mercoledì 27 febbraio 2013

Cosa non si fa per restare


Lunedì sera siamo andati a provare in uno studio di registrazione casalingo, dal nostro batterista, che coltiva in una mostruosa taverna questa sua passione. Ha fatto una cosa pazzesca: stanza della regia, con una parete di schermi di pc, tra cui uno collegato via webcam con la sala di registrazione, a sua volta collegata via webcam alla regia. Una batteria più fornita di piatti di sei puntate di Masterchef, un microfono per voce che assorbe qualsiasi tipo di emissione, anche microscopica, per cui è meglio scordarsi velleità come quella di inspirare, o debolezze analoghe.


Abbiamo registrato due canzoni per chitarra e voce, un solo tape per ognuna. E poi abbiamo assistito all’elaborazione delle stesse, come fossero pongo. Il padrone di casa si è complimentato del mio controllo della voce, che così ho scoperto di avere, grazie al quale il numero di correzioni adottate si è ridotto al minimo, ma ho scoperto che saper cantare, con l’avvento di queste centinaia di plug in, è sì un orpello grazioso e comodo al fine di pubblicare un disco, ma assolutamente niente di necessario. Ascoltarsi registrati con una vividità così incredibile è un’esperienza utilissima, una volta fallito il tentativo di suicidio. Il fatto che la terza passione del nostro fonico batterista sia la degustazione enologica l’ha resa più fluida e godibile.

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