giovedì 12 aprile 2012

Vento scomposto


Lo ammetto: a bagno nella mia stizza da romanziera fallita in fieri, volevo cogliere in castagna Simonetta Agnello Hornby, sicura che il livello di scrittura dimostrata con le sue storie siciliane non potessero riflettersi in storie contemporanee e Londinesi, come niente fosse, come se uno scrittore mantenesse il proprio equilibrio con in mezzo milleottocento chilometri. E poco importava che comunque scrivesse di ciò che vive e conosce bene, con la fortuna di vivere e conoscere bene due mondi.
Niente da fare: la scrittura (pare sia stato scritto in inglese e poi in italiano, ma non a mo’ di mera traduzione, dalla stessa scrittrice) rimane eccellente, la storia coinvolge e sconvolge, fa temere per quegli accadimenti imprevedibili che possono gettare nello sconforto, e per come i ricchi a volte possano difendersi meglio dei poveri anche da questi lampi di sfortuna che la vita manda a caso a interrompere le vite qualsiasi.
Solo un appunto, sempre per pura invidia: abusare in italiano è intransitivo, ed è stato tradotto come transitivo in giro per tutto il libro. Ma…do’h, mi corregge l’Accademia della Crusca, citando nientemeno che il Tasso: «Infuriossi allor Tancredi e disse / - Così abusi, fellon, la mia pietà?».

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