venerdì 13 dicembre 2013

la specie



Nelle rare mattine in cui, per svariati motivi, ho il privilegio di rimanere a casa, mi capita di sfogliare la televisione come una rivista dal parrucchiere - tra l’altro avere i capelli in ordine è l’unico metodo che conosco per acquisire una sufficiente conoscenza dei vips che attualmente infestano l’establishment dello spettacolo, e se vedeste la mia criniera intuireste che sono molto indietro con lo studio.
Questo uso saltuario del tubo catodico ad ore sconvenienti mi porta a conoscenza di mondi paralleli dai risvolti contemporaneamente inquietanti e affascinanti, come ogni risvolto dovrebbe essere, compreso quello della giacca.
L’altro giorno sono incappata in una trasmissione allucinante, in cui delle persone, negli Stati Uniti, convivono con particolari ossessioni: chi mangia spadine di plastica per tenere fermi i tramezzini dall’età di undici anni, sfoggiando un fegato ben oltre le dimensioni dell’intero corpo, chi si ciba di rotoli di carta igienica, attendendo con pazienza l’inevitabile fatale blocco intestinale. Chi si ciba delle ceneri del coniuge, angosciato dal momento in cui le finirà per l’unicità della mercanzia. Ma c’è anche chi dorme da quindici anni con accanto un phon acceso. E chi si fa quotidianamente il bagno in 4 litri di candeggina. Ora, se lasciate a se stesse le persone sono capaci delle più enormi puttanate che possano essere concepite al mondo, in particolare nel caso in cui non abbiano problemi da risolvere tipo la fame: questo è un dato di fatto. Ma che nella trasmissione nessuno (il commentatore, i medici e gli psichiatri intervistati, i familiari stremati) abbia mai fatto cenno al consumo energetico di un phon che rimane acceso inutilmente per otto ore a notte, o all’inquinamento che causano 4 litri al giorno di inutile candeggina, moltiplicati per un enorme numero di coglioni, è la cosa che più mi ha fatta imbestialire, da fanatica della differenziata che mette nell’umido una zanzara appena schiacciata tra le mani. E  mi ha fatto riflettere sui passi che tante persone in tutto il mondo, prede infantili di un sogno americano rimasto identico dagli anni 50, come se da adulti restassimo tutti cristallizzati nel desiderare bambolotti e macchinette, devono ancora compiere per una sensibilizzazione che sia appena sufficiente alla sopravvivenza della specie. Mi ha fatto chiedere infine se ne valga la pena, di far sopravvivere la specie.

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