mercoledì 23 febbraio 2011

Non è un paese per esseri umani


Due settimane chiusa in casa, prima da madre sollecita di Babi malato, poi da banale degente, ormai preda periodica di decine di tonsilliti importate dall’asilo nido.
La seconda settimana, in beata solitudine mattutina, ho sperimentato l’abbruttimento televisivo della massaia, sempre in linea con il filone due di qualche post fa. E ho visto cose che voi lavoratori non potete nemmeno immaginare.

Ho scoperto un mondo allucinante, in cui gente che non rinviene in sé il coraggio di fare qualcosa, lo trova solo nel ruolo di protagonista televisivo. Peccato che si parli di imprese del livello social-culturale che potrebbe avere l’azione del mettersi un dito in gola per liberarsi del pranzo di Natale. Ti angoscia farlo in solitudine? Fallo in pubblico e sarà un gioco da ragazzi.

Ho visto gente sentire il bisogno di introdurre in casa propria tre dispossenti, ognuno sedicente esperto in un ambito dell’ospitalità, e cucinare, pulire, allestire per un giorno intero al solo fine di veder giudicare la propria abilità culinaria, il proprio arredamento, e le proprie buone maniere da padrone di casa. Un po’come offrire la moglie in un inevitabile esercizio dello ius primae noctis e doverne poi sentir declamare la pagella amatoria. E farlo per scelta.

E poi: la più bella della classe sarà stata avvantaggiata o svantaggiata, nella vita, dal proprio aspetto? Andiamo a rompere i maroni ai compagni, alle amiche ancora evidentemente complessate dal confronto, ai morosi e ai passanti per scoprirlo! Tanto, incredibilmente, nessuno si sottrae. Parliamo in pubblico di tutti i fallimenti, le delusioni di una vita, almeno è una scusa per vestirsi bene.

Non è finita: una giovane di trentanove chili deve ingrassare? Un omone di centottantaquattro deve dimagrire? L’unica soluzione è infilarli entrambi in un appartamento tipo Grande Fratello, abbandonarli mentre cucinano ognuno le proprie schifezze, e obbligarli a scambiarsi i piatti, restando uno di fronte all’altro, come se una anoressica necessitasse di quindici cheeseburger per uscire dal suo problema, e l’omone di due foglie di insalata. Il tutto condito da un nutrizionista che mostra alla vittima le sue foto in costume da bagno, per prendere coscienza del problema.

Sono moltissime le trasmissioni che obbligano i partecipanti a mostrarsi in bikini, mentre un medico afferra con disprezzo maniglie dell’amore e drappi di pelle in esubero.

A questo proposito vorrei entrare per un momento (non di più) nella testa di chi si sente a disagio con gli altri per un difetto fisico e per eliminarlo va dal chirurgo estetico facendosi visitare in diretta tv. Sublime.

Al posto del raccapricciante filmino in sala parto, cui erano costretti mariti verdognoli prima di crollare svenuti, e che mi chiedo da sempre chi mai rivedrà (rivedere il mio parto mi divertirebbe quanto assistere a un concerto di Apicella con un attacco di diarrea, e se ci penso meglio ci assomigliava), ora un’intera troupe televisiva invade le tue contrazioni, ma partendo dalla prima ecografia, con tanto di interviste al futuro nonno che si sente ancora giovane, all’amica sterile che piange, al medico che terrorizza di mestiere, con o senza TV – certe cose non cambiano mai.

Poi un cuoco con il carisma del sergente di Ufficiale e gentiluomo apre il suo ristorante di un centinaio di coperti costringendo una decina di cuochi in erba a cucinare menu da quindici portate impronunciabili, trattandoli come bestie e infliggendo punizioni durissime, per donare al vincitore il ristorante dei suoi sogni.

Infine, due allucinanti figuri, lui allampanato con i calzoni a quadretti sopra la caviglia, e lei dal viso completamente slavato di colori e lineamenti e con assurdi vestiti tipo premaman, dettano legge, a chi si sottopone alla folle tortura, sul modo di vestirsi, gettando in un bidone di metallo l’intero guardaroba di una persona e imponendo in cambio discutibili mise modaiole dai costi proibitivi.

Sono tantissimi, ad accettare tutto questo, non capisco più se solo per smania patologica da protagonismo o profondo masochismo.

Cosa ho imparato, da due settimane chiusa in casa? Che forse la catarsi collettiva delle pubbliche flagellazioni tipiche della settimana santa, sempre meno praticate e sempre più aborrite, o la gogna sulla piazza del paese, o ancora le crudeli mostre di fenomeni da baraccone in gabbia, davano voce ad un bisogno così profondo della gente - di praticarle o di assistervi, di espiare o veder soffrire, con un buon bagaglio di sadismo - da rappresentare un’alternativa valida a questa macchina del fango universale, se non altro perché più facile da evitare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Le prime sensazioni che ho provato nel leggere questo nuovo post sono state quelle di consigliarti di non incorrere nel fatale errore che hai fatto in un momento di tua vulnerabilità dovuta alla situazione passiva in cui ti sei trovata; Errore che migliaia di “massaie” frustrate e infelici oltre che sprovvedute quotidianamente fanno: accendere la televisione che secondo me è in questo periodo storico forse il male assoluto. (Perfino nelle cosiddette trasmissioni culturali dove qualche volta anche io mi ostino a soffermarmi cogliendone quasi sempre una sensazione di disapprovazione e disgusto.) Figuriamoci le trasmissioni della mattina che non credo di aver mai visto ma mi è facile immaginare, se non altro vedendo gli spezzoni di Blob dove mostrano grandi fratelli e cose simili. Mi permetto quindi di farti da consigliere (magari fastidioso e a rischio di passare per saccente) nell’invitarti a fuggire da quel maledetto casselotto.
Forse te ne ho già parlato e se cosi è scusami ma spesso mi viene spontaneo un suggerimento leggendo il tuo blog e mi viene in testa anche in tante altre circostanze in questa società di merda ( scusa ma è l’accezione che meglio qualifica secondo me il mondo che ci circonda):
il suggerimento a cui mi riferisco e di leggere un libriccino scritto tanti anni fa e che io stesso dovrei rileggere, dato che l’ho letto ormai parecchi anni orsono:
La società dello spettacolo di Guy Debord.
Con grande stima e affetto
Gino