lunedì 28 marzo 2011

Viaggio IN modernità


Quando in giro, anni fa, si è iniziato a sentir attribuire un sesso alle marche di automobili in base al valore e alla cilindrata, per cui si possedeva un Ferrari, un Maserati e il BMW, ma la Uno una Duna o la Centoventisei, ho gestito come potevo (“santa Madonna, LA macchina, L’automobile!") la mia silenziosa protesta, più che per l’avvenimento in sé quale ennesimo esempio del maschilismo della nostra società, per il suono fastidioso che giungeva alle mie orecchie sentendo dire cose come “il Porche” - che tra l'altro, come non tutti sanno, essendo tedesca si pronuncia Porsce, non porsc.
Almeno il virus non si è trasferito al varo delLE navi, fino a battezzare un gommone Lucia e una nave da crociera Ludovico.

Ebbene: la malattia odierna è più diffusa, strisciante, subdola e, mi sembra, poco notata. Pare che non strida alle orecchie di nessuno, nemmeno dei sacrosanti bacchettatori dei neologismi da sms tipo ke kiakkere.
Tutte le ditte, le fabbriche, in particolare quelle grosse (e daje, il solito problema di dimensioni, infatti credo che si dica ancora “lavoro presso la Busterozzi e Frantermoni di Busto Arsizio”), hanno improvvisamente perso l’articolo, determinativo o indeterminativo che sia.

Vieni a lavorare in Ikea!
Noi in Fiat applichiamo il principio di…
Telecom ti viene incontro…
e così via, ferendo ogni volta di più le mie orecchie, immagino fino a sordità totale.

Il fenomeno mi ricorda un’amica slovacca, la cui unica incrinatura nell’uso perfetto della lingua italiana consisteva nell’eliminazione random di un articolo “non avevo fame, ho mangiato solo mela e sono uscita”.

Ma non mi illudo: immagino si tratti dell’ennesima supina inglesizzazione, in questo mondo in cui ci si ribella con violenza alle abitudini importate dai poveri migranti, ma ci si prostra con estremo piacere, con buona pace di tradizioni e radici, alle influenze ben più pervasive degli dei del consumo a cui amiamo ambire.

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