mercoledì 28 luglio 2010

Culetti famosi


Eccezionale.
Pare che Belen abbia fatto uso di cocaina nei primi giorni del gennaio 2007 (lo ha scritto sul diario col luchetto, oppure si tratta di una data da ricordare?)
E fin qui, grande capo Estiqaatsi direbbe solo: Estiquaatsi pensa che questo non è molto bello.

Sublime in eleganza e coerenza è però l'intervento del sindaco di Sanremo, che, dopo l'esclusione dal festival di Morgan, si esprime sulla questione.

"Non accetto di associare alla mia città qualcuno che non abbia una moralità certa, e se Belen ha fatto uso di droga, a questo punto non mi fa piacere vederla sul palco dell'Ariston". "Non cambio idea se una ha un sedere particolarmente bello, rispetto a Morgan che aveva i capelli strani".

Dopo qualche ora:
"Dopo la conferenza stampa ho letto i giornali che stamattina non avevo avuto tempo di guardare e ho potuto accertare che la situazione di Belen è molto differente da quella di Morgan. Reputo Belen una grande artista e spero quindi che possa chiarire, prima di tutto per lei, il suo coinvolgimento".

Viviamo in mezzo a donne portate continuamente alla ribalta senza alcuna professionalità; tale dato di fatto viene candidamente dichiarato a tutti nel momento in cui è necessario prendere le distanze per qualche comportamento considerato improprio.
E poi, quando i motivi economici sommergono, come tipicamente accade, la connotazione "morale", e dunque è necessaria una pronta riabilitazione, ecco che da un culo a mandolino emerge una grande artista.
E' l'ingenuo specchio di questo Paese, che ormai non riesco a non considerare irrimediabilmente perduto.

lunedì 26 luglio 2010

Hotel del ritorno alla natura


E’ qualche ora che dal mio comodino virtuale ho fatto sparire Hotel del ritorno alla natura di Simenon. Semplicemente perché l’ho finito.
Ci ho infilato L’ipnotista, quasi sperando di non notare io per prima la sostituzione.
Tutto questo perché mi sto arrovellando da un discreto tempo, chiedendomi cosa mai scrivere, su questo libro, terminato con le prime luci dell’alba, piena di una curiosità che non ha avuto il permesso di andarsene con l’ultima pagina. Francamente non so cosa dire.

Posso anticipare che non ho mai amato molto Simenon; non so perché, ma i suoi Maigret mi rimangano pressoché indifferenti, e trovo che i romanzi extra Maigret inducano, nella sempiterna cupezza che li attraversa, un’eccessiva voglia di suicidio, quasi a dire, come una collega questa mattina nello sbolognarci roba da fare: scusate, non ho tempo di vivere.
Scriverò dunque solo qualche impressione sconnessa, forse inutile a chi decida di cimentarsi nella lettura grazie a un mio consiglio, ma necessaria a lasciar traccia della mia attività oculare degli ultimi giorni, perché un buco tra i libri è come una pagina di diario strappata alla memoria.

L’oggetto: in un’isola deserta delle Galapagos si trovano a vivere contemporaneamente, completamente privi di comodità e modernità, uno scienziato tedesco, la sua assistente che per una vita casta e primitiva con lui ha lasciato il marito, e una famiglia di conoscenti dei primi, che vivono lì per il clima necessario alla sopravvivenza del figlio tubercolotico. Dopo anni di pace e tiepidi rapporti di vicinato, arrivano una rumorosa duchessa con un ambiguo marito, un amante – schiavo giovanissimo, e casse di whiskey, champagne, sigarette e dischi, in un pietoso tentativo di impiantare un hotel con ogni comodità nella natura incontaminata.

