giovedì 3 settembre 2009

Remar tra vita e libri

Oggi, mentre alle sei del mattino azionavo freneticamente il pesce di plastica di mio figlio, che ci perfora le orecchie con la melodia barbaramente modificata di Braccio di Ferro da circa 15 mesi, e che ha come passatempo principale quello di infilarsi tra i cuscini del divano, o sotto il letto, per poi suonare a tradimento nei momenti meno adatti – dicevo, mentre lo azionavo per vedere se una notte sotto la pioggia in terrazzo avesse finalmente fiaccato le sue ripetitive iniziative sonore, la gatta mi ha guardata come si guarda una pazza. Una pazza completa. E mi sono molto preoccupata. C’è da dire che la gatta, che chiamerò Pantacollant per tutelare la sua notoria riservatezza, ultimamente è in crisi. Figlia adottiva felice e coccolata, si è trovata all’improvviso inseguita per tutta la casa da un’urlante carro armato poco più alto di lei ma estremamente più rumoroso, che le rovescia addosso i divieti che gli vengono imposti, gridando no! No! Nooo! a qualsiasi suo movimento e tentando di accarezzarla con la delicatezza di una betoniera. Forse il suo sguardo era di complessivo rimprovero, di totale incomprensione per la virata della nostra vita, non riguardava il mio insano rapporto con il pesce di plastica.

Non so esattamente quando, ma ho finito Tom Jones di Fielding. Il ‘700 ha una magnifica abitudine di umanità, di non condannare le cattive azioni di poca importanza. Tom è pieno di difetti, assolutamente realistici e piuttosto fastidiosi, ha una straordinaria capacità di mettersi nei guai, ma le sue sono azioni che danneggiano lui e lui solo, benché fortemente condannate dalla gran parte degli ottusi personaggi che lo circondano. Fielding, invece, ne descrive le debolezze, dando però loro un peso molto inferiore a quello delle azioni realmente cattive che vengono compiute nel romanzo, quelle che fanno veramente male agli altri, quelle spinte da avidità, crudeltà, bassezza d’animo.
Ancora oggi sembra universalmente più grave avere una promiscua vita sessuale che far soldi e mantenerli con disonestà. Un po’come arrestare Al Capone per debiti.
Così, è un po’ più chiaro cosa si intenda citando frasi fatte per cui il romanzo descrive l’universale, è senza tempo.
Infine, è sempre chiaro Pennac:
"L’uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale…la lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun altro, ma che nessun altro potrebbe sostituire. Non gli offre alcuna spiegazione definitiva sul suo destino ma intreccia una fitta rete di connivenze tra la vita e lui. Piccolissime, segrete connivenze che dicono la paradossale felicità di vivere, nel momento stesso in cui illuminano la tragica assurdità della vita. Cosicché le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere…”

Nessun commento: