martedì 22 giugno 2010

Primo rogito


E’ ben poco rassicurante giungere in perfetto orario da un notaio scelto dalla controparte, che si era premurata di confermare due volte l’appuntamento, ed essere accolti dalla segretaria con quello sguardo misto a panico che, pur ostentando sicumera, esprime nugoli di pensieri: - oddio, questa volta mi licenziano! – e questi chi cavolo sono? – dov’è l’agenda? mentre dalla bocca esce la frase più generica e omnicomprensiva che la segretaria di un notaio possa trovare: - siete venuti per la stipula? - dato che in alternativa si potrebbe ipotizzare solo una successione, ma in quel caso saremmo stati vestiti di nero e con uno sguardo fintamente desolato in cui brilli il consueto barlume di avidità.
Ci ha immediatamente fatti accomodare in una sala–stipule regno dello spatolato più incontrollato; d’altra parte l’intero ufficio sembrava dipinto da un imbianchino che dell’unione di moda e Parkinson avesse fatto la sua fortuna.
Alle pareti quadri di quelli decorativi, senza una storia e un senso, solo più cari di quelli che propina l’Ikea, forse per non doverli montare.

Il palco è caduto quando, in un disperato tentativo, la segretaria ha biascicato se per favore le fornivamo il documento del signor Marzano. Marito, solerte sostenitore di moglie venditrice, era l’unico uomo presente, ma estraneo sia alla stipula che al nome del santo dei pomodori, dunque il panico fino a quel momento trattenuto è dilagato nel gruppetto.

In breve: commosso dalla nostra provenienza da un’altra città, dall’attesa a casa del pargolo piangente, nonchè dal preventivo che la nostra acquirente aveva accettato incondizionatamente, il notaio ha fatto gli straordinari, e il rogito è stato firmato dopo sole due ore e mezza di attesa nell’antro spatolato.

E così, non siamo più proprietari di nulla, laggiù. La casa che abbiamo dipinto di colori folli, riempito di mobili fatti da nonno G., vissuto a fondo in un momento di grandi cambiamenti, da cui siamo partiti per il viaggio di nozze, in cui siamo tornati dall’ospedale con il Babi-fagotto, non è più nostra, e non ne conosceremo più le sorti.
Poco prima di venderla, percorrendone le stanze ormai vuote, pur non abitandola da più di un anno, con grande velocità tornavano i movimenti abitudinari, la consapevolezza degli scricchiolii, il ricordo di certi gesti.
Ho preferito uscire rapidamente, senza indugiare, per non cadere nella commozione ddei film senza un’adeguata colonna sonora per la fine di un'epoca.
Ma mi mancherà tanto, come ogni luogo di serenità.

2 commenti:

La Cavia ha detto...

Vedrai che la casa dove andrai a stare ti piacerà tantissimo, lo sentirai molto più della nostalgia per la casa vecchia. Ti auguro che la nuova casa, dovunque e qualunque essa sia, diventi un luogo di altrettanta serenità per tutti voi..

Antonio ha detto...

Ti assicuro che la sensazione di nostalgia si attenuerà col tempo e diventerà un dolce ricordo. Quando avrete un nuovo nido, dipinto anch'esso con colori folli e personalizzato con i mobili di nonno G., la sentirete immediatamente come LA vostra Casa. Vi auguro di vivere in essa nuovi momenti felici!