campo. Cosa gli suggeriscono? Gli comandano di partire il giorno prima , ovviamente, non quello dopo. Cosa fa il giovane di belle speranze e di tanta paura. Parte…..
Arriva in serata spaurito e solo alla stazione Termini.
Cos’era per me Roma? Era un sogno, una chimera, un luogo magico, il posto per antonomasia.
Scendere dal treno e trovarmi in un binario pressoché deserto, scoprire i dintorni della stazione tanto ruspanti e degradati, quanto pieni di umanità è stato sorprendente. Ricordo un clima mite, una serata tanto triste quanto struggente, un panino, tra i tanti consumati nel lungo viaggio, una birra calda in barattolo portata da casa…insaccatami nella valigia dalla immancabile madre piangente….
E poi la ricerca della caserma e l’arrivo nella pasoliniana Pietralata… Un posto incredibile, ma non lo afferrai appieno quella sera; in tutta la caserma, da tutta Italia, in due arrivammo il giorno prima, io e un povero ragazzo calabrese…nessuno ci aspettava!!! ci hanno preso in giro per tutta la durata della naja….Gli italiani “normali” cominciarono con calma ad arrivare dal 17 in poi, qualcuno ben Il mio primo incontro con Roma risale al 15 settembre 1975.
...
fine della prima puntata....

gino ha detto...

a Roma, alla fine eletta mia città ideale, ci sono stato di merda in quegli intensi quindici mesi, quelli nei quali l’ho conosciuta per la prima volta e, qui sono d’accordo con te riguardo la sofferenza che genera necessità di scrivere, tanta ne dovuta patire e che ha impregnato il mio animo, mescolandola alla intensita’ del suo vissuto, dei suoi luoghi, della gente; mi verrebbe davvero voglia di descrivere, per quel che mi ricordo, questi abbinamenti, i contrasti tra le sue calde e sensuali atmosfere e le mie turbe interiori;
ci sono tornato parecchie altre volte, sia a Roma che nella Ciociaria, a trovare gli amici fraterni con i quali ho diviso quelle pene e che mi ospitavano nei loro poveri paesi le volte che non tornavo dalla mia morosa (una domenica si e una no)
I ricordi scorrono un po’ sbiaditi, con qualche avvenimento ovviamente più significativo che riemerge e che mi pare di poter rievocare con buona dovizia di particolari; avvenimenti per lo più legati a quel contesto, tanto densi per me quanto vacui per chi legge;
uno dei primi, particolarmente impresso nella mente data la sua ridondanza, il suo ripetersi nel tempo, ossessivo e compulsivo, comunque vitale, è stato lo sbarco al capolinea dell’autobus che dal malfamato quartiere pasoliniano ci proiettava nel cuore della città eterna: Piazza San Silvestro. In quel posto la prima insegna che notai fu quella della SIP che all’epoca e fino a non molti anni fa era l’azienda telefonica di Stato che in quella piazza ospitava un discreto numero di cabine nelle quali svuotavo le pesanti tasche piene di gettoni, unici strumenti che consentivano l’utilzzo dei telefoni pubblici (non erano ancora state inventate le tessere telefoniche)
Mia moglie all’epoca era la mia “ragazza” e devo dire che ho speso tanti soldi e consumato tante tasche per poter sentire la sua voce, unica vera scialuppa di salvataggio in quel mare tempestoso.
Quella necessità era vitale e sovrastava qualsiasi altro stimolo che quella città offriva, anche se mi esaltavo ed emozionavo a scoprirla;
Una delle prime cose che vidi fu la Fontana di Trevi. L’idealizzazione di quel posto, come spesso ancora mi accade, non mi permise di incantarmi a prima vista. La prima impressione, diciamo pure delusione, fu l’angustia della piazza dove improvvisamente appariva questo gioiello che avrebbe forse meritato, a mio modo di vedere dell’epoca, scenari più ampi. Ci andavamo poi spesso, turisti e militari la riempivano ad ogni ora del giorno e della notte; fu lì che vidi probabilmente per la prima volta, con molto mio disappunto il rito, poi diventatomi usuale, di gettarvi le monetine; mai nella mia vita mi sono adeguato a recitare quel cerimoniale per me tanto assurdo e non solo perché all’epoca forse ero anche un po’ tirchio, oltre che assolutamente indigente. (L’esperienza di vita, le crescita personale e la fortuna mi hanno consentito di poter dire oggi di non rientrare più in quelle due tristi categorie)

Fine della seconda (breve) puntata