Non è assolutamente noioso. Scatena in me forti emozioni, grazie ad un personaggio delineato con tutti i tratti che non sopporto in alcune persone reali. Mi incuriosiscono le dinamiche tra queste persone che si costringono per diversi motivi a vivere in situazioni estreme, e come un nuovo arrivo, nonostante si tratti di un’isola in cui ciascuno potrebbe vivere completamente isolato dagli altri, alla fine conduca a una sorta di condivisione di un destino comune, come se gli umani non riuscissero a reprimere del tutto la propria socialità. E’ scritto benissimo. Direi che è avvincente, perché non ti viene fino all’ultima pagina la benché minima idea di come cavolo possa finire.

Temo però che anche Simenon abbia avuto lo stesso problema, e abbia mandato in stampa il libro prima di risolverlo.

giovedì 22 luglio 2010

Macchie


Quando a telefonare è il Marchese de Sade, il telefono si comporta in modo diverso dal solito: non ostenta la quieta indifferenza che riserva all'arrivo di qualsiasi interlocutore, bensì tossicchia, ammicca, provvede a tentare, nelle sue limitate possibilità verbali, di avvisarmi del pericolo imminente. Non direi che arriva ai livelli del telefono di Paperino, che, quando a chiamarlo è lo zio Paperone, traballa e solleva la propria cornetta fino a sbatterla sulla testa del nipote, ma fa il suo per prepararmi al peggio.
La chiamata, poi, si svolge normalmente così:
-pronto?
-vieni qui. Clic.
Inesorabilmente devo percorrere l'intero corridoio, presentarmi umilmente e attendere di conoscere l'oggetto del colloquio, poi ripercorrere il corridoio per recuperare la pratica e la serenità sufficiente a riuscire ad esprimermi, infine ripercorrere il corridoio per sedermi sulla poltroncina dell'ufficio - patibolo.

Ieri, però, il telefono è squillato mentre santiavo a bassa voce perchè l'intera mia colazione a basso indice glicemico si era trasferita dal suo contenitore alla mia maglietta. Naturalmente il Kapo era in compagnia di uno dei capoccia dell'azienda, naturalmente ciò di cui aveva bisogno non richiedeva che io mi facessi scudo con una pratica da 13 chili appoggiata al petto, bensì che dimostrassi estrema libertà di movimento, quasi quanta ne servirebbe per mandarlo dove si merita di andare.
Immagino che il Marchese si sarà chiesto perchè io sentissi il bisogno di fare in quel momento le prove per il concorso "maglietta bagnata 2010", oppure quale mattacchione, lungo il corridoio, si fosse divertito a scaraventarmi addosso un gavettone di 15 litri; in ogni caso, per una volta è stato signorile.
Ha taciuto, e in seguito, immagino, ha asciugato le gocce d'acqua sulla scrivania con nochalance, parlando d'altro.

giovedì 15 luglio 2010

Alla veneta


Accade che l’invenzione riceva il nome dell’inventore, ma, avendo individuato una sindrome, non tengo particolarmente all’idea che porti il mio nome.
L’ho quindi chiamata “alla veneta”, senza specificare province come il fegato alla veneziana, perché mi sono dovuta rendere conto che la regione vanta una concentrazione di infettati superiore alla media nazionale.

Se dovessi definirla scientificamente, direi che la sindrome consiste nel mettere tante mani avanti da spingere indietro l’interlocutore. In parole quotidiane, la sindrome colpisce coloro che non riescono a fare un piano per il fine settimana, o accettare un invito, oppure organizzare una vacanza senza specificare: sempre che il piccolo non si ammali /non piova /non si intasi l’autostrada per qualche incidente /non si resti senza benzina /con una gomma a terra / senza i soldi per prendere il taxi /se la tintoria porta il tight / se non tocca andare a un funerale /se non crolla la casa /se non sopravviene un terremoto / una tremenda inondazione / le cavallette (e qui Jake Blues finiva con "Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!", ma si tratta di ben altra sindrome).
Non è dato sapere perché una persona senta il bisogno di preavvertire che, nel caso in cui il giorno della festa si svegli scoprendo che la casa intera le è sottratta nottetempo, mattone per mattone, da una banda internazionale, e che piove a dirotto sul salotto buono, potrebbe accadere che non si presenti.
Sicuramente questo tipo di complesso garantisce il pane a coloro che vendono assicurazioni per l’annullamento delle vacanze.

