lunedì 19 aprile 2010

Pensavo fosse Italia, invece era un ospedale psichiatrico


E’ un po’ che ci penso, e ora voglio scriverne.

Ero molto appassionata di politica; sono nata in una casa in cui non è mai mancata, in cui le conversazioni a cena spesso la comprendevano, in cui una certa politica è sempre stata fonte e luogo di commozione, di speranza, di cammino, di musica, di film, di scelte.
Da qualche anno, invece, fatico sempre di più a pensarci; è come un dolore per un lutto ormai lontano, sordo, ma sempre presente a scalfire la quotidiana ricerca della serenità. D
a qualche anno il Cavalier Banana, professionalmente coadiuvato da molti, da troppi, sta distruggendo sistematicamente, ora a forza di petardi, ora con una lima inesorabile come la goccia di pioggia sulla pietra, quel debole velo di senso dello stato, di amore per l’onestà, per la collettività, che rivestiva la gente di questo paese.
E in questi strappi, ormai incontrollabili, si crogiolano in tanti, in troppi, che preferiscono veder legittimato qualsiasi comportamento, identica qualsiasi scelta, priva di valore qualunque parola, perfino insensato qualsiasi numero, piuttosto che fare la fatica di guardare un poco oltre, che questo vada a loro interesse o meno.
All’inizio provavo a discutere sui singoli accadimenti, ma ora mi sento circondata da un tale incantesimo collettivo da non sapere quale angolo attaccare, quale danno tentare di ricucire. Non sono nemmeno capace di descrivere perfettamente come mi sento, perché qualsiasi intervento di questa gente mi sembra così folle da non trovare un sentiero comune da cui partire.

E allora mi è venuto in mente Troisi, e il suo Pensavo fosse amore, invece era un calesse. Una delle scene di quel film costituisce a mio parere la metafora più vicina in assoluto al mio stato d’animo. E quindi, poiché le metafore sono di chi gli serve, non di chi le fa, ne faccio il mio uso.

A un certo punto Francesca Neri e Troisi, alla vigilia del matrimonio, si lasciano, e lei trova un altro uomo, che gli amici comuni conoscono e che Troisi non ha mai visto. In preda alla gelosia ascolta coloro che ne sanno di più, e si trova circondato da un girotondo di pietà dei conoscenti, perché l’uomo che ha trovato la sua donna non gli lascia alcuna speranza, è quanto di meglio si possa concepire: bello come Ulisse (ma Enea di nome), intelligente, simpatico, dalle maniere perfette, con un lavoro di eccezionale importanza, perfetto amante, sicuro di sé. Troisi è distrutto. Decide che vuole vederlo, per ingoiare il veleno fino in fondo. E si trova davanti Enea, che l’attore Marco Messeri delinea perfettamente: fisicamente rivoltante, voce stridula, vanesio e inconsistente, volgare. Troisi dovrebbe sentirsi subito meglio, davanti a questo avversario ridicolo in ogni senso. Invece si trova circondato da gente che crede fermamente nelle qualità che di quest'uomo, e pensano che Troisi, che cerca conferme a ciò che vede ad occhio nudo, parli per gelosia, per impotenza, per incapacità di accettare il successo altrui. E questo gli dà un senso vertiginoso di solitudine.

Anch’io non vedo più uscita. Ad ogni alzata di ingegno del Cavalier Banana e della sua corte la speranza che la gente dica: vabbè, ora basta, però si affievolisce sempre più.

1 commento:

La Cavia ha detto...

Sono pienamente d'accordo.
Ormai la speranza e l'impegno politico hanno lasciato il posto ad un amaro senso di disinganno.
Che schifo..