martedì 22 settembre 2009

professionisti nel dilettantismo


Le nostre lezioni di tennis non sono finalizzate a Wimbledon, e uno spettatore attento può intuire questa verità dal fatto che non giochiamo sull’erba, e dalla quantità di palle che coprono il terreno, rendendo tra l’altro difficile sapere se giochiamo sull’erba.
Io lotto tutto il tempo con la memoria dell’infanzia, quando un istruttore all’antica deve avermi insegnato degli eleganti movimenti che ora pare non esistano più. E non mi vengano a dire che forse negli anni il ricordo si appanna. Tutto quel mulinare di racchette, il tendere in piede indietro fino a lasciarne solo la punta a contatto col pavimento, lo svitare il manico per tentare un rovescio sono i fondamentali del tennis.
Però, poiché vivo nel mio tempo nel progresso nella performance, tento continuamente di dare ascolto al maestro, e mi arcuo, mi piego, mi giro, mi rovescio; la palla il più delle volte non mi condivide.
Marito, invece, è libero da condizionamenti. Egli vuole buttare la palla di là, egli ci riuscirà, dovesse ingannare, mentire, rubare o uccidere.
L’effetto complessivo è curioso. Tanto da spingere la direzione a farci giocare in campi coperti senza accendere l’impianto di illuminazione per non turbare i soci.

3 commenti:

Antonio ha detto...

Sempre meglio delle partite a calcetto fra colleghi di lavoro.. ;-)

Grazie di quello che scrivi: allieti le nostre giornate!

pap

Anonimo ha detto...

eccoci al tennis!!
negli anni sessanta, (che impressione! sto per compierne altrettanti) tentavo di imitare Pietrangeli e Sirola e mandavo forsennatamanente una improbabile pallina con una altrettanto improbabile oltre che immaginata racchetta, da un lato all'altro della strada dove del resto, non transitavano altro che carri agricoli trainati da buoi o cavalli, biciclette sgangherate, Mosquiti, Motom, Guzzi, (questi ultimi, oltre che Vespe e Lambrette, invero di rado). Alle tre in punto una seicento con una persona di colore!!! pazzesco, a quei tempi restò l'unico che vidi, per almeno altri dieci anni!!! sapevamo che passava di lì per andare a lavorare ad Aviano.
Io giocavo cercando di far coincidere alcuni fattori quali la parte di muro disponibile a rimandarmi la pallina, quando lo centravo, la parte di asfalto, pur non da tanto apparso in quei luoghi, ancora privo di gibbosità o screpolature che tendevano a deviarne la traiettoria, e la porzione di spazio nella quale io agivo, che non era molto vasta. Eppure l'esercizio quotidiano mi permetteva di perfezionare una certa abilità che mi consentiva di raccontarmi le radiocronache dei set dove io ero Sirola contro Pietrangeli. Nel cortile di casa e negli spazi verdi dietro casa, alle volte da solo facevo le stesse radiocronache delle partite dove appartenevo all'Udinese e vincevo contro tutte le altre squadre, centrando una palla di gomma mezza sgonfia in un angusto spazio che io immaginavo fosse una porta di calcio.
Con gli amici invece inventavamo gare di atletica, con assicelle ricavate da rimasugli di lavorazione del legno del "laboratorio" di falegname di mio padre. Si gareggiava in salto e in lungo, prevalentemente....
ho detto anni sessanta, ma si tratta più probabilmente di qualche anno prima.
fine della prima puntata.. Fin qui più Amarcord che humour, anche se mi ero messo con l'intenzione di essere spiritoso...

Anonimo ha detto...

provo di nuovo da bravo fantozziano, non riesco a pubblicare il seguito dell-amarcord