Ecco: tutto questo per dire che il nostro geometra è uno della cricca alla veneta:che dico, il maestro indiscusso. Credo non giri mai senza una mano avanti al carro a sua volta davanti ai buoi, situazione che comprensibilmente rende gravosa ogni passeggiata.
Se tre persone in tre uffici diversi gli dicono la stessa cosa, poiché nessuno di esse l’ha riportata per iscritto, potrebbero rimangiarsela tutte; se un tipo di scarico non è previsto con l’aggiunta di una vasca filtrante, potrebbe risultare solo a fine lavori che in realtà lo era, vanificando mesi di attività; se la legge dice così, di sicuro da qualche parte non ancora individuata dirà il contrario, dunque è probabile che ci si troverà ad aver operato in modo illegittimo in ogni caso. E non sarà certo colpa sua, se tutto questo si avvererà: lui ci ha avvertiti.

Ora, per dare una connotazione scientifica a questa mia dissertazione, che questa sindrome dipenda da tragici traumi infantili (mamma mi aveva promesso di andare al parco), o da bieco calcolo (no responsabilità, no problem), evitate accuratamente di andare in vacanza col nostro geometra.

martedì 13 luglio 2010

Economia emersa


Crisi economica servita sul vassoio, ieri, passando sotto un sole micidiale davanti a una banca del posto, che dicono attraversi un periodo duro dai giorni della crisi bancaria del 2009.

La banca non concede più deroghe a coloro che avevano chiesto prestiti o leasing per comprare gli strumenti del loro lavoro, e dunque l’intero piazzale davanti alla sede principale è colmo di decine e decine di furgoni, camion, tir, autobetoniere, corriere, già marcate da quelli che avrebbero dovuto essere i loro proprietari, ma non sono riusciti a pagare le rate.
E’un cimitero di auto nuove, che ricorda un bambino prepotente che ruba le biglie a tutti e poi si trova senza nessuno con cui giocare.
E' una crepa che lascia emergere in tutta la sua miseria questa lunga crisi nascosta, che di solito viene vissuta quasi intimamente, senza plateali proteste, in piccole tragedie familiari, e che ogni tanto trabocca in cento camion fermi, senza più un perché.

Tonsille e parole


Tonsillite in luglio. Naturalmente condivisa, visto che Marito ed io abbiamo preso alla lettera le formule degli sposalizi americani circa la comunione in salute e in malattia (al nostro matrimonio non ho sentito nulla di simile, e, senza chiesa, senza damigelle vestite di viola, senza fiori ad ogni angolo, non avevamo proprio il phisique du role), e ci divertiamo a comprare anticipatamente antibiotici formato famiglia perchè tanto uno subenterà all'altro, questione di ore. Per lo meno, questa leggera sfasatura, fa sì che uno dei due sia sufficientemente in forza per occuparsi di Babi il genitorivoro.
Tutto questo, però, mi ha dato modo di dare una sferzata al polveroso comodino di cui parlavo l'altro giorno, e ad un ottimo Wodehouse, Jeeves non si smentisce, sono seguiti La donna della piazza Rossa di Enrico Franceschini, con tanto di dedica fatta al Festivaletteratura, ma non un granchè, Achille piè veloce di Benni: devo dire, con profondo rammarico e consapevolezza della responsabilità di un sicuro virtuale putiferio - se solo questo blog venisse consultato da più di cinque persone - che ho capito definitivamente di non sopportare come scrive Benni, che in passato già trovavo estremamente autoreferenziale, e che con gli anni si è così appesantito da costringere il lettore a trascinare nella lettura le parole che precedono, invece di lasciarle dove sono state lette, fino a presentarsi al finale spingendo un enorme carrozzone di sillabe ridondanti, che di solito coprono l'ultima frase, quella che dovrebbe dare il brivido che sempre attendo. Do'h.
Ancora in corso, infine, la lettura di Anne Holt, Non deve accadere, il giallo di grande successo in Norvegia e in Europa, che sicuramente mi sta coinvolgendo profondamente (ohibò, perchè mi trovo qui e non a letto a leggere?), ma che contemporaneamente sta contribuendo a delineare più precisamente un disagio in cui mi trovo ormai da tempo, nella lettura di libri contemporanei: un qualcosa di debole, forse nella struttura dei personaggi? che si palesa soprattutto durante la lettura dei dialoghi, quando una conversazione non suona come dovrebbe, e che mi sembra non noti nessun altro, quando leggo recensioni o opinioni di amici. Cercherò di spiegarmi meglio, con esempi. Per ora mi limito a dire che, semplicemente, nei classici non accade mai.

