lunedì 26 luglio 2010

Hotel del ritorno alla natura


E’ qualche ora che dal mio comodino virtuale ho fatto sparire Hotel del ritorno alla natura di Simenon. Semplicemente perché l’ho finito.
Ci ho infilato L’ipnotista, quasi sperando di non notare io per prima la sostituzione.
Tutto questo perché mi sto arrovellando da un discreto tempo, chiedendomi cosa mai scrivere, su questo libro, terminato con le prime luci dell’alba, piena di una curiosità che non ha avuto il permesso di andarsene con l’ultima pagina. Francamente non so cosa dire.

Posso anticipare che non ho mai amato molto Simenon; non so perché, ma i suoi Maigret mi rimangano pressoché indifferenti, e trovo che i romanzi extra Maigret inducano, nella sempiterna cupezza che li attraversa, un’eccessiva voglia di suicidio, quasi a dire, come una collega questa mattina nello sbolognarci roba da fare: scusate, non ho tempo di vivere.
Scriverò dunque solo qualche impressione sconnessa, forse inutile a chi decida di cimentarsi nella lettura grazie a un mio consiglio, ma necessaria a lasciar traccia della mia attività oculare degli ultimi giorni, perché un buco tra i libri è come una pagina di diario strappata alla memoria.

L’oggetto: in un’isola deserta delle Galapagos si trovano a vivere contemporaneamente, completamente privi di comodità e modernità, uno scienziato tedesco, la sua assistente che per una vita casta e primitiva con lui ha lasciato il marito, e una famiglia di conoscenti dei primi, che vivono lì per il clima necessario alla sopravvivenza del figlio tubercolotico. Dopo anni di pace e tiepidi rapporti di vicinato, arrivano una rumorosa duchessa con un ambiguo marito, un amante – schiavo giovanissimo, e casse di whiskey, champagne, sigarette e dischi, in un pietoso tentativo di impiantare un hotel con ogni comodità nella natura incontaminata.

Non è assolutamente noioso. Scatena in me forti emozioni, grazie ad un personaggio delineato con tutti i tratti che non sopporto in alcune persone reali. Mi incuriosiscono le dinamiche tra queste persone che si costringono per diversi motivi a vivere in situazioni estreme, e come un nuovo arrivo, nonostante si tratti di un’isola in cui ciascuno potrebbe vivere completamente isolato dagli altri, alla fine conduca a una sorta di condivisione di un destino comune, come se gli umani non riuscissero a reprimere del tutto la propria socialità. E’ scritto benissimo. Direi che è avvincente, perché non ti viene fino all’ultima pagina la benché minima idea di come cavolo possa finire.

Temo però che anche Simenon abbia avuto lo stesso problema, e abbia mandato in stampa il libro prima di risolverlo.

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