lunedì 19 aprile 2010

Deus ex brumbrum


Ebbene sì: ho taciuto per una sorta di “scaramanzia per iscritto”, fino ad ora, ma venerdì il preliminare è stato firmato.
Abbiamo trovato una casa.
Ne avevo viste tante, da così tanti mesi che cominciavo a darmi arie da agente immobiliare: ormai conoscevo i prezzi del vecchio, del nuovo, delle terrazze e dei paesi della cintura cittadina. Ho visto soggiorni che voi umani non avreste potuto immaginare, cucine con piastrelle da scalzare con la forza del pensiero anche senza acquistare la casa, solo per amor del bello; appartamenti nuovi con strani prezzi bassi in cui le camere erano scarpiere, e al prezzo pubblicizzato si doveva aggiungere il costo del diritto di parcheggiare, la cantina, l’eventuale garage, per arrivare a un valore più in linea con la follia che ci attanaglia.
Dopo vani tentativi di cercare qualcosa a risparmio energetico, potendoci permettere al massimo un box auto con portone predisposto al fotovoltaico, ci siamo convinti a privilegiare lo spazio, rivolgendoci dunque a appartamentiti anni ’60-‘70, con tutto quanto di brutto trascinano con sé, ma con la speranza di non trovarci a breve in tribunale contro il costruttore per il fastidioso effetto collaterale dell’uscita di acque reflue da ogni pertugio, cosa che accade con allarmante frequenza nelle case di nuova costruzione.
Ormai stremati, stavamo per adagiarci su mezza bifamiliare di fronte a una scuola elementare, ma un’inquietudine mi martellava la mente, sempre più insistente: nella nostra vita manca lo scoperto, ovvero, in gergo umano, il cortile (non osando sperare in un giardino).

Quindi, approfittando della apparente stasi del mercato immobiliare, ostentando i nervi saldi di coloro che non temono di perdere l’affare, abbiamo atteso ancora, e ho continuato a cercare, scrivendo schede su schede, telefonando fino a non avere la più pallida idea di quale casa stavo andando a visitare.

Siamo entrati in questo cortile, con piastrelle di cemento, un pezzetto d’erba incolta con uno di quegli alberi scemi che usano mettere sul ciglio delle strade cittadine, che sembrano gelsi travestiti da ibischi, e nessuno sa come si chiamano; ortensie secche all’entrata, e una casa curiosamente alta e stretta, colore maron.
Pronta ad accettare le consuete porzioni da nouvelle cousine applicata al Catasto, ho chiesto come fosse diviso quel cortile tra i condomini. E i presenti, strammati, mi guardavano con facce interrogative. “Ma il cortile è della casa”. “Vabbè, ma di quale appartamento?”, preventivamente infastidita dalla risposta inesorabile che mi aspettavo. “La casa è una, non ci sono appartamenti!”. Insomma, per farla breve, ci ritroviamo con una casa intera, di quelle che se vuoi parti correndo, ci fai il giro intorno, e torni al punto di partenza, senza aver toccato millesimi altrui. Dove se a Babi cadono le palle di legno che usa martellare per scaricare energia, nessuno si attacca al campanello con violenza pretendendo silenzio assoluto alle sei di sera. Dove si può leggere sotto il caco nell’ombra incipiente del tramonto, e montare una canna fumaria senza chiedere il permesso a 56 persone.

Solo di notte, con gli occhi a palla per l’ansia, arrivano i dubbi: ce la faremo a fare tutti i lavori? e se il tetto ci cade sulla testa? E se scopriamo che i tubi sono fatti di cartone pressato? E se le cacche dei canarini che risiedevano in una stanza in cortile non se ne vanno nemmeno con l’idropulitrice?
Di giorno riesco a controllarmi, e a far ridere alle lacrime Marito per la serietà con cui leggo i miei cinque volumi dell’opera di giardinaggio, complessive 2000 pagine, i cui insegnamenti intendo applicare pedissequamente ai miei 10 metri quadrati d’erba incolta.

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