mercoledì 7 luglio 2010

L'aggiornamento del comodino


Da troppo non mi occupo di lettura, e il libro sul mio comodino virtuale è rimasto fermo troppo tempo ormai, senza adeguarsi al comodino reale, che ha subito in questi mesi le sue trasformazioni, ad opera mia e del nostro Nume Tutelare Indù, che ama scambiare le letture tra i componenti della famiglia, cosicché Marito si trova accanto la Austen, Babi un saggio di Sartori e la sottoscritta “BeepBeep la scavatrice bugiarda”, che non sarebbe male, non fosse il protagonista così poco credibile. Quanto alle mie letture, le riassumo qui a futura memoria mia e a consiglio per chi vorrà.
Adriano è stato sempre accanto ai cinque volumi di GARDENING, l’opera di giardinaggio del Rider’s Digest tradotta tempo fa dalla Repubblica, che so di consultare con una frequenza inusuale per chi possiede una cosa come 5 metri quadri di verde in una rinascimentale landa di cemento. Eppure, in quei metri quadri, so che riuscirò a inserire un giardino roccioso, una siepe di rose all’inglese, un angolo formale, le piante grasse, un giardino acquatico e un orto che copra le esigenze alimentari di tutta la famiglia, dunque non voglio esser colta impreparata.

Finito Adriano, sono passati tra le mani i due ultimi Camilleri, il buffo Nipote del Negus, e il Montalbano della Caccia al tesoro, che ha un inizio magnifico, ma poi, come accade negli ultimi suoi gialli, mantiene uno stato di suspance sterile, senza rivelare ciò che il lettore non può non aver capito da troppe pagine.
Ciò non toglie che Camilleri sia incredibile in inventiva, piacevolezza e spirito.
Al mare ho comprato e letto Tutto per una ragazza di Nick Hornby, che ho trovato bello. In copertina lo definiscono il moderno giovane Holden e, benché sia difficile che diventi l’icona epocale di Salinger (vista anche la posizione superscontata nella bancarella delle rimanenze), per una volta non trovo il commento tanto demenziale e fuori dalla realtà, almeno quanto alla fruibilità del libro. Dovrebbe leggerlo ogni adolescente.
Da ieri sera mi trastullo con Wodehouse e uno dei suoi Jeeves, per ricordarmi come vorrei scrivere.

Inizio lavori altrui


Finora, il sudato incanto dei lavori propri.
E poi ci sono i lavori altrui, quelli che con gran dolore è necessario delegare, nonostante preventivi degni della ricostruzione di Ground Zero.
Cosa darei per sapere fare la malta, anche se l’unico tentativo cementifero che abbia mai fatto, uno scalino tra le rocce, si è guadagnato nel giro di mezz’ora titolo ad attingere ai fondi per i terremotati.
Come vorrei occuparmi del mio impianto elettrico, anche se scambierei la terra con il mare, restando fulminata sul posto.
Come vorrei attaccar piastrelle, che mi sembrano opere d’arte, tagliate giuste alla fine di ogni muro come per magia.
Come vorrei estrar dai tubi palle di pelo centenario… no, l’impianto idraulico lo appalto volentieri.

