venerdì 9 giugno 2023

Una storia americana

Mi piacciono tanto, mi incuriosiscono e mi interessano, le cose, le persone, le creature differenti. Differenti dalla cosiddetta norma, ossia da quello a cui siamo abituati, per dimensione, colore, reazioni agli eventi, modo di pensare.
Per esempio, mi affascinava l'enorme sedia costruita dagli artigiani per qualificare il distretto della sedia e del mobile in regione, che appariva improvvisamente al viaggiatore al lato della strada, così fuori misura che pareva giungesse a breve anche Polifemo, col suo pugno di marinai per cena. 

Ora, non voglio paragonare un intero popolo a un enorme manufatto e odio le generalizzazioni, ben conscia che le differenze individuali, o collettive, abbiano vitale importanza, ma ogni volta che leggo qualcosa sul modo di pensare degli statunitensi non posso fare a meno di restare basita, per l'immenso solco di pensiero, principi e ideali che ci separa; impaurita dal fatto che nel mondo attuale abbiano una posizione così preminente pur con caratteristiche collettive che non esito a definire frequentemente infantili; affascinata dall'immensa loro differenza dalla "norma" che contraddistingue il mio essere, in senso geografico, politico, storico. 

Francesco Costa, che ormai è parte integrante delle mie giornate con il suo podcast Morning, rassegna stampa acuta e intelligente che tiene sveglio il pensiero critico, in questo libro parla delle storie di Joe Biden e Kamala Harris, poco dopo l'elezione di entrambi alla guida degli USA. Ne descrive le carriere, le cadute, le difficoltà, insomma, il percorso che ha portato entrambi, per lo meno, a liberare il mondo dal folle Trumpismo. 

L'abolizione della schiavitù in America, ai tempi di Via col vento (che con quell'abile narrazione hollywoodiana, se ti distrai, ti fa ritrovare sudista), non ha avuto altro significato che queste parole: "abolizione della schiavitù". Insomma, lo stesso rilievo puramente formale della carta costituzionale americana, che proclama l'uguaglianza di tutti gli uomini, calpestandola poi costantemente. I bianchi, che fino a quel momento facevano dei neri un proprio feticistico possesso, all'improvviso ebbero il solo scopo di allontanarli dalle proprie vite, dalle proprie case, dai propri lavori, dalle proprie opportunità. E ci riuscirono per decenni, attraverso, in particolare, lo sviluppo urbano, che favoriva sistematicamente la segregazione, suddividendo il territorio del Paese in zone in cui il governo consigliava di investire (invitando le banche a fare credito a privati e imprese) e altre in cui ogni investimento era disincentivato, sempre quelle abitate dagli afroamericani - un'operazione definita redlining
Le conseguenze principali furono che agli afroamericani venne impedito di accumulare ricchezza e di frequentare le scuole per i bianchi (quindi le università, quindi i lavori migliori). Anche le tangenziali, le autostrade, che conducevano i bianchi al lavoro dalle loro villette suburbane, vennero costruite secondo percorsi che contribuissero a isolare le comunità nere - a costo di avere forme illogiche sul piano urbanistico, che comportano tuttora frequentissimi ingorghi anche in superstrade da 14 corsie; il sistema degli autobus veniva a sua volta organizzato in modo da escludere: per tenere i neri lontani da una data zona era sufficiente non prevedere fermate dei mezzi pubblici (utilizzati quasi solo da loro, in quanto poveri) o costruire un ponte così basso che il bus non potesse passarci sotto. 
Negli anni si tentò qualche norma correttiva, tra cui il cosiddetto busing, che cercava di mitigare la segregazione urbanistica istituendo uno scambio scolastico tra neri e bianchi tramite scuolabus che percorrevano quotidianamente decine di chilometri. I mezzi che trasportavano i bambini neri nelle scuole bianche venivano spessissimo danneggiati, presi a sassate, e i ragazzi accolti tra sputi e insulti. Le amministrazioni locali spesso accettavano di accogliere i bambini a norma di legge solo se costrette dai tribunali. I genitori, a loro volta, non potevano opporsi, e dunque scegliere dove mandare a scuola i propri figli. 
Biden, da giovane politico, si opponeva al busing, pensando che l'integrazione urbanistica fosse di gran lunga la strada migliore per eliminare la segregazione razziale e credendo in buona fede che questo tipo di coercizione non avrebbe risolto molto. Per questo attirò critiche feroci, nel tempo, dato che questa sua posizione lo schierava accanto a politici razzisti e reazionari che con le sue convinzioni non avevano nulla a che fare. 

Kamala Harris, intanto, era figlia del busing, a Oakland, dove ogni mattina percorreva chilometri per raggiungere una scuola "bianca" altrimenti negata ai residenti del suo quartiere. 

Nei quarantotto anni che separano la sua prima elezione in Senato da quella a presidente degli Stati Uniti, Biden è stato tra i parlamentari più influenti, ma contemporaneamente meno abbienti, non volendo mai svolgere altre professioni o monetizzare altrimenti la sua fama; ha seguito progetti considerati da chiunque impossibili; ha compiuto errori banali e subito dolori terribili; ha lavorato da persona equilibrata, senza essere mai estremista o demagogo; ha sempre cercato di sedare i conflitti, cercando nel compromesso la via del progresso; ha dovuto naturalmente giustificare decenni di scelte ad ogni occasione elettorale. 
Dall'autobus che ogni giorno la portava fuori dal suo mondo, la Harris, convinta di voler tentare di cambiare il sistema dall'interno, pur accettandone lentezze e contraddizioni, divenne la prima donna e persona nera a essere eletta procuratrice generale in California. 

Le carriere dei due protagonisti del libro si incrociano per i decenni successivi, attraverso grandi vittorie e grandi cadute, fino all'incontro nelle elezioni presidenziali più recenti.
"Il potere non cambia le persone: le rivela per quello che sono. Quindi bisogna guardare al passato, per capire il futuro".

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