mercoledì 22 settembre 2010

Fiumi di parole


Disarchiviare un archivio mai toccato per anni, al fine di avviarlo ai Pascoli del Cielo nelle condizioni migliori, significa liberarlo di tutto ciò che al macero possa confliggere con l’essere semplice carta - CER200101.
Scopriamo a nostre spese che un ampio settore della premiata ditta fu, per quasi un decennio, teatro d’azione di una setta chiamata “non fidarti del buco”, che della busta di plastica con buchi rinforzati per gli anelli dei raccoglitori fece il suo baluardo, il suo biglietto da visita, il suo oggi, il suo domani, il suo tutto. Ogni quaderno, invece di contenere un centinaio di fogli di niente, in questo archivio tratteneva con vivida forza un centinaio di buste di plastica contenenti ognuna un foglio di niente, che ora è necessario estrarre dalla stessa per buttarlo, o sistemarlo in cartoni con su scritto: da buttare nel 2016, da buttare nel 2017, e così via.

Sospetto che questo scambio illegale di buste di plastica coi buchi prosegua tutt’ora, vista la costante carenza in ufficio dei sopracitati ammennicoli, e avvenga tra i pini, o nei corridoi sotterranei, con finti cordiali saluti e rapide cessioni di pacchetti. D’altra parte, ho imparato ora che, per il futuro dei nostri figli e per la rapida predisposizione delle sudate carte al macero, è consigliabile limitare l’uso di quelle dannatissime buste ad una sola ad impiegato, da usare come meglio aggradi, per esempio per incorniciare la foto degli avi.

Anche i quaderni con anelloni in ferro sono da separare dai documenti, per evitare che schegge di metallo infestino la carta igienica riciclata di domani.

Dunque, la cantina dove alacremente lavoravamo muniti di guanti latex free e grembiuli anti trombo (non si possono dire sexy) verde pisello di TNT, risultava infestata di resti di buste, contenitori, cartelline incompatibili col sano macero.

Io, vedete, ho una passione per la cancelleria. Non solo ritengo che sia l’unica cosa al mondo che si possa rubare in qualsiasi ufficio senza incorrere in alcun diverbio con la propria coscienza, ma adoro guardarla, possederla, sfiorarla, usarla, e vederla morire lì, impilata e rifiutata perfino dalla raccolta differenziata, era per me una sofferenza inenarrabile.
Non così per le colleghe avviate con me in questo girone infernale privo di sedie, dunque di requie; esse odiavano l’odore della carta, i grilli che nidificavano tra i documenti per emergerne con storie incredibili, la polvere che pure non stava a noi pulire, cosa per me già di per sé sensazionale. E buttavano tutto, criticando aspramente i miei tentativi di salvare il salvabile, straparlando di chissà quali disinfezioni col napisan, fino a costringermi all’appropriazione furtiva di quello che potevo, quadernoni, fogli, spirali, e naturalmente buste di plastica coi buchi usate, per entrare anch’io a far parte di questo mondo torbido dello spaccio (aziendale).

E non solo: il mio nervosismo per lo spreco inconsulto è cresciuto fino a farmi partorire il piano di attardarmi un momento di più nella stanza senza testimoni, riempirmi di roba ogni indumento e borsa, e in seguito trasferire tutto ciò che non fosse palesemente coperto di cacche di grillo nell’armadio dell’ufficio, così da diffondere il morbo della cancelleria all’insaputa di queste maniache dello spikespan.
Piano, tra l’altro, riuscito perfettamente.

2 commenti:

La Cavia ha detto...

La cancelleria è bella: colorata, ordinata, rassicurante.. ;)
E comunque quando dopo sposata farò il transfer documentale a casa nuova ti chiamo.. XD XD

Antonio ha detto...

Non è che puoi spacciarmi un po' di quelle belle buste plasticose? ;) :P