Dunque: si è scoperto ad acquisto avvenuto che la casa non è collegata alla fogna cittadina. L’equilibrismo verbale del venditore, che continuava a sostenere davanti ad un’armata di professionisti che il sado va al fondo perso e il fondo perso va alla fogna, e per fare tutto ci vuole un fiore, è stato smontato in fretta, per la nostra disperazione. Pare che chiedere l’allacciamento di una casa al tubo pubblico distante un metro dalla stessa sfiori, quanto a burocrazia e dispendio, l’impegno che richiederebbe il tentativo di allacciare l’intera Korogocho, baraccopoli intorno a Nairobi, alla fogna di Milano.
Non immaginavo che avrei desiderato così sentitamente di partecipare a una di quelle allucinanti trasmissioni televisive in cui - al solo costo della propria dignità - ti aiutano a realizzare il tuo sogno, e, tra le telecamere e i sorrisi della conduttrice, svelare che tutto ciò che desidero è allacciarmi alla fogna di T.

Si sono tenute molte riunioni, nel cortile di casa. In tutte imperava il catastrofismo più assoluto: il comune potrebbe voler espropriare una parte del giardino per mettere un marciapiede, il salvavita è finto, ma c’è una colonna di scarico? Potrebbe crollare il tetto!
Un po’ come in quei film in cui una coppia entusiasta compra una magione e si trova dopo due settimane di spese insostenibili con un cumulo di macerie. E non le portano nemmeno via gratis.

lunedì 5 luglio 2010

Inizio lavori


Cercare di ottenere degli infissi color pervinca, su imitazione della casa di un amico, senza sottrargli una finestra da esibire come esempio in colorificio e senza quei codici incomprensibili che sembrano qualificare un colore in modo univoco tra coloro che sanno di cosa parlano, è pressochè impossibile. Dunque non so di che colore diventeranno i nostri infissi; con Marito ho comprato cinque chili di qualcosa di sorprendente, spero in positivo, e nel frattempo sono tutti bianco-cementite, come i nostri avambracci, come le varie strisce nei capelli, come qualche dito dei piedi.
La stanza nel cortile è stata liberata dalle numerosissime cacche di canarino che sostavano da tempo immemorabile sulle pareti di polestirolo isolante; sono momenti, nella vita, che non fa piacere conservare nella memoria. Anche perchè, come disse Visconti girando il Gattopardo (e pare Selznick con Via col Vento) quando gli chiesero perchè sprecasse tanti soldi in trine e sottovesti mentre nel film si sarebbero visti solo i lussuosi abiti che le sovrastavano, e lui rispose che le attrici avrebbero saputo di indossarli e si sarebbero comportate di conseguenza - dicevo - pur se grazie al lavoro di nonno G. graziose perline di abete stanno coprendo l'abominio, è dura l'eterna consapevolezza di cosa si celi là sotto.
Poi ho preso in mano l'aiuola, quella piccola, quella triangolare come le migliori aiuole, circondata da cemento a cappette che farebbe molto bavarese, non fosse stato scalzato in più parti dalle radici di edere e piccole palme che lo rendono più simile a un sepolcreto britannico.
Solo da seduta sono riuscita a picconare con la veemenza adatta a scalzare le malerbe e a setacciare quintali di ferraglia, buste di merendine, decine di formicai, immaginando un futuro fiorito. Purtroppo, fino a lavori finiti in casa, non si parla di piantare nemmeno un cactus, perchè non vorrei, come feci in passato, sottovalutare il potere operaio nello stanare e distruggere ogni tenero virgulto, una questione di maschio onore: fosse necessario, per riuscirci, deviare dal percorso abituale e infilarsi scarponi dalle punte rafforzate.
L'altra volta, davanti alle mie commosse rimostranze con tanto di cadavere di lobelia sul palmo della mano, il muratore rispose: signora, io i fiori proprio non li capisco.