martedì 5 ottobre 2010
Ar convegno
Convegno.
Tutti ammucchiati in una di quelle sale che, pur essendo dislocate in eccezionali palazzi storici affacciati su piazze straordinarie, ne compongono il nucleo centrale, completamente privo di vista, dunque di finestre, aria, luce che non sia artificiale.
Non ho mai capito se si ritenga che la visione del mondo distragga i convenuti (tuttavia i medici li mandano a Cuba..), provocando continui rumorosi sospiri per la perduta libertà, o se si tratti di crudeli esperimenti concernenti l'influenza sull'individuo di una subdola riduzione dell'afflato vitale complicata da un incredibile numero di cravatte regimental.
Laddove un raggio di sole si faccia strada coraggioso, esso viene bloccato da pesanti broccati amaranto, che credo siano stati lavati meno ancora di Luigi XIV, che pare si fosse fatto il bagno in due occasioni: il servizio militare e il matrimonio (terribile, si dice, la delusione della sposa e dei camerati, appurato che era un evento isolato).
Gli interventi, come moda comanda, sono tutti accompagnati da numerose slides sparate sulla parete senza nessun riguardo, per la maggior parte concepite non come brevi e efficaci presentazioni, ma come raccolte di epistolari di monaci annoiati dunque verbosi. L'abilità sta nell'esercitare la scelta: ascolto o leggo?, scelta in ogni caso priva di conseguenze in merito al proprio arricchimento culturale.
Totale la banalità, la mancanza di pensiero e di volontà divulgativa sottesi in parole come "clasterizzare", "impattare", "implemetare", "vision", "mission", FTE, RTA, MADONN e così via - un'attenzione speciale a "physique buro", che credo riporti il concetto di physique du role all'impiegato medio.
Stupita poi per l'ennesima volta dall'incidenza di errori nelle parole di tutti questi prof. dott. ing, per cui "è proprio il miglioramento dei processi che l'azienda ha bisogno (Jovanotti docet)", oppure "non dobbiamo sobbarcarci anche di questo fardello". Per non apparire più snob del necessario, capisco che parlando in pubblico si possa formulare una frase in modo sbagliato, ma non comprendo come il relatore non se ne accorga, dopo averla proferita, e non desideri porre fine al lamento auricolare suo e della platea mettendo in chiaro le cose.
L'unico anglosassone della compagnia, con la grande chiarezza che spesso è vanto di quelle genti, per le quali il termine "divulgazione" non è equivalente a "imbarbarimento", ci ha bacchettati alla grande, ma è istantaneamente stato messo a tacere da una montagna di vuoti e imbarazzati complimenti e dal subitaneo ritorno a cumuli di ovvietà tecnicistiche, dopo un solo minuto di silenzio (il germe della vergogna?).
E anche questa volta ci siamo guadagnati il buffet, recitando o fingendo d'ascoltare; e, in questa esplosione di amarezza cosmica, mi chiedo: perchè tutto questo entusiasmo per il catering? Ma come mangia, la gente, a casa propria?
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